Cominciare un nuovo orto giardino è emozionante e anche impegnativo, specialmente se si lavora su piccoli spazi. Vi racconto com’era all’inizio questo nuovo orto giardino , come è stato progettato e i perché delle prime scelte.
Credo che il cominciare questo nuovo orto giardino, sebbene piccolissimo, sarà quello che metterà alla prova la mia pazienza più di tutti i precedenti. Ma così dev’essere, lo accetto con calma e con la stessa calma proseguo in questi lavori lenti e i continui cambi di direzione. Come insegna il maestro giardiniere Paolo Pejrone in La pazienza del giardiniere. Storie di ordinari disordini e variopinte strategie, la pazienza è un lavoro continuo di crescita per noi appassionati coltivatori. Vorremmo vedere realizzato, magari in due pomeriggi, il giardino botanico di Villa Taranto, almeno per me è così. Invece in due pomeriggi otteniamo un metro quadro in cui quel che abbiamo trapiantato ci fa anche il dispetto di seguire le regole della natura, invece della nostra immaginazione!
Per esempio, settimana scorsa ho preso una vaschetta-seminiera in cui avevo seminato delle lattughe estive, erano pronte da trapiantare. La semina era stata intelligente, le avevo messe sul davanti della casa, sotto il portico, ombreggiate dalle ortensie e in modo che non si vedessero dalla strada per non passare subito per la stramba che coltiva insalate nell’aiuola di ingresso – anche se tanto è solo questione di tempo. Comunque: avevo trovato la posizione ideale, sono cresciute benissimo in quel freschetto ombreggiato, nonostante poco più in là il sole di giugno mi avesse essiccato metà delle ortensie. Adesso infatti non ho bisogno di staccarle e appenderle a testa in giù, ho scoperto che in Romagna crescono già così, secche.
Tornando alle insalate, davanti a queste evidenze empiriche che le insalate crescevano bene nell’ombra mentre pochi metri più in là, al sole, qualunque pianta diventava pout pourri secco… cosa ho deciso di fare? Ho portato le le povere insalate nell’orto giardino sul retro e le ho trapiantate al sole, esposte a sud addirittura! Mi sono distratta, saranno stati quei dieci anni e più di montagna che mi hanno cambiato le abitudini di trapianto: con il clima freddo di lassù, si mettevano in pieno sole anche le insalate e il sole le scaldava appena, non seccavano mai. Nell’ombra coltivavi al massimo i funghi e l’edera. Qui, invece, la mattina alle dieci le povere insalate erano già secche, appiattite per terra. Mi gridavano “assassina!” mentre le guardavo dalla finestra, allibita. Appena ho potuto – lavoro tiranno! – sono corsa giù in giardino e le ho delicatamente spostate dietro i pomodori: il sole da sud batte su una fila di pomodori e, dietro, le insalate superstiti restano nell’ombra. Sembra si siano un po’ riprese. Se state ridendo della mia scentratura tra mare e montagna, vi dirò anche che tutta questa storia e tutti questi scoramenti sono per ben quattro cespi di lattuga, sopravvissuti dai sei originari. E non bastasse, a me non piace la lattuga! Le avevo seminate per la mia metà… forse a fine luglio mangerà qualcosa. Mi consolo pensando a quanto esercizio sto facendo per la pazienza, quest’anno diventerò un monaco tibetano, minimo.
La scelta di un orto giardino piccolo
Nello scegliere la nuova casa, avevo stabilito che ci volesse un po’ di spazio esterno, un po’ di verde, ma giusto poco. Non più il grande orto di 500 mq di tanti anni fa, che cominciò con le insalate piantate in file ordinate, che oggi mi fanno sorridere, e che arrivò in breve al primo esperimento di permacultura con il metodo di Fukuoka. Con altrettanti metri quadri di giardino, lunghi fine settimana a sistemare, piantare e migliorare, corse per riparare dalla siccità come dalla grandine. Ci è piaciuto, è stata la prima avventura in grande con la coltivazione diretta, ma ne è risultato un lavoro che occupava moltissimo tempo e molte risorse. Durante tutta l’estate non potevamo allontanarci più di due giorni e regalavamo ad amici e familiari delle cassette intere di verdura e frutta. La casa così grande, un orto e giardino così grandi erano davvero troppo per due persone che amano avere anche una dimensione sociale, viaggiare e scoprire.
Gli orti seguenti sono sempre stati più piccoli, come quello della prima casa sull’Appennino Tosco-Emiliano. Un anno, tra lavoro e freddo prolungato sui monti, la neve che ci fece compagnia fino a fine maggio… incominciammo addirittura in agosto! E poi l’orto successivo, quello della casina in mezzo al bosco, amato, curato e con una vista mozzafiato. Lì l’orto si era sdoppiato in un orto pettinato e un orto spettinato… e tanto, tantissimo da raccogliere tra i frutti spontanei del bosco, senza nemmeno coltivare.
L’attuale micro orto giardino
Così, eccoci qui. La scelta è stata questa. Pochi metri quadri di verde, da coltivare per ora come orto e un giorno, quando avrò realizzato un progetto di coltivazione sociale che per ora sta solo prendendo forma nella mia mente… allora a quel punto questo piccolo giardino diventerà un orto dei semplici, ovvero una coltivazione di aromatiche, spezie e officinali, come si faceva nel medioevo.
La mia ispirazione in questo momento, come forse ho già avuto modo di dire, è l’orto sul balcone, un tipo di coltivazione che conosco molto bene e che ha il vantaggio di sfruttare ogni centimetro. Come sempre, come succede anche con le case, più spazio si ha e più la presenza delle cose si dilata. Quando avevo un orto grande, c’era tanto spazio inutilizzato: non dovevo preoccuparmi se un pezzo restava incolto (a riposo), o se coltivavo le zucche lasciando che si estendessero per metri, tanto c’era posto. Un anno ho persino coltivato i pomodori a terra, senza sostegni, facendoli crescere sul terreno come si fa nel sud Italia quando c’è tanto spazio.
In un pezzetto di terra più ridotto invece c’è da progettare. Bisogna far crescere a spalliera le verdure che possono farlo, non solo i pomodori: le zucche si scelgono più piccole e che possano essere rampicanti, come la Hokkaido (che tra l’altro io amo per il suo gusto e per il fatto che si mangia anche la scorza!), oppure le zucchine trombetta di Albenga che possono crescere benissimo in altezza invece che occupare spazio sul terreno. Nello stesso modo, in un vaso, un terriccio molto ricco e continuamente rifornito di compost e macerato di equiseto, potrà nutrire piante che in genere richiedono molto spazio, come i pomodori o le melanzane.
I primi lavori nel nuovo orto giardino: marzo-giugno
Chen Congzhou, un paesaggista e professore di architettura dell’Università di Shangai ha scritto dei piccoli giardini in I giardini cinesi, Franco Muzzio Editore, 1990. Un libro molto bello in cui mi sono imbattuta per caso e che è anche magnificamente illustrato. Porta in un altro mondo, quello in cui ogni scelta è dettata da un progetto spirituale e in cui acqua, terra e aria hanno ruoli che vanno al di là della crescita delle piante. Il giardino piccolissimo è l’opera più difficile da compiere, un orto piccolissimo deve essere anche un’offerta di bellezza ed equilibrio, afferma Chen Congzhou.
Le carenze progettistiche di un giardino si avvicinano a quelle lessicali in letteratura, poiché lo scopo del giardino è quello di offrire paesaggi e quello della letteratura di esprimere idee. Per questo motivo affermo che costruire un piccolo giardino è tanto difficile quanto comporre una poesia di sole quattro strofe.
I primi due fattori con cui mi sono scontrata, letteralmente e poco poeticamente, in questo nuovo orto giardino sono stati tosti. Primo, la presenza di un grosso ulivo al centro e di arbusti da siepe lungo tutta la recinzione, alcuni cresciuti così tanto da impedire ogni passaggio. Il giardino è stato molto amato dalla precedente proprietaria, che però si era trasferita da tempo ed era cresciuto selvaggiamente, senza potature. L’ulivo sconfinava dai vicini, le siepi toglievano ogni visuale e si allungavano a loro volta all’interno. Non volendomi dotare di nuovo di una sega elettrica visto che mi sarebbe servita solo per la prima potatura, ho chiamato una cooperativa di giardinaggio. Uno dei vantaggi del vivere in Emilia Romagna (ma che non riguarda le zone montane!), sono le cooperative. Non quelle rosse dei telegiornali, le cooperative vere in cui dei singoli, in questo caso giardinieri, lavorano condividendo gli utili ma senza rischio d’impresa, condividendo macchinari e attrezzature, il che si converte in prezzi decenti per il consumatore.
L’altro problema, non da poco, è il fatto che al giardino si accede solo attraverso la casa, non ha accessi all’esterno, confina con un vigneto. Quindi, qualunque cosa venisse rimossa, doveva passare dentro casa (con mia ferma opposizione visto che avevamo appena imbiancato e sistemato) oppure doveva passare da dietro con richiesta di permesso al viticoltore. Così è stato. La mia idea iniziale era di togliere l’ulivo, davvero eccessivo per questo poco spazio, e anche le inutili quanto ingombranti piante da siepe, del tutto sbagliate per uno spazio piccolo. Nello specifico sono delle Photinia Red Robin, un ibrido tra Photinia glabra e Photinia serrata, che in pochi anni sviluppa tronchi grossi e va potato di continuo. Per questa sua solidità, è adatta solo a lunghe recinzioni in grandi parchi, non certo alla siepe di un piccolo giardino, altrimenti prende buona parte dello spazio e lo soffoca. In uno spazio così ridotto, insomma, era un po’ tutto assurdo, dall’ulivo alle siepi che, non bastasse la Photinia, hanno anche due grossi cespugli di Nandina domestica o Bambù sacro. Sembrava quasi che il progetto di un giardino di un ettaro avesse trovato casa in questi pochi metri quadri.
I primi lavori di pulizia
Prima di poter cominciare l’orto giardino, sono stati fatti quindi dei bei lavori di pulizia, potatura, sfrondatura e osservazione del terreno. Parte degli sfalci li ho tenuti per farne supporti per le coltivazioni e l’avvio del compost, più l’umidificazione di alcune aree particolarmente secche. La mia idea iniziare era di togliere l’ulivo e tutte le siepi, per quanto a malincuore ma non potendo allargare il giardino dovevo ridurre il contenuto. Il giardiniere della cooperativa ha insistito sul lasciare l’ulivo perché secondo lui questo è un ulivo con un valore, cosa che trovo la meno convincente tra le motivazioni. Un po’ come se mi imponessero di indossare tutti i giorni la corona d’Inghilterra: avrà anche un grande valore ma sarebbe terribilmente scomoda. Ho ceduto alla promessa di una potatura magistrale di siepi e ulivo, in modo da poterli tenere. Vi dico già il risultato: la prossima primavera se ne vanno tutti perché abbiamo dato innumerevoli testate all’ulivo e, non bastasse, troviamo radici ovunque che temo che prima o poi andrebbero a infilarsi nelle condutture, pozzi o quant’altro originando disastri. Ho già visto lo stesso risultato in un’altra casa, dove per fortuna non ero la proprietaria perché hanno dovuto rifare tutta la fognatura esterna grazie a una passiflora.
Le prime coltivazioni in vaso
Nel frattempo, tra l’arrivo della bella stagione, poi dei giardinieri, poi del tempo per occuparmi dell’orto invece che delle mille incombenze, infine del tempo della mia metà per rivoltarmi un po’ il terreno durissimo …ho coltivato qualcosa in vaso. Giusto per portarmi avanti. La coltivazione in vaso, qui, ha avuto sostanzialmente due vantaggi. Il primo è stato quello di cominciare a far crescere un po’ di piante per quando sarebbe stato pronto l’orto. Il secondo e non da poco è stato quello di capire luci e ombre durante la giornata. Non conoscendo ancora bene il luogo, ho passato un po’ di settimane a spostare i vasi secondo la traiettoria del sud, il sole pomeridiano, le ore di sole totali… trovando i posti ideali per ogni pianta. Intanto osservavo il terreno: dove crescevano più piante e quali, dove era completamente arido perché troppo ombreggiato o coperto da vasi per anni.
Questo lavoro di spostare le piante nei vasi, alla ricerca dell’esposizione migliore, mi ha confermato l’idea che far solo potare le siepi non era stata la soluzione più intelligente. Forse andava bene per un giardino a bassa manutenzione e molto ombreggiato. Siamo dovuti intervenire noi, con i nostri scarsi mezzi, per levare qualche cespuglio e aprire un varco di sole verso sud al nuovo orto. In parte ci stiamo ancora lavorando. Per esempio abbiamo fallito nell’impresa di togliere un grosso cespuglio di Nandina utilizzando solo sega e pala… il triste ceppo è stato reinterrato in attesa dell’autunno, altrimenti l’orto non lo cominciavamo nemmeno a giugno! Se non altro, ora c’è un po’ di luce per la prima parte di orto.
I lavori di miglioramento del terreno
Si tratta di un terreno mediamente argilloso che però è stato calpestato e non smosso per anni, utilizzato per coltivazioni in vaso e arredi da giardino che l’hanno schiacciato e compattato. In alcune zone crescono spontanee da prato, tanta erba e poco tarassaco, qualche vite selvatica e fragolina di bosco che sarà arrivata con il vento. In una zona più assolata si sono insediati dei sedum tappezzanti e non che sto pian piano trasferendo negli spazi davanti a casa, mentre qui dietro nell’orto giardino lascerò solo qualche angolo, giusto per mantenere il suolo umido mentre non lo devo ancora utilizzare.
Pian piano, procediamo a smuovere questo terreno durissimo, aggiungiamo terriccio e nutrienti, in modo da poter mettere a dimora quello che finora è stato coltivato in vaso. Sembra facile, ma è uno dei terreni più duri e poveri che abbiamo mai trovato e si procede lentamente. Onestamente, se non avessi dovuto farlo passare dentro casa, avrei chiamato qualcuno con un dissodatore a motore, in modo da non metterci un’intera stagione. Ma va così. Ci sarà un grande lavoro da fare per renderlo più fertile. Si capisce comunque anche a una prima occhiata, dal colore verde molto chiaro di tutte le piante che crescono spontaneamente: probabile carenza di nutrienti, tra cui sicuramente il ferro.
Insegnava Masanobu Fukuoka ne La rivoluzione del filo di paglia, Libreria Editrice Fiorentina, 1980, pag. 99).
Spargendo paglia, seminando trifoglio, e restituendo al suolo tutti i residui organici, la terra arriva a possedere tutti gli elementi nutritivi necessari a coltivare il riso e i cereali invernali nello stesso campo ogni anno. Con l’agricoltura naturale, i campi che già sono stati danneggiati da lavorazioni o dall’uso di sostanze chimiche possono essere efficacemente riportati alla loro naturale fertilità.
Nelle foto, vedete la situazione più o meno da marzo fino a metà giugno, adesso si è un po’ evoluta, un po’ tanto. Ma di questo ve ne parlo la prossima volta, con un aggiornamento settimanale sull’orto per tutta l’estate, così non mi ritroverò più a scrivere post lunghissimi riassuntivi come questo (no, non è vero, saranno comunque lunghi… chi mi ferma quando comincio a parlare di piante?).
17 Commenti