C’è una storia che ultimamente mi torna in mente spesso e in realtà non ne ho nemmeno un ricordo chiaro, ho più un ricordo del racconto ripetuto centinaia di volte da mia madre ai conoscenti, a supporto del fatto che fossi da sempre una peste, fin dalla più tenera età. Per me è un’idea tenera del fatto che in qualche modo cercassi di editare la vita già dall’inizio.
Mia madre invece l’ha sempre raccontata a tutti come uno dei primi problemi che le ho creato, anteprima di una lunga serie di alzate d’ingegno di quella figlia che, inspiegabilmente, non voleva stare ferma e zitta. Non erano ancora arrivati i libri che svelano ai novelli genitori che i bambini normali non stanno fermi e zitti, non sorridono a comando e non dicono sì a ogni richiesta. Al tempo tutti credevano che gli sarebbe arrivato il paffuto bimbetto della pubblicità Plasmon, sempre sorridente e pulito, pronto da mostrare agli amici e poi rinchiudere senza pensieri nel suo loop infinito di latte e biscotti. Essendo perfetto, evitava anche di crescere. Molti ci restavano male quando invece gli mettevano tra le braccia un neonato vero. Allibiti, scoprivano che invece della perfezione della mammina Plasmon, gli era toccato Rosemary’s Baby.
La storia del primo editing
Dal punto di vista di mia madre, la storia andò così. Mentre era al lavoro ricevette la telefonata dell’asilo che la informava in modo agitato che sua figlia non si trovava più, la stavano cercando ma valutavano di iniziare a chiamare la Polizia. Mancavo da un’ora, un’ora che stavano rivoltando l’asilo. Mentre usciva di corsa, ritelefonarono: mi avevano trovata, ero in un’altra classe. Ma la questione non finiva lì. Il fatto è che non ero una tonta che poteva aver sbagliato classe e magari mettersi a piangere disperata. La cosa che spiazzò le maestre era che la treenne dispersa stava seduta volontariamente e tranquillamente in un’altra classe a disegnare, consapevole che non fosse la sua classe e la sua maestra. Per scelta.
Stendendo un velo pietosissimo sulla maestra che non si era accorta di avere in classe una bambina in più mentre tutto l’asilo veniva rivoltato per trovarla, l’epilogo venne raccontato alla genitrice accorsa sul posto. A quanto pare, la bambina argomentava appassionatamente la sua decisione di cambiare classe. In quella classe, aveva notato, si disegnava di più e il pisolino durava meno perché era la prima classe servita dalla merenda. Questo comportava che i bambini di quella classe dovessero fare pisolini più brevi (una faccenda che la scocciava enormemente dato che lei doveva far finta di dormire), finché finalmente erano liberati dal carrello della merenda e potevano uscire a giocare. Molto prima della classe a cui era assegnata, che veniva servita quasi per ultima.
Visto che i motivi della fuga non erano allarmanti e si era in anni senza troppe letture su come allevare i figli e condivisioni dell’evento sui social, la storia ebbe un epilogo classico: una sgridata, vaghe minacce su rapimenti da parte di uomini neri e lupi cattivi se l’avessi rifatto, infine una ramanzina sul non lasciare la propria classe senza permesso. Mia nonna al racconto sgranò gli occhi, se lo fece ripetere, mi pregò anche lei di non rifarlo e poi se ne andò cercando di non ridere troppo visibilmente. Da allora ogni tanto mi chiamava “la Kuliscioff”, “Ecco che arriva l’Anna Kuliscioff“.
La settimana seguente, i bambini da cercare erano quattro. Ci trovarono nell’altra classe, questa volta per merito della maestra che si accorse di averne quattro di troppo, si era svegliata. La fuga durò non più di dieci minuti, perché non avevo calcolato che convincere altri tre bambini a seguirmi avrebbe comportato il renderci più evidenti e rintracciabili. Però capii la forza del gruppo: la nostra maestra, invece di spaventarsi la prese sul serio. Forse aumentò il tempo di disegno. Sicuramente si accordò con la mensa: invece di fare sempre lo stesso giro per la merenda, avrebbero cominciato alternativamente da uno dei due corridoi così i bambini sarebbero usciti prima, a settimane alterne.
Editare la storia
Invece no. Questo non è quello che è successo davvero, salvo l’epilogo. La maestra che introduce dei cambiamenti è la soluzione che la me adulta avrebbe visto come più logica, quello che avrei voluto raccontarvi.
Non so che impedimenti ci fossero, o semplicemente nessuno ci aveva pensato. O forse la maestra si era adirata, offesa per il tentato ammutinamento o forse era stata rimproverata dalla direttrice. Chi lo sa. La vera storia della seconda fuga con altri tre bimbi, finì invece con il mio trasferimento nella classe Turchese.
La parola “turchese” la trovavo affascinante, non banale come azzurro. Era una classe all’inizio del corridoio, perciò usciva in giardino sempre per prima. Si disegnava molto. Mia madre fece amicizia con la maestra Luisa della classe Turchese, io la adoravo. Ci faceva anche coltivare un piccolo orto e ogni tanto uscivamo dall’asilo con delle “verdure” da cucinare a casa. Il mio momento di orgoglio fu un mazzone di prezzemolo, subito mortificato in un minestrone alla milanese, piatto che ho detestato fino all’età adulta e che si riassume con verdure stracotte in mezzo a lenzuoli di spinaci, in un’oceano deprimente di brodo che non si raffredda mai.
Mia sorella anni dopo fu iscritta alla stessa classe della maestra Luisa, visto che a me andò bene per tre anni. La mia faticosa conquista venne dimenticata o ricordata solo come quella volta che avevo spaventato tutto l’asilo. Incontravo ogni tanto la maestra Luisa in giro, poi un giorno si trasferì con il marito e la figlia negli Stati Uniti e non la incontrai più. A poco a poco, impercettibilmente, calavano le persone che mi ricordavano ridendo che già a tre anni guidavo piccole rivolte. Restai alla fine quella della versione materna, la “difficile da gestire”, con una testardaggine epica, mentre mia sorella era quella tranquilla che si godeva le mie conquiste, senza che nessuno se le ricordasse più.
Editare la vita
Oggi, quando mi chiedono come mai ho cambiato così tanti luoghi, case, perché ho cambiato spesso lavoro, che significato abbia tutto questo girovagare e mutare, rispondo che mi piace migliorare. Non so accontentarmi di qualcosa che non va, non ci riesco, allora cerco di arrivare a una situazione migliore. Magari non sarà la situazione ideale per chiunque, ma lo è per me. Ho vissuto per anni in una casa in mezzo ai boschi perché in quel momento era la mia scelta ideale, perché mi piaceva. In quel momento era così. Poi la vita continua, si cambia e la situazione ideale può diventare un’altra. Allora cambio di nuovo, non mi fermo. Non ho bisogno di dimostrare una coerenza al passato, ho bisogno semmai di editare la mia vita nel presente.
Molto tempo fa mi piaceva la campagna della Lomellina, poi mi è piaciuto l’Appennino Tosco-Emiliano, oggi mi piace la riviera romagnola. Ci sono persone che sono già nate qui, che fortuna, ma non mi limito a guardarle da lontano e pensare solo “che fortuna, sono già nati lì”. Valuto che mi piacerebbe essere lì, come ho fatto ormai tre anni fa. Progetto, mi sposto. Miglioro. Come se fosse, da sempre, un editare la mia vita, correggere una bozza che in sostanza è buona ma ha bisogno qualche aggiustamento qui e là. L’aggiustamento può essere vivere altrove da dove sono, o semplicemente ottimizzare e abbellire una cucina che so che tra un paio di anni se ne andrà. Ma intanto, in quegli anni, ci sono io tutti i giorni: la mia estetica, il mio stare bene anche con gli oggetti che mi circondano, il mio voler esistere in questo mondo al meglio per me. Non potrei compiacermi di una casa che non mi accoglie, anche se fuori il paesaggio fosse bellissimo, anche se mi posso godere i tramonti infuocati sulla spiaggia e il mare all’alba in totale silenzio. Nello stesso modo non potrei amare un luogo attorno orrendo, dovrei migliorarlo, andare altrove, come ho fatto quando ho lasciato Milano (che in realtà è bellissima per altri motivi, ma non se vuoi una vita a contatto con la natura).
Non potrei nemmeno vivere in un posto solo perché ci sono nata o l’ha deciso qualcun altro o il fato: devo amare profondamente il pezzetto di terra su cui vivo, la gente attorno, quello che faccio tutti i giorni.
Così, pian piano, ottimizzo tutto, edito un pezzo alla volta la mia vita, riorganizzo il cassetto delle spezie come un nuovo libro, progetto e pianifico un trasloco come un cambio di lavoro. Cerco nuove vie per stare bene in tutti i miei modi di essere qui, su questo pianeta, esattamente come quella volta che all’asilo decisi che preferivo un’altra classe. Le porte che sembrano chiuse probabilmente resteranno tali. Ma affrontarle ci può portare verso altre porte aperte che non conoscevamo.
Foto Credit: Grazia Cacciola. Porta chiusa con filo spinato, su palafitta inaccessibile. Porto Garibaldi, FE
13 Commenti
Bentrovata Grazia!!!! mi sei mancata!
Mi piace questa definizione e la condivido pienamente…..che dire? ho appena finito di “editare” il camper!!!!
Ciao Cristina, che bello ritrovarti! Ma come hai scoperto il post?! Mi sono accorta che non è partita la newsletter ieri. Il tuo camper è veramente un editing-masterpiece di restauro creativo, ho visto le foto… Ora chissà che bei viaggetti! Ti mando un grande abbraccio!
😊
Sempre d’accordo!
Il post l’ho scoperto perchè tutti i lunedi faccio un salto qua!!! Un abbraccio anche a te!
Ma che carina, allora ti mando il buon lunedì in anticipo 😀
Come sempre una riflessione importante. Grazie
Grazie a te Claudia!
Ma come facevi a non amare i pisolini? Ahahahah Comunque parlavo di te proprio la scorsa settimana e di come i tuoi articoli siano sempre così saggi e azzeccati.
Non li amavo perché non mi veniva sonno, quindi era un’ora almeno in cui dovevo fingere di essere una statua di sale! Grazie della citazione mia cara :-*
Cara Grazia bentornata! Come sono andate le tue vacanze? Questa storia di te piccola rivoluzionaria è meravigliosa, ma anche molto calzante perché siamo quello che siamo fin da subito. Pensa che anche io odiavo l’asilo ma al contrario di te lo subivo in silenzio. Anche io fingevo di dormire nelle brandine del camerone dove tutti gli altri dormivano, non molto bene evidentemente perché la maestra mi veniva sopra e insistentemente mi chiedeva ” dormi? Dormi giovanna?” Un incubo per me che nel rapporto con quella maestra avrei solo voluto essere invisibile. Ma ero una fifona paurosa, la maestra sgridava molto e io la vedevo come un tiranno. L’unica era rendersi invisibili.
C’era invece una maestra buona che io guardavo da lontano e avrei tanto voluto essere da lei, che prendeva i bimbi che non dormivano e li portava in una classe a fare lavoretto o disegni. Che invidia!. È da dire che agli occhi della mia maestra cattiva io ero probabilmente un soggetto complicato e rompiscatole che proprio non affrontava e un po’ adesso la capisco ahah! Vabbè, fortuna che poi i gomitoli si srotolano col tempo!
Cara Giò, mi dispiace davvero tanto di quello che racconti… trattare così dei bambini lo trovo crudele! 🙁 Ti prego, non comprenderla mai quella maestra frustrata e antipatica. Anche se i bambini possono portare all’esasperazione, obbligarli a stare fermi e zitti o fargli paura non è mai la soluzione. Facendo così gli si insegna solo che devono stare dove sono, che non potranno mai cambiare niente e dovranno subire la vita invece di viverla. Per aiutare a crescere un essere umano equilibrato serve un po’ di comprensione e tanta pazienza 🙂 Brava tu che ne sei uscita lo stesso, immagino con quanta fatica! Ti mando un grande abbraccio!
Bentornata Grazia! Ho notato subito il nuovo look della newsletter, bellissimo. E molto interessante l’articolo, mi trovi perfettamente d’accordo sul fatto che bisogna vivere consapevolmente e fare i cambiamenti e le scelte necessari per rendere la nostra vita più piena e soddisfacente. Io ho fatto il passo più grande in questo senso a venticinque anni, quando ho lasciato un lavoro sicuro e ben pagato, ma che non mi soddisfaceva, per tornare a studiare e fare il lavoro che volevo veramente, la fisioterapista. Averlo fatto, anche contro il parere della mia famiglia, mi ha dato tanta forza e sicurezza in altre scelte successive.
Ps: mi sono resa conto di essere stata molto fortunata all’asilo;non mi hanno mai costretta a fare il sonnellino, ma mi lasciavano disegnare, la mia cosa preferita in assoluto 😊
Bentornata, mi sei mancata! Ecco anche me tra le renitenti al sonnellino. Io andavo dalle suore, peraltro, ma la mia non era cattiva, più che altro era rincoglionita… E pensare che adesso invece mi faccio certi sonnellini pomeridiani! Giordano permettendo, ovvio. 🙄