Testo della conferenza per il Premio Giornalistico Sabrina Sganga – Firenze, 23 maggio 2015
Il tema dell’anno era “La democrazia del cibo” e mi è stato chiesto di parlare di questo aspetto, nel ciclo di conferenze che hanno preceduto la premiazione e sono state aperte dalla relazione del presidente del premio, Franco Gesualdi. Si tratta di un aspetto spesso volutamente ignorato anche dagli “ecologisti”: il peso ambientale, salutistico ed etico degli allevamenti. Inaspettatamente, davanti a un folto pubblico di onnivori, il discorso è stato accolto con un applauso e sono state diverse le persone che si sono fermate a chiedermi maggiori informazioni e sono seguite via email richieste del testo integrale del discorso.
Riporto di seguito il testo del mio intervento che è comunque già disponibile come podcast grazie a ControRadio che ha trasmesso in diretta l’intera manifestazione.
L’insostenibilità etica ed ecologica del comparto zootecnico
(Sinossi)
L’ONU e la FAO sostengono che la transizione verso una dieta priva di prodotti animali risponderebbe ai problemi ambientali e alimentari che affliggono il pianeta. Contemporaneamente, nell’evoluzione culturale e sociale del nostro secolo, aumenta il numero di chi si pone il problema dell’etica e del rispetto verso gli altri animali, per far cessare le loro sofferenze e progredire così verso un futuro di sostenibilità ecologica e spirituale.
(Conferenza)
Nel giugno 2010 le Nazioni Unite attraverso l’UNAP, il programma ONU per l’ambiente, hanno affermato per la prima volta che la transizione verso una dieta priva di prodotti animali è la via da seguire per risolvere i problemi ambientali e alimentari che affliggono il pianeta. La presa di posizione, da parte del massimo organismo internazionale, conferma in realtà quello che molte associazioni animaliste e ambientaliste sostengono da diversi decenni. Nelle conclusioni di questo rapporto gli scienziati mettono in guardia la popolazione mondiale sui rischi del consumo di carne, pesce, latte e uova, un consumo che avrebbe conseguenze ambientali devastanti. Tali conseguenze ambientali sono prevenibili con un drastico cambiamento delle abitudini alimentari mondiali e la rinuncia all’utilizzo, da parte di tutti, dei prodotti animali. E’ stata una presa di posizione che fino a pochi anni fa sarebbe stata impensabile e dettata dall’aumento dei problemi ambientali causati dagli allevamenti.
Secondo le proiezioni pubblicate lo scorso anno dalla FAO, l’attuale modello culturale e la diffusione dello stile di vita occidentale porterà la produzione di carne a triplicare entro il 2050 (arrivando dagli attuali 228 milioni di tonnellate a 463 milioni). La situazione però è soltanto ipotetica perché, come afferma lo studio, non è materialmente possibile una produzione del genere su questo pianeta. Senza un’inversione di tendenza, quindi, si andrà incontro a un disastro ambientale i cui effetti sono calcolabili e visibili già adesso, a partire dalle vaste aree forestali distrutte per far posto alle produzioni cerealicole e a quelle di soia, destinata all’alimentazione di bovini e suini.
Il rapporto ONU, così come quello della FAO, indica la zootecnia tra le prime voci delle priorità da affrontare nel prossimo futuro, imputando all’allevamento degli animali una delle cause primarie nell’inquinamento e nel riscaldamento globale. Dai dati ONU, l’allevamento provoca più danni all’ambiente rispetto alla produzione di materiali per l’edilizia, alla raffinazione di petrolio e alla produzione di materie plastiche.
Negli ultimi duecento anni soprattutto, la zootecnia si è classificata come uno degli ambiti in cui è maggiore lo spreco delle risorse. In termini strettamente energetici, infatti, come testimonia il lavoro di ricerca del NEIC (il Nutrition Ecology International Center), l’allevamento degli animali classificati “da reddito” è uno degli investimenti più dannosi per l’ambiente. Gli animali stessi in questa catena vengono trasformati in consumatori forzati di proteine vegetali e animali, in cui erbivori come i bovini vengono costretti all’ingestione di farine di ossa e legumi, estranei al loro metabolismo. Il processo è economicamente svantaggioso: servono 25 chili di cereali e legumi per ottenere un solo chilo di carne bovina. Una famiglia di quattro persone vive due giorni con un chilo di carne bovina, ma vive un mese intero con 25 chili di cereali e legumi; capite anche voi che abbiamo già la soluzione principale per molti problemi mondiali quali malnutrizione, carestia e malattie da carenze alimentari.
Non dimentichiamo poi che l’8% di acqua potabile mondiale serve unicamente ad abbeverare gli animali reclusi negli allevamenti, mentre è enorme la quantità necessaria per coltivare i foraggi e i cereali che li nutrono. Oggi possiamo affermare, attraverso i dati del NEIC, che per ottenere un chilo di manzo da un allevamento, sono impiegati duecentomila litri d’acqua, mentre ne bastano solo duemila per produrre la stessa quantità di legumi, con un valore nutritivo addirittura superiore.
Se poi si pensa che allevare gli animali produce più emissioni di gas serra rispetto al settore dei trasporti e ben il 64% dell’ammoniaca mondiale, che concorre tra l’altro all’acidificazione degli ecosistemi e alla formazione di piogge acide, è chiaro come gli allevamenti contribuiscano anche a complicare gli sforzi per la conservazione della biodiversità.
Perché allora gran parte del mondo continua a consumare carne? Per lo stesso motivo per il quale continua a consumare farmaci non strettamente necessari, a consumare alimenti con additivi che si sa già essere cancerogeni o a utilizzare litri di benzina solo per vedere quale auto corre più veloce. L’ignoranza.
Molto probabilmente durante una delle prime glaciazioni la scarsità di cibo vegetale e la necessità di sopravvivenza hanno fatto seguire all’uomo l’esempio di altri animali predatori. Non potendo competere ad armi pari perché non fornito di armi ‘naturali’ come artigli e zanne, ha cominciato a costruirsi degli strumenti con cui cacciare le sue prede ed è diventato un cacciatore molto particolare: l’unico di tutto il regno animale a non servirsi della dotazione fornitagli dalla natura. Quella dell’uomo rimane la dotazione di un erbivoro, dalle “armi” spuntate come unghie e denti, alla conformazione del suo apparato digerente. Oggi però non esiste più la necessità di una sopravvivenza estrema in un ambiente privo di risorse vegetali: l’uomo vive in una condizione di agio e con una ricchezza in materia di biodiversità per frutti e erbe disponibili che fa apparire insensato nutrirsi con le proteine delle carcasse di altri esseri viventi.
Per generazioni ci hanno ripetuto che le proteine della carne non sono sostituibili e che senza carne non si può sopravvivere. Da centinaia di studi condotti dalla metà del sec. XIX ad oggi, sappiamo invece che non solo si può vivere senza carne e pesce, ma addirittura la qualità della vita e della salute migliora moltissimo quando si torna ad una dieta che per l’uomo è più naturale.
L’evoluzione ci ha portato anche a un grado di cultura maggiore, che ha portato una maggiore riflessione ed empatia verso i diritti degli animali, trattati ancora non come esseri viventi ma come merci, solo perché più deboli e indifesi. Grazie a questo grande affare che è l’alimentazione onnivora, gli interessi degli allevatori sono tutelati molto di più dei diritti animali. Tutelare gli animali vuol dire anche, da parte dei governi, delle organizzazioni e delle associazioni locali, permettere e incentivare, una libera circolazione di idee, che faccia arrivare a tutti le corrette informazioni su quanto gli animali devono soffrire per arrivare nei piatti dell’evoluto occidente. E quanto non ci sia bisogno di tutto questo massacro di animali innocenti.
Per quanto i media mostrino immagini di mucche felici sulle confezioni di hamburger e formaggi, non c’è alcun animale felice in un allevamento. In un allevamento ci sono da decine a centinaia di animali tenuti in cattività, in condizioni di profondo disagio, di scarsa igiene e senza nemmeno lo spazio sufficiente per muoversi. Le scrofe allattano i loro piccoli costrette in gabbie grandi quanto il loro corpo, costrette in posizione supina a terra per la massima disponibilità alla lattazione, mentre le vacche non allattano più i vitelli che vengono cresciuti con farine e latte artificiale mentre il loro latte, quello delle loro mamme, viene prelevato e incapsulato in inquinanti confezioni di tetrapak perché lo beva e lo utilizzi una razza che in natura non dovrebbe nemmeno avervi accesso: l’uomo. L’uomo è l’unico consumatore di latte materno di altre specie.
La follia di questo dovrebbe essere palese a chiunque, ma cresciamo accecati da una tradizione che ci presenta il latte e la carne come alimenti “naturali”: non lo sono. Sono il prodotto di sofferenze enormi di altre specie, il prodotto della loro schiavitù e un peso insostenibile per l’ambiente. Le vacche vivrebbero anche vent’anni ma ne passano in media solo cinque in questo mondo, costrette all’allatamento forzato dodici mesi all’anno, con mastiti e dolori costanti, mai per i loro figli vitelli: questo è il latte. Vi sembra “sano” o “naturale”? Il tanto decantato prosciutto crudo dop non è un prodotto sano e naturale: è la coscia di un essere vivente che è vissuto poco e male in un allevamento intensivo ed è stato macellato tra enormi sofferenze. E’ questa l’angolazione realistica con cui guardare un prosciutto. E non c’è nulla di sano e naturale nel mangiare il sedere di un altro essere vivente!
Secondo l’ultimo rapporto FAO, il 10% delle specie protette rischiano l’estinzione per cause riconducibili direttamente agli allevamenti intensivi, perché il 26% delle terre libere dai ghiacci è destinato all’allevamento e soggetto a deforestazione e erosione, mentre le deiezioni animali, prodotte in quantità che i terreni non sono in grado di smaltire, contaminano gravemente gli ecosistemi acquatici.
Questi però, anche se sembrano tanti, sono solo alcuni dei costi ambientali degli allevamenti. Riprendendo il discorso del chilo di manzo prodotto con venticinque chili di cereali e duecentomila litri di acqua, mi voglio anche correggere dal sola sul riportare questo dato, perché in realtà non è possibile fare un conto preciso di quanto incida a livello ambientale la produzione di un chilo di manzo, possiamo solo avvicinarci. Ha implicazioni che riguardano tutti i settori dell’ecosistema Terra. Per esempio da questa valutazione sono stati esclusi i calcoli su fattori cruciali come l’utilizzo intensivo di farmaci sugli animali d’allevamento, anche biologico, gli antibiotici scaricati attraverso il letame nei campi promuovendo la formazione di batteri e virus più resistenti, gli ormoni utilizzati per fare ingrassare velocemente i bovini o per fargli produrre più latte, ormoni che incidono nell’uomo e negli altri animali con formazioni di cellule tumorali, infertilità e allergie. Tutti questi fattori sono ancora in corso di studio, sebbene se ne possano vedere empiricamente gli effetti sulla popolazione occidentale.
Cambiare in meglio questo pianeta è già alla portata di tutti. Il rapporto tra alimentazione e salvaguardia del pianeta è diretto, oggi sappiamo che la dieta carnivora è la fonte principale di inquinamento mondiale. Poche volte nel corso della storia dell’umanità, la responsabilità di salvare il mondo è passata dalle scelte quotidiane dei singoli.
Un cittadino, un uomo, da solo non può fermare una guerra o una carestia, non può far fronte da solo alla fame in Africa, ma può concretamente salvare il mondo scegliendo l’alimentazione etica e naturale, senza prodotti animali.