Io scrivo sia per lavoro che per piacere, è la mia creatività principale e quella che cerco di alimentare il più possibile. Quindi cosa ci faccio con un tavolo da disegno? E con delle macchine da cucire, i fili da ricamo, la maglia, l’uncinetto, la cucina ecc.?
Mi chiedete spesso come faccio a essere sempre piena di idee e voglia di fare. In parte è apparenza, un’apparenza involontaria. Ovvero, vedete quello che scrivo qui o posto sui social e pensate automaticamente che io sia sempre così, indaffarata a creare e autoprodurre. Normale, perché non vedete tutte le volte che mi trasformo in un copridivano, mentre spero che nessuno mi disturbi mentre faccio un beato nulla. Il che comunque fa parte della creatività: staccare ogni tanto è fondamentale.
La creatività è collegata a piacere e curiosità
Per il resto, il segreto principale per la creatività è mantenere attivi il piacere e la curiosità, che sono strettamente collegati secondo me. Non ho mai trovato persone molto curiose di qualcosa che non gli piaccia. Se mi state per dire “E tutta questa curiosità per crimini e omicidi, allora?”. Esatto. Si tratta di una curiosità stimolata dal piacere: il piacere per la morbosità, per i dettagli, per lo spavento, per la condivisione dell’argomento con altri. I motivi di piacere individuali sono tanti. Ognuno ha il suo piacere nell’interessarsi a qualcosa e la curiosità è sempre collegata a quello. Ma nessuno può importi il piacere, nemmeno ce lo si può auto-imporre.
La creatività va alimentata
Conosco persone che, per esempio, scrivono per lavoro e passione ma che spesso sembrano trascinarsi in questa attività. Piuttosto che finire un articolo, risistemano un armadio o l’intera casa. Conosco persone creative che hanno svoltato facendone un’attività remunerativa ma che poi si ritrovano a odiare quasi. Giorni fa una splendida donna che aveva seguito il mio corso (Cambio vita, mi reinvento), mi ha detto “Pensavo che passare la giornata a dipingere e insegnare a dipingere fosse il mio sogno, ma adesso entro nello studio e vorrei non doverlo fare. Ciondolo in giro e non mi viene l’ispirazione… mi sento scarica. Praticamente sto solo insegnando.”. Spero che questo articolo aiuterà lei e altre, così come aiuterà me nei momenti di stallo.
La creatività va diversificata
Nessun problema il momento di stallo, capita a chi lavora in settori artistici/creativi. L’errore principale, ve lo dico subito, è incanalare la creatività in un solo posto.
Io scrivo, principalmente. Poi stacco girovagando per boschi e spiagge ma, soprattutto, disegno, dipingo, cucio, lavoro a maglia. Queste sono solo le principali zone in cui do spazio a una creatività diversa dallo scrivere, almeno negli ultimi due anni. Gli interessi cambiano e gli dò un po’ di spazio. Il risultato è che la creatività aumenta nel mio lavoro principale, scrivere!
L’importanza della costanza
Queste altre attività variano, come dicevo, a seconda dei momenti e del sentire. Non dovendo produrre nulla di lavorativo (occhio a non far diventare tutto un lavoro, altrimenti non funziona, vedi più avanti!), sono libera di prenderle e lasciarle quando mi sento di farlo. Non a casaccio, ci vuole una logica. Se sto seguendo un corso di disegno, non lo lascio a metà perché ho deciso di dedicare quelle due ore alla settimana a imparare lo yoga kundalini. Finisco il corso di disegno e metto in conto un corso di yoga kundalini in futuro, se proprio non posso vivere senza.
Perché questa forzatura se dobbiamo alimentare la creatività? Perché il nostro cervello funziona in gran parte su abitudini acquisite: se continuiamo a prendere e lasciare, porteremo questa abitudine ovunque, anche nel lavoro. Effetti disastrosi assicurati.
Il mio consiglio è di utilizzare il piacere dell’attività libera anche come palestra comportamentale. Funziona bene.
Creatività: 10 cose che faccio per alimentarla
- Dò priorità al nutrimento per la creatività. Mentre scrivo la bozza di questo articolo per il blog, è domenica mattina e sono nel mio studio. Non dovrei essere qui. Ma sai cosa? Ieri ho cucito a macchina tutto il pomeriggio, mi sono divertita tantissimo e ho imparato a usare un nuovo piedino per il sopraggitto. Ho urlato “Eureka!” quando finalmente ho capito come mai i miei sopraggitti venivano a lombrico contorto invece che piatti ed eleganti come quelli dei sarti. Adesso sono piatti, leggiadri e impalpabili anche i miei.
Stamattina, guarda un po’, mi sono svegliata con la voglia di scrivere un articolo sulla creatività prima di andare a fare una passeggiata in spiaggia. Se invece ieri mi fossi auto-imposta di scrivere questo articolo, avrei buttato giù una bozza e girovagato tra altri contenuti online facendo passare il tempo. Oggi mi sarei alzata dicendo “No… devo finire il post… uff… vabbé magari nel pomeriggio o martedì”. - Festeggio le vittorie al di fuori del lavoro. Riuscire a utilizzare un piedino per il sopraggitto è una scemenza per le sarte. Io invece sono gasatissima della nuova meta raggiunta e questo stimolerà parecchio anche la mia autostima sul lavoro, è scienza comportamentale.
Un altro esempio. Anni fa ho festeggiato il mio ritorno al disegno dopo tanto tempo, creando uno sgorbio informe. Poi ho imparato nuove tecniche del chiaroscuro e le ho raccontate ogni volta al mio compagno e ad amiche vere, tutta felice per il risultato (e loro felici per i brindisi estemporanei, sbevazzone!). - Prenderla sul serio, anche se per gli altri “è un hobby”. Se sto cucendo qualcosa, vado a chiedere pareri a chi c’è in casa: “come mi sta? meglio così o così?” e non mi limito al “guarda cos’ho fatto oggi” che può far passare la migliore opera d’arte per un pupazzetto di pongo. Spiego man mano difficoltà e mete raggiunte. Come effetto collaterale, il mio compagno non è mai a corto di idee per i miei regali, viene coinvolto nella passione del momento e sa sempre se è meglio una banale collana o la valigetta completa del Dremel 4000. (Mia suocera è ancora allibita dal fatto che io abbia gradito un trapano a percussione per un compleanno)
- Mi attrezzo bene anche se non è il lavoro principale. Non serve comprare cose nuove, ma sistemarsi uno spazio per la propria passione, secondo me, è doveroso. Lo spazio è la prima cosa importante. Anche uno spazio piccolo. Qualcosa che sia sempre lì ad accoglierti.
Inizialmente avevo un trolley vecchio pieno di colori, più cavalletto da tavolo e album. Tenevo tutto nel ripostiglio. In due minuti, aprivo il trolley, il cavalletto e potevo disegnare o dipingere ovunque ci fosse un tavolo. Qualsiasi mia soluzione per i lavori di creatività è sempre stata dettata dal poter avere tutto pronto per cominciare in massimo due minuti. Se no non funziona.
Il problema con trolley e cavalletto da tavolo è che continuavo a occupare la cucina e proporre una piada fuori per cena, per non sbaraccare le mie opere d’arte del fine settimana.
Parlandone con un’amica, mi ha detto che aveva messo in vendita il tavolo da disegno del figlio che, finito il liceo artistico, deve proseguire con altre attrezzature più grandi. L’ho preso al volo, ho rivestito il piano di lavoro in un pomeriggio e fatto spazio nel mio studio (questa è stata la parte più difficile perché lo studio è piccolo e a prima vista il tavolo da disegno non ci stava).
Comunque, ora ho una postazione con tavolo da disegno sempre pronta e davanti a una porta-finestra, il top per me! Ma ho cominciato con un trolley di vent’anni che ha viaggiato per mezzo mondo. - Non prenderla così tanto sul serio da non ridere. Il mio compagno mesi fa mi ha regalato un corso di acquerello con un pittore professionista che è uno dei grandi nomi del settore, serissimo, un genio del pigmento annacquato, uno che prende pochi studenti ed è stato battuto all’asta da Christie’s, nientemeno. Non dico il nome perché a mio modesto avviso è un borioso noiosissimo. Ma siccome non devo diplomarmi all’accademia né fare l’acquarellista con pedigree, rido ancora molto raccontando delle tre ore (tre!) di lezione sulla consistenza della carta. Siamo stati immobili davanti al tavolo da disegno attrezzato, ascoltandolo in religioso silenzio, appollaiati su quei comodissimi sgabelli da artista che sono comodi solo se devi appoggiare una chiappa mentre fai volteggiare il pennello – indossando un basco in una soffitta di Parigi, s’intende. Per qualsiasi altra cosa ti fanno urlare pietà dal coccige in su.
Ridere fa benissimo alla creatività e alla vita in generale, libera endorfine e schiarisce le nubi all’orizzonte. - Non sentirti in colpa. Sicuramente qualcuno penserà che prima di comprare un tavolo da disegno, anche se di seconda mano, potevo far aggiustare quelle due crepe sul muro in cortile. O che prima di comprare una macchina da cucire (sempre di seconda mano) potevo prendere quel corso di lavoro che mi servirebbe proprio.
Gli altri possono pensare quel che gli pare, ma per me e anche per il mio lavoro, la creatività è una priorità, nutrirla è più importante di una crepa in cortile. Queste scelte mi aiutano anche a pagare il muratore che sistemerà la crepa. O magari imparerò a fare anche questo, chi lo sa. - Silenzio il telefono e i social. Se voglio passare un pomeriggio a disegnare, o anche a cucire a macchina, nessuno mi può rubare quel tempo. Non sono un cardiochirurgo con la reperibilità, tutto il mondo può fare a meno di me un’ora o mezza giornata. Onestamente credo che non se ne accorga nessuno quando silenzio tutto. Al massimo rispondo a qualche messaggio in ritardo, che sarà mai. Ma intanto mi sono piacevolmente immersa nella mia passione, uscendone rinnovata e felice.
Non silenzio completamente internet perché mi può servire qualche tutorial o segnarmi qualche matita. In questi casi non vengo distratta da notifiche e messaggi. Bisogna essere caute, ci va un attimo a rispondere a un messaggio, trovarsi in una conversazione di tre ore e perdere l’unico pomeriggio libero per la nostra passione. - Cuffie sì, cuffie no. Se disegno posso tranquillamente ascoltare dei podcast o della musica, a seconda del momento. Sto benissimo, mi isolo e mi piace. Ma se cucio a macchina, le cuffie sono fuori discussione: non sentirei rumori che pre-avvertono di qualche problema. Ho provato a cucire e ad ascoltare qualche podcast senza cuffie ma sono ancora in una curva di apprendimento alta (adesso si dice così, significa che non ne so mezza e devo frequentemente direzionare i miei neuroni verso Burda Style. Manuale di cucito.).
Mi distraevo così tanto tra la macchina da cucire, le istruzioni e i podcast, che a un certo punto avevo cominciato ad ascoltare il delitto di Pietro Maso ma finiva che era fidanzato con un certo Omar e si facevano chiamare Le bestie di Satana. In più, dopo due pomeriggi d’inverno a cucire nel laboratorio semi buio e molto freddo, ascoltando il podcast Demoni urbani, ho iniziato a guardare con sospetto tutti i vicini di casa. Sentivo ormai la voce di Francesco Migliaccio che mi seguiva “Grazia aveva appena finito di cucire una tenera cuccia per il gattino di casa, quando la vicina suonò il campanello. Non sapeva che aprire sarebbe stato il più grande errore della sua vita, una vita che terminò in soli venti secondi sotto i colpi di ascia sferrati con forza, in sequenza, uno dopo l’altro, senza fermarsi. Quarantadue colpi e mezzo, con il cervello che schizzava su tutte le pareti e colava dai muri…”. Ecco, questo non aiuta la creatività e nemmeno il buon vicinato. - Non mi sento in competizione. Posso fare peggio o meglio di altri, non lo saprò mai perché guardo raramente agli altri come degli avversari. Posso copiare un disegno bello che ho visto e che mi affascina, tanto non devo venderlo a nessuno (in quel caso sarebbe un plagio) e potrò dire tranquillamente “è una copia di Tizia, l’ho fatta per esercitarmi”, senza sentirmi per questo sminuita nelle mie capacità creative. Il disegno della margheritona che c’è sul mio tavolo da disegno in alcune foto è un esercizio-copia del corso di disegno che ho fatto qualche tempo fa e che sto finendo in questi giorni. Non è nemmeno un granché ma non credo che questo vi stia facendo inorridire.
Per chi fa lavori legati alla creatività, è bellissimo e terapeutico fare qualcosa senza dover dimostrare la propria capacità creativa. Rilassante. - Se diventa sporadicamente un lavoro, mi do dei limiti. Anni fa, chi passava davanti alla mia scrivania vedeva questo adesivo attaccato proprio sotto il monitor: “Io scrivo”. Qualcuno avrà pensato che ero molto soddisfatta del mio lavoro, come la Pausini con l’album “Io canto“. Altri avranno pensato che era una qualche intellettualistica affermazione del sé che si infutura nella genesi della romanziera mancata. Nessuno mi ha mai chiesto cosa volesse dire, comunque.
Era un appunto continuo per me, per le richieste “tu che disegni, puoi…”. Ho illustrato due libri (ta-da!), lavoro molto con la grafica perché online parola-immagine-suono sono strettamente collegati e ho persino realizzato l’insegna di due negozi di amici, ricevendo complimenti anche dalla ditta di insegne che gli ha chiesto “il contatto di questo grafico”. Ho dovuto rispondere che non è il mio lavoro, così l’hanno messa solo tra le insegne nel loro portfolio.
Ma non lo sto dicendo per tirarmela, solo per avvisarvi: una passione può diventare un lavoro e quello va benissimo. Ma deve essere la passione più grande. I creativi devono avere più di una passione creativa. Se anche altre passioni diventano un lavoro, solo perché si è bravi a fare qualcosa, quello finisce presto per diventare un caos di stress, frustrazione e insoddisfazione.
Per esempio: mi piace disegnare, ma odio profondamente che mi si dica cosa disegnare, mi stufo subito. Ho una bambina di tre anni in testa che presiede all’area disegno “Disegno quello che voglio se no me ne vado”. Se poi mi chiedono delle modifiche all’opera, prima mi mortifico e poi mi offendo mortalmente, tolgo il saluto, li addito come trogloditi ignoranti e mi chiudo in un sostenuto e arrogante silenzio. Una volta ho risposto a una richiesta di modifica stracciando il disegno e sentenziando “Fattelo fare da qualcun altro, allora!”. Ma posso lavorare così? Impazzirei io, i clienti e odierei tutto il mondo. Quindi è ovvio che si tratti solo di una passione che alimenta la mia creatività e le Cartiere Fabriano.
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