Dopo lo scorso post, ho ricevuto alcune reazioni strane, soprattutto sul fatto che adesso abbia un piccolo, anzi piccolissimo, giardino. Lo stesso per il fatto che non sia più una casa singola e indipendente ma una villetta a schiera, considerata non adatta a me. Motivo? Chi lo sa. Me l’ha scritto una persona stizzita, cancellandosi dalla newsletter.
[Aggiunta del 16.07.2021: siccome molte persone hanno chiesto spiegazioni su questo punto, perchè giustamente non avendo un profilo pubblico non sanno (beate loro!) che chi ce l’ha è spesso il bersaglio delle rabbie altrui, questa è una breve spiegazione, o almeno quella che ho.
Chi si adira lo fa prima di tutto con sé stesso. Magari li infastidisce il cambiamento in sé o il miglioramento o chi lo sa. Magari volevano vedermi in eterno nella casa in mezzo al bosco e non capiscono che un gruppo solidale in campagna non ha niente di diverso, anzi, consuma meno. Temo che alcune persone abbiano solo bisogno di far pace con sé stesse. Magari un giorno saranno migliori.]
Poi magari sono le stesse persone che seguono quelle instagrammer con poetiche foto di campi in fiore, che in realtà vivono in appartamenti riscaldati a gasolio. Succede anche questo. Ce n’è una in particolare che mi salta fuori dappertutto, con alle spalle sempre l’ecologica cucina del MondoConvenienza, Made in China. Quanta autoproduzione serve per abbattere quel footprint di multistrati laccati importati da Shanghai? Ma non importa, passa per vero quel che si mostra, non quello che è la realtà. Basta fare i sacchettini di lavanda. A me è sempre piaciuta di più la realtà, perché da lì si trovano soluzioni vere, concrete. Si cambiano davvero le proprie coordinate nel mondo, a volte anche quelle degli altri.
Ne approfitto allora per affrontare un discorso che avevo accantonato da un po’ di tempo: perché ho scelto di vivere in una casa piccola. Con un giardino piccolo! Se Ridsdill Smith di VerticalVeg è riuscito a coltivare mille euro di frutta e verdura nei contenitori del suo piccolissimo cortile londinese, direi che io sono già a posto. Ma, come vi dicevo nei post precedenti, più avanti mi farà piacere affrontare un discorso sociale al di fuori del mio giardino, regalare qualcos’altro al mondo. L’avere anche un giardino esteso da manutenere sarebbe solo un freno, un impegno in più.
Vivere in una casa piccola è ancora un taboo
Per queste persone che si sono sentite destabilizzate non vedendomi più con una grande casa o con la stufa a legna… mi fa davvero piacere che mi abbiate seguita tra i vari orti e giardini della mia vita, quelli che ci sono stati fin qui, e sarete le benvenute quando vorrete curiosare tra quel che si può fare con un piccolo giardino. Per me, è solo un altro modo, l’ennesimo, di mettere in pratica quello in cui credo.
Non capisco il motivo per cui dovrei possedere ettari di terreno se ci viviamo solo in due. D’accordo che mangiamo tanta verdura, ma non siamo un branco di daini. Cinque o sei cespi di insalata a settimana sono più che sufficienti, qualche chilo di altra verdura e frutta ed è fatta.
Le mie scelte di decrescita, di vita sostenibile per me stessa e per l’ambiente, oggi si attuano su spazi piccoli, come lo era anche la casina in mezzo al bosco. I grandi giardini sono bellissimi ma sono un lavoro a tempo pieno che io in questo momento non posso fare: li lascerei diventare una selva incolta. Negli ultimi giorni, tra un impegno e l’altro, ho faticato persino a trovare il tempo per uscire ad annaffiare. Ieri mattina l’ho fatto in catalessi, alle sette, alzandomi con non poco sforzo dopo una serata fuori che è diventata nottata. Poche ore di sonno, un risveglio forzato solo perché dovevo annaffiare e alle otto andavamo già in spiaggia, abbandonandoci al rilassamento del mare prima dell’arrivo di un altro pomeriggio impegnativo. Stamattina ero di nuovo in catalessi con la canna in mano (quella dell’acqua!) che cercavo di salvare le ortensie perché ieri sera me ne ero ricordata troppo tardi, quando era già troppo buio.
In pratica, in questo momento, non potrei proprio avere un giardino più grande e non vorrei assolutamente una casa più grande rispetto ai nostri bisogni.
La casa a propria misura e quella a misura degli altri
Questa casa è stata scelta a nostra misura: ha tutti gli spazi che ci servono e non ne ha in più, cosa successa spesso con altre case in passato. Persino nella casina in mezzo al bosco c’era una stanza che si usava poco e niente, perché conteneva una serie di ammennicoli tecnologici del mio compagno, teoricamente lì per vedere dei film o giocare. Ci avremo visto due o tre film, perché nelle brevissime estati eravamo sempre fuori e nei lunghi inverni era impegnativo scaldare anche questa sala in fondo. Così io guardavo i film in camera da letto, al caldo sotto le coperte e lui giocava dal suo studio che era attrezzato meglio. Sì, lo so, molti preferirebbero sentir parlare di lunghe serate di lettura davanti al camino scoppiettante. Mi spiace, ma succedeva solo ogni tanto, sebbene d’inverno spesso io leggessi sotto le coperte, con il fuoco come compagnia. Per tornare alla stanza inutilizzata: alla fine quella stanza si usava solo come stanza degli ospiti. Però questa stanza costava lo stesso: in tasse, in riscaldamento, in manutenzione, esattamente come tutte le altre che venivano utilizzate. Parte del nostro lavoro copriva anche le spese per quella stanza inutilizzata.
Minori consumi e minore lavoro portano alla libertà
Ora, per quel che mi riguarda uno può scegliere di vivere in ottocento metri quadri e sono egregiamente fatti suoi. Se è felice così, va benissimo. Io invece, per me stessa, ho deciso di non lavorare tutta la vita per pagare spazi che non mi servono. Minori consumi significano minore lavoro per me e più divertimento, più spazi di vita vera. Minore impegno mentale, oltre che di lavoro e denaro: le case grandi richiedono tanto arredamento, tante pulizie, interventi continui per mantenerle e per non parlare delle case singole, quelle libere su quattro lati. Ne ho avute due finora e richiedono costi di riscaldamento e manutenzione esagerati per il tipo di vita che faccio io: non voglio lavorare per mantenere una casa con spazi che non mi servono.
Nell’appartamento che abbiamo avuto provvisoriamente, mi sono ritrovata con un living di 40 mq e uno studio di 25. Contando che ci vivevamo in due e che nel mio studio lavoravo prevalentemente seduta alla scrivania, era davvero tanto, tantissimo spazio sprecato. Tra l’altro, da studentessa, ho avuto un mini appartamento di 25 mq in un campus a Vienna e c’era tutto, organizzato benissimo e con tutti gli spazi utili. Se vivessi da sola, probabilmente oggi cercherei una soluzione del genere, quelle che si chiamano Tiny House. Quando stavo cercando questa casa, mi sono rivolta proprio a quel settore: ho guardato a come vivessero altri nelle Tiny House e mi sono appuntata una serie di osservazioni e riflessioni. Non tanto delle questioni pratiche perché sapevo già di non poterlo fare, sia perché abbiamo gli studi dentro la casa, sia perché in Italia è un delirio di leggi e leggettine per cui si rischia di venire assimilati ai campeggiatori abusivi. Ho guardato invece alla filosofia delle persone che le sceglievano e mi ci sono ritrovata molto.
Chi decide di vivere in una casa piccola
Non sono sola in questa scelta e non è solo una questione di denaro: c’è anche chi avendone tanto sceglie una piccola abitazione. Leggevo proprio settimana scorsa che Elon Musk vive in una tiny house prefabbricata che è costata solo 50mila dollari (beato lui!). Eppure è uno degli uomini più ricchi del mondo. La realtà, è che anche quando si ha molto denaro, le case occupano una importante quantità di tempo mentale che viene tolto ai propri progetti. Lo occupano anche mentre ci si è dentro, perché ciò che vedi è ciò che percepisce la tua mente.
Sicuramente viviamo in una società che ci spinge a pensare la casa come uno status, qualcosa che deve far vedere la nostra potenza al mondo. Sei in base a quello che hai, al tipo di lavoro, al job title addirittura. La casa deve essere in una certa zona, con un certo contesto, di una metratura che rifletta la propria potenza economica. Ma io sono io, non ho bisogno di farmi rappresentare da un domicilio o da un immobile. Sono scesa da questa ruota del criceto tanti anni fa.
Ho scelto di vivere in una casa piccola e per me riflette una cosa essenziale: non ho debiti. Non ho mutui, prestiti e quant’altro, nemmeno per l’auto. Questa è una parte della mia idea di benessere: una casa a nostra misura, facile e veloce da mantenere, che mi accolga con calore e mi permetta di vivere in modo sostenibile. Lo trovo coerente con le mie scelte. Se parlassi di sostenibilità ambientale da un casale di 300 mq abitato da due sole persone e con sei ettari di giardino attorno… beh, sarei piuttosto ipocrita, non trovate?
Sei quello che hai?
Nell’italiano medio noto un impeto a tenere il passo con i conoscenti o addirittura con l’idea di quello che hanno gli altri. Un po’ l’idea di una volta dell’operaio che comprava il Mercedes a rate. Con lo stesso denaro avrebbe fatto dei viaggi felici con tutta la famiglia e una macchina dignitosa, ma l’apparire diventava l’esigenza primaria e tutta la famiglia si doveva piegare a questo sacrificio. Cosa si ricorderanno un giorno quei figli? Le estati in cui hanno pagato le rate del Mercedes?
In una società sempre più diseguale, i pochi ricchi in cima stanno consumando molto, mentre le persone in basso lottano per tenere il passo e si caricano di costi a cui dovranno far fronte con entrate che non sono commisurate a quello che gli fanno desiderare. Una corsa folle, che consuma la vita.
Il mio consiglio: spegnere la televisione. Intendo quella degli show e dei tg, non la poca televisione informativa. Guardate Report o documentari come The Social Dilemma (solo due esempi e non sono sempre d’accordo con quello che dicono) ma lasciate perdere i talk show, i giochi a premi, tutto quel chiacchiericcio di tristi pagliacci siliconati. Lasciate perdere le pettegole perché le donne insoddisfatte vivono per attaccarvi la loro insoddisfazione e questo vi farà comprare sempre più cose per cercare di piacere.
Tanti anni fa, quando ero ancora una bambina, mandavano in onda una vecchia sit com americana, I Robinson. A me piaceva, mi facevano ridere. Non si sapeva ancora chi fosse davvero Bill Cosby. Mia madre invece era sempre contrariata da questa serie, non riuscivo a capire perché le desse così fastidio. Finché un giorno è sbottata dicendo che mancavano due personaggi, ovvero le “almeno due domestiche” che tenevano pulita e in ordine quella casa con quattro figli e due genitori liberi professionisti. Io, da piccola cultrice della serie, ho ribattuto che no, si sbagliava, era la signora Robinson che faceva tutto, dopo il lavoro! Mia madre, da lavoratrice con vari aiuti domestici, ha commentato che poteva succedere solo in una sit com americana che un’avvocatessa tenesse pulita una magione di sei camere da letto, preparasse pranzi e cene e fosse sempre vestita e pettinata impeccabilmente, soprattutto con quel marito lavativo e perennemente seduto sul divano. Non ebbi il coraggio di aggiungere che la signora Robinson aveva anche un piccolo orto di aromatiche sul retro!
La signora Robinson era il mostro inimitabile per le donne che lavoravano negli anni ottanta. Oggi lo sono una quantità di Instagrammer che cercano visibilità attraverso immagini di case perfette, alla moda, nascondendo spesso che sono casalinghe frustrate con un marito che sovvenziona il loro sogno di diventare influencer dell’home decor. Le donne vere, o reagiscono come mia madre negli anni ’80 demolendo la signora Robinson, o si fanno ammaliare e cadono vittime delle mille necessità di una casa dichiarata ‘perfetta’ e che è solo l’idea di casa di un marketer.
Mentre scrivo, sento rimbombarmi in testa “nordic style, nordic style” e la personalità che si annulla.
Perché non comprare una casa più grande del necessario, anche se ce la si può permettere
Quello che ci fanno vedere, dalla tv a Instagram, è spesso una vita finta, per ottenere la quale però molti corrono e corrono in una ruota da criceti che non li porta da nessuna parte. Si stancano, accumulano beni da mantenere, che occupano tutto il loro spazio mentale. Questo è l’unico risultato. Comprare una casa più grande di quello che si ha bisogno, solo perché ce la si può permettere, è stare nella ruota del criceto. Ereditare una casa molto più grande delle proprie necessità e viverci nonostante si abbia bisogno di molto meno spazio, solo perché c’è, vuol dire spendere gran parte del proprio lavoro nella manutenzione della casa.
Vedo tante persone che lo fanno, ci spendono una quantità di tempo e denaro, privandosi di piaceri come un viaggio, un concerto, qualcosa che gli piace davvero. La casa per loro non è un porto sicuro, dove proteggere la propria famiglia, ma un mostro che li insegue, li vuole mangiare, chiede sempre di più. Nel tentativo di massimizzare il loro benessere con un’abitazione importante o di dimostrarlo agli altri tramite un bene costoso, in realtà questo benessere lo abbattono.
Quando vivevo in Lomellina, vedevo un fenomeno strano. Forse esiste anche in altre parti d’Italia, io l’ho visto lì per la prima volta. Parecchie ville costruite negli anni ’50 e ’60 del Novecento, in pieno boom economico, grandi e maestose… erano abitate solo nel seminterrato! La sera, andando in giro, si vedono tante di queste case che si illuminano solo nelle fondamenta, si rischiaravano solo quei finestrini dei seminterrati. Molte coppie, andati via i figli, si ritirano a vivere nel seminterrato, arredandolo come un piccolo appartamentino. Avendo anche soffitti più bassi, costava meno sia riscaldarlo che mantenerlo. Il resto della casa, sopra alle loro teste, continuava a stare lì, file di stanze e saloni vuoti.
Mi è sempre sembrata una scelta bislacca. Dal mio punto di vista, se la casa ha ormai spazi eccessivi, si può vendere e utilizzare il ricavato per un bell’appartamentino o una casetta più piccola che non dia pensieri, godendosi il resto. Invece stanno lì, nell’umidità di seminterrati costruiti per essere solo garage, con poca luce, continuando anche a mantenere i piani sopra, vuoti. Un mostro che li divora lentamente.
Cucirsi una casa su misura
Ho un’amica, a Milano, che ha smesso di lavorare a quarant’anni. Ha lavorato e risparmiato per comprare due immobili che ha messo in affitto, quello è il suo stipendio. Oggi sta cercando di acquistare il terzo che le garantirà in futuro un’altra rendita. Però ha una cucina degli anni ’80 che ha trovato già nella casa. L’ha sistemata e ha cambiato gli elettrodomestici con nuovi modelli a risparmio energetico.
Dal punto di vista della media dei lavoratori dipendenti, anche di alto livello, la mia amica è una persona più che benestante. Ha uno stipendio da dirigente senza lavorare e questo aspetto le permette di risparmiare molto di più di un dirigente che ha bisogno tutti i giorni di abiti di un certo tipo, auto o mezzi di trasporto e tutto quello che è legato a una vita d’ufficio. Eppure, lei non ha una nuova bellissima cucina di design e nemmeno un appartamento tutto ristrutturato di fresco. Ha quella cucina degli anni ’80 che per altri sarebbe insostenibile, quasi una vergogna. Ha i pavimenti degli anni ’50 che nel frattempo sono anche tornati di moda, Terrazzo style. Si tratta di un piccolo appartamento molto accogliente, io ci vado con piacere. Sicuramente potrebbe permettersene uno più grande e anche un arredamento nuovo.
Un giorno parlavamo proprio di questo e un’amica architetta è intervenuta dicendo che ormai non si riesce a riciclare nulla, i suoi clienti vogliono solo cucine nuove e piuttosto fanno anche dieci anni di rate, ma deve essere tutto nuovo. Ci parlava di una coppia che aveva buttato una cucina molto costosa di nemmeno cinque anni, solo perché era dell’inquilino precedente. Sono pieni di debiti, ma con la cucina nuova.
Noi invece siamo quelle strane, ma anche quelle che hanno viaggiato tanto, deciso dove vivere bene ben prima della pensione, con una vita intensa e “opulenta di bellezza e pensiero”, come mi piace dire. La mia amica con la cucina anni ’80 adesso è in Puglia per quattro mesi, mentre due anni fa è stata sei mesi in giro per gli Stati Uniti. Quando è a Milano si occupa di due associazioni, solo perché le fa piacere, frequenta tutti i corsi, gli eventi e le persone che le interessano. Quando parlavamo quel giorno di chi fa dei debiti per cambiare un arredamento ancora funzionale, che magari basterebbe solo adeguare un po’, ci siamo rese conto che quella è rivenduta per normalità. Una normalità che spesso ha il solo fine di mostrare agli altri la propria possibilità economica o quella che si vuol far credere. Ci siamo trovate d’accordo sul non aver bisogno di dimostrare niente, per fortuna. Anzi, aggiungo io: è una bellissima selezione naturale in cui frequento persone che sono perché pensano e non perché possiedono.
“Un giorno quando mi avanzeranno quindicimila euro rifarò la cucina” ride pacifica l’amica.
“Io con quella cifra prenderei una barca a vela usata, sei mesi di ferie e donerei il resto” le rispondo.
“Io darei l’anticipo per una casa da affittare” interviene l’architetta “perché la vita che fate voi due mi sembra molto meglio di quella dei miei clienti più ricchi!”.
La casa più grande del bisogno è consumo competitivo
La casa e il suo arredamento rientrano da anni in quello che i sociologi chiamano “consumo competitivo“, ovvero il fenomeno per cui le spese vengono fatte non in base a un reale bisogno ma in base al confronto con gli altri. Gli standard aumentano ed è sempre più difficile tenere il passo. Ma allora non sarebbe più facile scegliere gruppi di riferimento diversi?
Quando abbiamo deciso per una casa più piccola, qualcuno ci ha chiesto “E le cene con gli amici? E gli ospiti?”. Fino a otto amici posso metterli al tavolo allungabile della cucina, ma tendenzialmente in otto si esce. Amo pranzi in casa contenuti e uscite di gruppo al ristorante. Per i pochi che erano di passaggio e dormivano a casa nostra, userò un B&B: mi costa molto meno che mantenere una stanza per gli ospiti e loro stanno ben più comodi.
Negli USA c’è un movimento che si chiama FIRE, in Italia non se ne parla ancora. Sta per Financial Independence Retire Early. Indipendenza finanziaria e pensionamento anticipato. Si tratta di un movimento che punta sull’estrema frugalità per liberarsi il prima possibile dal lavoro-necessità e acquisire spazi di tempo vitali, da godere. Quello che ho fatto io finora, ma non sapevo che avesse anche questo nome.
Non a caso, per FIRE l’abitazione è un nodo cruciale. Questa parte di mondo si sta staccando dal pensiero di comprimere la vita dentro a poche ferie, fino ai 65 anni. Si può scegliere di vivere in un altro modo. C’è gente come me che l’ha fatto, vive bene e ha considerato che nell’equazione ci entrasse una casa adatta alle proprie esigenze reali, sia dal punto di vista della sostenibilità che dal punto di vista umano. In quest’ottica, una casa adatta alle proprie esigenze e nulla di più è ottimale, come è anche un’ottima soluzione restaurare una cucina invece di comprarla nuova. Mille euro contro quindicimila: per molti è un anno di lavoro.
E voi, cosa avete scelto o cosa sceglierete? Quali sono stati i vostri ragionamenti nel sognare o trovare la vostra casa ideale?
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Nota: non ci sono foto mie in questo post perché – ridete pure! – ho fatto un nuovo corso di fotografia e mi sono allenata così tanto che ho mandato in tilt il corpo della mia Canon. La attendo trepidante di ritorno dalla riparazione, dopo di che vi mostrerò la mia piccola dimora… almeno fino a dove ho sistemato 😉
Ho scelto le foto di questi nidi perché gli animali sono grandi maestri di essenzialità.
Credit foto: Maurice Schalker, Irina Blok, Sagar Kulkarni, Sagar Kulkarni, Jesper Aggergaard, Mariko margetson, Michael Heng, Ben Mullins, Roi Dimor on Unsplash
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