Non sono una di quelle fondamentaliste che hanno solo amici vegan, non sono una di quegli animalisti che urlano per strada ‘assassini’ a chi non si lascia convincere immediatamente che l’alimentazione etica sia l’unica sostenibile. Per diverse ragioni. Una delle principali è che io sono arrivata all’alimentazione etica dopo un lungo percorso di vita e ragionamenti, purtroppo un po’ frenati dalla paura di poter diventare una pazza sclerata isterica che va a urlare per strada, come quelle che mi capitava di vedere. Ho conosciuto persone così e non fanno altro che allontanare e rendere difficoltoso il cammino di chi sta cambiando ma ha, giustamente, i suoi tempi. E poi non sono i miei modi, non mi interessa l’etica declinata a tifo da stadio, è una contraddizione di per sé.
Ritengo che oggi più che mai l’animalismo e il vegetarismo siano scelti da alcuni come valvole di sfogo della loro rabbia, purtroppo.
La mia è una scelta personale, queste sono le mie motivazioni, per chi spesso me le chiede. Il percorso del mondo, invece, è ancora molto lungo e ognuno ha i suoi tempi. Bisogna rispettarli, altrimenti non è cambiamento ma settarismo, tifo da stadio, bisogno di appartenenza, moda transitoria.
LE MOTIVAZIONI DELLA SCELTA ETICA VEGAN
I vegetariani in Italia, secondo i dati sono circa 7 milioni, di cui poco meno della metà è costituita da vegani. Un dato destinato a crescere costantemente, tanto che le proiezioni parlano di 30 milioni di vegetariani in Italia entro i prossimi trent’anni. Cosa porta tutte queste persone a decidere di non utilizzare alcun derivato animale nella propria alimentazione?
La scelta dell’alimentazione etica dipende da molteplici fattori, sintetizzabili sostanzialmente in tre grandi aree: il riconoscimento dei diritti degli animali, la salvaguardia della propria salute e la tutela dell’ambiente.
La maggior parte di chi sceglie una dieta vegan è motivata dall’amore e il rispetto verso gli animali che non vengono più visti come fonte di cibo ma come esseri viventi con pari diritti e dignità. Non è un caso infatti che molti di noi si siano avvicinati a queste idee quando, ancora onnivori, hanno rifiutato la vivisezione e le pellicce, ritenendo la prima crudele e aggirabile, le seconde tanto crudeli quanto inutili.
I risultati nel miglioramento della salute e dello stile di vita di chi sceglie questa via non violenta sono così evidenti che altri hanno preso in considerazione questo regime alimentare per semplici scopi salutistici, arrivando solo in seguito a condividerne anche i valori etici e di tutela ambientale che comporta.
ALIMENTAZIONE VEGAN COME SCELTA CRUELTY FREE, A TUTELA DEI DIRITTI DEGLI ANIMALI
Concettualmente, sono moltissimi gli auto-proclamati difensori degli animali ma non tutti questi scelgono l’alimentazione vegan come pratica quotidiana per la salvaguardia dei diritti e della vita degli animali. Operare una scelta “cruelty free”, ovvero di assenza totale di prodotti animali nella propria vita, pone davanti ad una scelta molto ardua anche dal punto di vista psicologico e sociale. Anche solo il fatto che questa sia una ‘scelta’ e sia ben difficile trovare intere famiglie vegane o persone vegane da più di una generazione, fa capire quanto pesi il retaggio culturale di un occidente sostanzialmente onnivoro e convinto della necessità alimentare della carne. Per la maggior parte di noi, infatti, la crescita ha coinciso con l’avere acriticamente interiorizzato questi concetti, soffocando quella che è la natura dei bambini: amare e proteggere gli animali. Il paradigma culturale dominante, che considera gli animali come esseri inferiori funzionali all’alimentazione umana, è molto difficile da abbattere per arrivare a una nuova visione del rapporto tra l’uomo e gli altri esseri viventi che popolano la terra, una visione tutto sommato molto antica visto che l’uomo non nasce come cacciatore ma come frugivoro, mangiatore di frutti spontanei ed erbe.
Oggi, secondo le statistiche statunitensi, l’americano medio nel corso della sua vita, consuma: 21 mucche 14 pecore 12 maiali 900 polli 1000 libbre di altri volatili ed animali marini. Una ricerca analoga condotta in Inghilterra ci parla invece di 36 maiali e 750 galline. In Italia non è ancora stata fatta una statistica precisa, salvo quella Istat sul consumo annuale pro capite di carne, attorno ai 90 chili circa.
Grazie a questo grande affare che è l’alimentazione onnivora, gli interessi degli allevatori sono tutelati molto di più dei diritti degli animali. Tutelare gli animali vuol dire anche permettere e incentivare, da parte dei governi, una libera circolazione di idee, che faccia arrivare a tutti le corrette informazioni su quanto materialmente gli animali devono soffrire per arrivare nei piatti dell’evoluto occidente.
Per quanto infatti i media mostrino immagini di mucche felici sulle confezioni di hamburger e formaggi, non c’è alcun animale felice in un allevamento. In un allevamento ci sono da decine a centinaio aid animali tenuti in cattività, in condizioni di profondo disagio, di scarsa igiene e senza nemmeno lo spazio sufficiente per muoversi. A causa di queste pessime condizioni di vita, la maggior parte contrae una serie di malattie che trasmette immediatamente anche ai compagni di sventura sani, rendendo necessario un’uso massiccio di antibiotici e vaccini. Inoltre, per massimizzare la produzione, gli allevatori sono autorizzati ad impiegare ormoni per la crescita che passeranno inevitabilmente nei prodotti derivati: carni ma anche latticini.
I macelli, alcuni con un trend di abbattimento capi attorno ai 500 al giorno, non lavorano nell’interesse della minor sofferenza possibile, ma nell’interesse della velocità. Gli abbattitori devono lavorare velocemente, spesso non stordendo a sufficienza l’animale prima dell’abbattimento, cosa che comporta un’agonia a volte piuttosto lunga e cruenta.
Nella maggior parte del mondo le aziende avicole sono autorizzate a separare i pulcini maschi, non produttivi, dalle femmine, produttive, gettando i primi in macchine che li macinano ancora vivi.
Molti animali, con l’apertura delle frontiere a paesi dell’ex blocco sovietico dove vengono garantiti prezzi molto bassi, sono costretti a percorrere distanze enormi, nell’ordine delle migliaia di chilometri, per essere trasportati nelle stalle italiane dove dopo pochi mesi diventeranno capi italiani a tutti gli effetti. Questi trasporti sono una tortura: possono essere lasciati fino a cinquanta ore di seguito stipati su un tir, senza acqua né cibo per evitare un eccesso di deiezioni e ulteriore manodopera durante il viaggio, tanto che all’arrivo vengono spesso usati pungoli elettrici per farli scendere dai mezzi e condurli nelle stalle, stremati di fatica.
Molti bovini non resistono al viaggio e esistono ormai stime piuttosto allarmanti sulla quantità di capi macellati immediatamente dopo il trasporto. I bovini, in quanto ruminanti, digeriscono il foraggio per fermentazione. Quando vengono sottoposti a un moto eccessivo e alle sollecitazioni di un trasporto, la fermentazione aumenta fino a dieci volte tanto e il loro stomaco si gonfia a dismisura causando dolori. Per bovini e ovini, si rende spesso necessario l’impiego di farmaci per ovviare questo problema prima dei trasporti. Ma per alcuni di loro non è sufficiente e muoiono tra convulsioni terribili durante il trasporto, convulsioni paragonabili a un attacco di epilessia nell’uomo.
Oltre il mercato della carne, esistono quelli dei latticini e delle uova che, pur non uccidendo l’animale, provocano altrettante sofferenze. Come per tutti gli altri mammiferi, le mucche hanno bisogno di essere gravide per produrre latte. Una cosa che non è chiara a molti è infatti che la vacca produce latte solo ed unicamente per nutrire un vitello di cui è madre. Non è un dispenser a ritmo continuo, come ha portato a pensare una certa forma di pubblicità. Il vitello che avrebbe diritto a quel latte, viene immediatamente allontanato dalla madre subito dopo il parto, in modo che la stessa possa essere munta a lungo mentre il vitello verrà alimentato con un sostituto chimico del latte materno. Ma quando il vitello viene staccato dalla madre e questa non lo vede tornare, si lamenta per giorni, tenta di scappare per cercarlo e viene in genere, già preventivamente, sedata con farmaci che la lasciano in uno stato confusionale e sonnolento per giorni. Farmaci che chiaramente, nelle quantità minime consentite e a norma di legge, passano nel latte che produce.
Sicuramente, le modalità con cui lavora l’industria dell’allevamento sono sconosciute alla maggioranza che vive della tradizione culinaria e si assolve con notizie infondate secondo le quali sarebbe impossibile vivere senza le proteine della carne. Le stesse notizie infondate parlano anche di allevamenti con animali felici e del conoscente che prende i prodotti in cascina, dall’allevatore che conosce bene. Non così bene, però, perchè non esistono, per direttiva italiana ed europea, allevamenti in cui gli animali non siano vaccinati, sottoposti a mungitura meccanica (causa di mastiti e infezioni) e sottoposti a cure a base di antibiotici, anche solo a scopo preventivo. Non esistono, è la cruda realtà.
ALIMENTAZIONE VEGAN PER LA SALUTE
L’essere umano nasce frugivoro, un essere vivente che per natura può cibarsi sostanzialmente di frutta, qualche verdura, bacche e radici. L’apparato masticatorio dell’uomo non è quello di un animale carnivoro e in milioni di anni non si è mai evoluto in questo senso. L’uomo non possiede i canini dei felini e degli altri animali predatori che devono invece nutrirsi delle carcasse di altri animali. L’uomo ha però molari grossi e arrotondati, tipici degli erbivori e dei primati che si nutrono prevalentemente di frutta e erbe. Non possiede artigli, le unghie umane non sono sufficienti a cacciare, lo sono invece quelle dell’orso, del leone, dell’aquila. La salivazione dell’uomo è di tipo alcalino, adatta per i vegetali, mentre quella dei carnivori è di tipo acido, utile a demolire le fibre spesse e le proteine della carne. Cos’è successo quindi all’uomo perché improvvisamente diventasse carnivoro o, meglio, saprofago, un animale che si nutre di animali morti, conservati e addirittura cucinati?
Molto probabilmente durante una delle prime glaciazioni la scarsità di cibo vegetale e la necessità di sopravvivenza gli hanno fatto seguire le orme di altri animali predatori. Non potendo competere ad armi pari in quanto non fornito di armi ‘naturali’ come artigli e zanne, ha cominciato a costruirsi degli strumenti con cui cacciare le sue prede ed è diventato un cacciatore molto particolare: l’unico di tutto il regno animale a non servirsi esclusivamente della dotazione fornitagli dalla natura.
Oggi l’uomo vive in una condizione di agio e con una ricchezza in materia di biodiversità per frutti e erbe disponibili che appare insensato e non necessario nutrirsi con le proteine di altri esseri viventi.
Per generazioni però ci hanno ripetuto che le proteine della carne non sono sostituibili e che senza carne non si può sopravvivere. Da centinaia di studi condotti da metà del sec. XIX ad oggi sappiamo però che non solo si può vivere senza carne e pesce, ma addirittura la qualità della vita e della salute migliora moltissimo quando si torna ad una dieta che per l’uomo è più naturale.
Due grandi ombre però sembrano oscurare negli ultimi anni l’orizzonte della dieta vegana: la presunta assenza di vitamina B12 e di calcio. La vitamina B12 è sicuramente l’argomento più dibattuto e ha fatto sì che milioni di vegani nel mondo assumessero per anni integratori di questa vitamina, senza controllarne mai i livelli con appositi esami. In realtà il calo di vitamina B12 con un’alimentazione naturale ed equilibrata è un evento molto raro, viene associato molto di più a stati di carenza generalizzata di vitamine, incapacità di sintesi o stati di stress molto forte. Oggi ormai abbiamo casistiche piuttosto ampie di vegani e addirittura fruttaliani che non fanno uso di integratori e hanno livelli di B12 nella norma. L’integratore di vitamina B12 non ha comunque alcuna controindicazione, quella in eccesso semplicemente non viene assunta, pertanto se ci si sente più sicuri con la sua assunzione, è meglio assecondare il benessere psicologico e assumerla.
Il calcio è invece un argomento piuttosto recente, di cui si deve ringraziare la falsa informazione, diffusa massivamente dal secondo dopoguerra in poi, che il calcio si trovi solo in latte vaccino e formaggi. Invece, il latte animale è concepito per nutrire animali in genere grandi 4-5 volte un uomo o più, è un alimento che per l’uomo è troppo grasso e troppo ricco di proteine, difficilmente o comunque lungamente digeribile. Non c’è bisogno di latte animale per assumere calcio, anzi. Mandorle e latte di mandorle per esempio contengono normalmente più calcio del latte vaccino in commercio. Esistono poi i latti vegetali addizionati di calcio, il più comune è il latte di soia. In generale i vegetali a foglia verde scuro come cavoli neri toscani e spinaci sono ottime fonti vegetali di calcio, specialmente se consumati crudi. Un’altra ottima fonte di calcio è il tofu, il formaggio vegetale ottenuto dal latte di soia e largamente impiegato nella cucina asiatica, oltre che nella moderna cucina vegana. Addirittura un’ottima fonte di calcio possono essere le acque minerali ad elevato contenuto di calcio (oltre 300 mg/L) e povere di sodio (inferiore a 50 mg/L), oltre ad essere facilmente assimilabili. L’assunzione di un paio di litri di acqua al giorno, preferibilmente fuori pasto, fornisce una quantità di calcio di almeno 450-600 mg.
Ricordiamo inoltre che per una ottimale assunzione di calcio, è necessario mantenere sotto controllo la vitamina D che ne regola il metabolismo.
Con un’assunzione adeguata di calorie, con la dieta vegana è naturale soddisfare il fabbisogno proteico, non ci sono strani calcoli o tabelle particolari da seguire. Frutta, verdura, cereali e legumi forniscono già tutte le proteine e gli aminoacidi essenziali per un’alimentazione sana e una dieta bilanciata.
Nondimeno, alcuni sembrano essere davvero ossessionati dall’importanza delle proteine ingerite e di conseguenza i vegani sono bombardati da domande su riescano a soddisfare il loro fabbisogno proteico senza assumere prodotti animali. Sebbene le proteine siano senza dubbio nutrienti essenziali che rivestono diversi ruoli fondamentali nel funzionamento del nostro organismo, non ne sono necessarie enormi quantità e non sono proprio necessarie quelle animali, anzi, sono troppo pesanti e lunghe da metabolizzare per la tipologia di apparato digestivo di cui è dotato l’essere umano. Non solo: abbiamo bisogno di una quantità limitata di proteine, solo una caloria ogni dieci che assumiamo deve provenire dalle proteine, pertanto un piatto di lenticchie soddisfa giù ampiamente il fabbisogno giornaliero, così come altri legumi o latti vegetali. Lo sanno bene gli atleti che passano ad una dieta vegana: le prestazioni atletiche vengono migliorate grazie ad una dieta ricca di carboidrati e vegetali. Per quanto riguarda le proteine, comunque, la RDA, Recommended Daily Allowance o razione giornaliera raccomandata, stabilisce 8/10 di grammo (0.8 grammi) di proteine per ogni chilogrammo di peso corporeo. Poiché i vegani consumano varie fonti di proteine vegetali, una quantità compresa tra 0.8 ed 1 grammo di proteine per chilogrammo risulta essere la dose di proteine consigliata per i vegani. Nell’alimentazione vegana, però, è stato riscontrato che una quantità compresa tra il 10 ed il 12% delle calorie totali giornaliere proviene proprio dalle proteine, in netto contrasto con l’assunzione giornaliera di proteine dei non-vegetariani, che si avvicina al 15-17% delle calorie totali.
Non sembrano esserci vantaggi però per la salute nel seguire una dieta ad elevato contenuto proteico perché le diete ricche di proteine possono aumentare il rischio di osteoporosi e di patologie renali, oltre a provocare eccessiva acidità dell’organismo.
I vegani che seguono diete ben bilanciate consumando verdure, legumi, cereali, noci, semi e germogli, hanno raramente difficoltà nell’assumere la quantità adeguata di proteine se la loro dieta contiene sufficienti calorie per mantenere costante il loro peso corporeo.
Un ultimo falso mito della dieta vegana è la carenza di ferro perché il ferro è stato per anni erroneamente associato alle carni rosse. Ormai è stato confermato invece che la quantità di ferro assunto con la dieta vegana è ben superiore alle quantità che si possono assumere con la dieta vegetariana o con la dieta onnivora. I livelli ematici di ferritina dei vegani adulti che seguono una dieta bilanciata, sono di solito nei livelli di normalità. In realtà però non ci sono evidenze di legami tra assunzione di ferro tramite dieta e livelli di ferro riscontrabili nel sangue. Semmai, una dieta bilanciata è utile all’assorbimento del ferro, la cui assimilabilità varia tra il 2%-20% per il ferro non-eme, a circa il 20% del ferro eme. La quantità di ferro raccomandata, da introdurre giornalmente con una dieta onnivora per tenere costanti le scorte di ferro nell’organismo è di 10 mg nell’uomo e 18 mg nella donna, mentre per la donna in gravidanza è di 30 mg al giorno. I vegani però non hanno problemi a mantenere costanti questi livelli perché al primo posto tra i cibi ricchi di ferro vengono i germogli soprattutto di legumi, i legumi secchi crudi e i cereali.
In conclusione, come sostenuto nel Position Paper sulle diete vegetariane dell’ ADA, American Dietetic Association, “Una dieta vegetariana, intesa sia come latto-ovo-vegetariana che vegana, è in grado di soddisfare le raccomandazioni correnti per tutti i nutrienti chiave, compresi le proteine, il ferro, lo zinco, il calcio, la vitamina D, la riboflavina, la vitamina B12, la vitamina A, gli acidi grassi omega-3 e lo iodio”.
Certamente il passaggio all’alimentazione vegana non è semplice dal punto di vista psicologico, più che pratico, ma con un po’ di impegno e questo bel libro, la tavola sembrerà addirittura molto più ricca di prima. Sicuramente, sarà molto più sana e priva di crudeltà.
ALIMENTAZIONE VEGAN PER L’AMBIENTE
L’alimentazione vegana è l’unica sostenibile per l’ambiente
Nel giugno 2010 le Nazioni Unite attraverso l’Unap, il programma ONU per l’ambiente, hanno affermato per la prima volta che la transizione verso una dieta priva di prodotti animali è la via da seguire per risolvere i problemi ambientali e alimentari che affliggono il pianeta. L’attesa presa di posizione da parte del massimo organismo internazionale, conferma in realtà quello che molte associazioni animaliste e ambientaliste sostengono da diversi decenni. Nelle conclusioni di questo rapporto, ”Assessing the environmental Impacts of Consumption and Production”, gli scienziati mettono in guardia sui rischi del consumo di carne, pesce, latte e uova, che avrebbe conseguenze ambientali devastanti. Tali conseguenze ambientali, afferma però lo studio, sono prevenibili con un drastico cambiamento delle abitudini alimentari mondiali e la rinuncia all’utilizzo, da parte di tutti, dei prodotti animali. E’ stata una presa di posizione che fino a pochi anni fa sarebbe stata impensabile e dettata probabilmente all’incedere delle problematiche ambientali causate dagli allevamenti.
Secondo le proiezioni pubblicate quest’anno dalla FAO, infatti, l’attuale modello culturale e la diffusione del consolidato stile di vita occidentale porterà la produzione di carne a triplicare entro 2050 (arrivando dagli attuali 228 milioni di tonnellate a 463 milioni). La situazione però è soltanto ipotetica perché, come afferma lo studio, non è materialmente possibile una produzione del genere su questo pianeta. Senza un’inversione di tendenza, quindi, si andrà incontro a un disastro ambientale i cui effetti sono calcolabili e visibili già adesso, a partire dalle vaste aree forestali distrutte per far posto alle produzioni cerealicole, in particolare soia, destinate ad alimentare i bovini e suini negli allevamenti. Teniamo anche presente che il rapporto non calcola però il peso ambientale delle emissioni di gas metano negli allevamenti, un peso enorme per l’ambiente e la biosfera terrestre in particolare.
Il rapporto ONU, al contrario di quello della FAO, indica la zootecnia tra le prime voci delle priorità da affrontare nel prossimo futuro, imputando all’allevamento degli animali una delle cause primarie dell’origine dell’inquinamento e del riscaldamento globale. A quanto pare, dai dati ONU, l’allevamento provoca più danni all’ambiente rispetto alla produzione di materiali per l’edilizia e materie plastiche. Il motivo di questo pericolo ambientale insito negli allevamenti è imputato al fatto che le coltivazioni per i mangimi animali sono dannose quanto il consumo di combustibili fossili.
Negli ultimi duecento anni soprattutto, la zootecnia si è classificata come uno degli ambiti in cui è maggiore lo spreco delle risorse. In termini strettamente energetici, infatti, come testimonia il lavoro di ricerca del NEIC (Nutricion Ecology International Center), l’allevamento degli animali classificati “da reddito” è uno degli investimenti più dannosi per l’ambiente e gli animali stessi in questa catena vengono trasformati in consumatori forzati di proteine vegetali e animali, in cui erbivori come i bovini vengono costretti all’ingestione di farine di ossa e legumi estranei al loro metabolismo. Il processo è economicamente svantaggioso: servono 25 chili di cereali per ottenere un solo chilo di carne bovina. Se l’uomo invece si alimentasse direttamente con quei 25 chili di cereali, risolveremmo a livello mondiale molti problemi di malnutrizione, carestia e malattie.
Non dimentichiamo poi che l’8% di acqua potabile mondiale serve unicamente ad abbeverare gli animali reclusi negli allevamenti, mentre è enorme la quantità necessaria per coltivare i foraggi e i cereali che li nutrono. Oggi possiamo affermare, attraverso i dati del NEIC, che per ottenere un chilo di manzo da un allevamento, vengono impiegati duecentomila litri d’acqua, mentre ne bastano solo duemila per produrre la stessa quantità di soia, con un valore nutritivo addirittura superiore.
Se poi si pensa che allevare gli animali produce più emissioni di gas serra rispetto al settore dei trasporti e ben il 64% dell’ammoniaca mondiale, che concorre tra l’altro all’acidificazione degli ecosistemi e alla formazione di piogge acide, è chiaro come gli allevamenti contribuiscano anche a complicare gli sforzi per la conservazione della biodiversità.
Secondo l’ultimo rapporto FAO il 10% delle specie protette rischiano l’estinzione per cause riconducibili direttamente gli allevamenti intensivi, perché il 26% delle terre libere dai ghiacchi è destinato all’allevamento e soggetto a deforestazione e erosione, mentre le deiezioni animali, prodotte in quantità che i terreni non sono in grado di smaltire, contaminano gravemente gli ecosistemi acquatici.
Questi però, anche se sembrano tanti, sono solo alcuni dei costi ambientali degli allevamenti. Non è possibile fare un conto preciso di quanto incida a livello ambientale la produzione di un chilo di manzo, possiamo solo avvicinarci, perché ha implicazioni che riguardano tutti i settori dell’ecosistema Terra. Per esempio, da questa valutazione sono esclusi i calcoli su fattori cruciali come l’utilizzo intensivo di farmaci sugli animali d’allevamento, gli antibiotici scaricati attraverso il letame nei campi promuovendo la formazione di batteri e virus più resistenti, gli ormoni utilizzati per farli ingrassare velocemente o per fargli produrre più latte che incidono nell’uomo e negli altri animali con formazioni di cellule tumorali, infertilità, allergie ecc. Tutti questi fattori sono ancora in corso di studio, sebbene se ne possano vedere empiricamente gli effetti sulla popolazione occidentale.
Cambiare in meglio è alla portata di tutti. Il rapporto tra dieta e salvaguardia del pianeta è diretto, oggi sappiamo che la dieta carnivora è la fonte principale di inquinamento mondiale. Poche volte nel corso della storia dell’umanità, la responsabilità di salvare il mondo è passata dalle scelte quotidiane dei singoli. Un cittadino, un uomo, da solo non può fermare una guerra o una carestia, ma può, concretamente, salvare il mondo scegliendo l’alimentazione vegana.
Grazia Cacciola
– Questo testo è stato incluso a titolo gratuito, con il consenso dell’Autrice, nella prima edizione del libro “Nobili scorpacciate vegan” di Renata Balducci, Quantic Publishing. –
***Purtroppo questo testo è spesso vittima di copiature e rimaneggiamenti da parte di persone che se ne attribuiscono la paternità. Mi spiace che per alcuni sia così complicato citare una fonte o scrivere di proprio pugno le motivazioni della propria scelta. Citare una fonte è indice di intelligenza, scopiazzare e attribuirsene la paternità è meschino, oltre ad essere un illecito perseguibile.***
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