L’idea di trasformare una vecchia credenza in un’isola cucina era dipesa dal fatto che si trattava di una cucina provvisoria in una casa in affitto.
Quando avevamo visitato la casa la prima volta, ovvero l’unica volta prima di firmare il contratto, quell’enorme living mi era sembrato un bel problema. Bello ma grande. Enorme, nei suoi quasi quaranta metri quadri, eccessivo soprattutto in una casa di montagna, da riscaldare nove mesi l’anno. I nostri mobili, arrivati in una delle prime giornate di sole di marzo, umidi dell’aria ancora innevata delle montagne, sembravano perplessi e intimiditi dalla nuova collocazione. Scoordinati, provenivano da stanze diverse che nella precedente casa li tenevano separati in colori e stili. Improvvisamente un tavolo vittoriano in noce di nobili natali doveva colloquiare con una sgangherata cassettiera Ikea e una credenza contadina di inizio secolo, quattro sedie imbottite in vellutone verde della nonna della mia amica Titti, altre quattro sedie La Marie di Philippe Starck, un grande divano disegnato da Tom Dixon e la cucina Ikea di cui parlavo, provata dalle scoloriture e dal trasloco. Entrare in casa nostra e in un mercatino dell’usato non era tanto diverso.
Dopo un po’ di giorni cercando di navigare nel caos stilistico che non voleva diventare eclettico e tendeva ancora decisamente ad assomigliare a un’esposizione del Foire à la Brocante a L’Isle-sur-la-Sorgue. Questo solo perché voglio apparire come una donna raffinata che viaggia e conosce certi posti da collezionisti. In realtà il mio open space assomigliava a un quadrato in concessione comunale al mercato dell’antiquariato di Baranzate di Bollate, compresi i due tizi stanchi che ciondolano tra le cose senza sapere bene cosa fare, dando più l’idea di aver svuotato un paio di appartamenti nottetempo che di essere degli esperti del vintage. Ci sono in ogni mercato italiano dello pseudo-antiquariato, avete mai notato? Una volta ho indicato, a una di queste coppie lesse, un torchio per la pasta per sapere quanto costasse e lei mi ha biascicato svogliatamente “è per fare le salsicce”. Nel dubbio, l’ho lasciato dov’era, ma mi perseguita ogni tanto l’immagine di una massaia ottocentesca che faceva salsicce affusolate come bucatini.
Per emergere da questo costrutto decostruito di mobilia casualmente appaiata, ho pensato che fosse una buona idea dividere almeno la cucina dal resto con un’isola, mettere una specie di diga tra le mie pentole fumanti e quel tavolo gigante che si vergognava di stare vicino ai fornelli, lui che aveva abitato ben altre dimore e sostenuto pranzi da dodici commensali. Inizialmente ci ho provato riciclando un carrello Ikea che avevo già, ma in quegli spazi si perdeva e sembrava solo qualcosa di abbandonato lì distrattamente.
Finché un giorno ho provato a trascinare al centro della stanza la vecchia credenza che nella precedente casa, contadina e rustica, stava dignitosamente all’ingresso. La credenza si rivelò della misura perfetta e realizzai un bancone da bar con un piano di lavoro avanzato dagli adattamenti della cucina, due metri circa per ottanta centimetri di profondità. Perfetto per colazioni, pranzi veloci e per tirare la sfoglia.
Ora servivano gli sgabelli, un oggetto d’arredo che per motivi che mi sfuggono costa sempre un’esagerazione. La vita riserva anche fortune e, cercando degli sgabelli adatti a un’isola cucina inventata, mi imbattei in una deliziosa signora che stava svuotando un magazzino. Si rivelarono essere degli sgabelli in legno massello e acciaio, degli sgabelli da atelier appartenuti al laboratorio di Etro a San Giovanni in Persiceto.
Se vi dicessi che li pagai solo cinque euro l’uno non mi credereste, ma andò così. In sfregio all’uniformazione “nordic style” e al truciolato, questa simpatica signora mi diede appuntamento nel parcheggio dell’Ikea e, sotto gli occhi delle telecamere del colosso svedese, entrai in possesso di quattro stupendi sgabelli di metà secolo scorso.
Seguirono giorni e mesi in cui ero troppo impegnata per interessarmi del piano di lavoro dell’isola, precariamente appoggiato sulla credenza color marrone che mostrava il suo schienale al resto della sala. Mi ricordavo della sua esistenza al momento di pulirlo perché rischiava spesso di finirmi sui piedi o di raggiungere l’altro lato dell’open space nel mio reiterato dimenticarmi che non era ancora ancorato alla base.
Una domenica mi armai di volontà e pazienza, dipinsi di color rame due staffe di ferro nere perché di meglio non avevo trovato. Finché non ne avessi trovate in ottone, sarebbero andate bene queste. Usai anche qui la Novecento Paint, color rame.
Intanto che asciugavano le staffe, scartavetrai la credenza, riempii qualche solco del tempo con stucco per legno e lasciai asciugare per qualche ora. Scartavetrai di nuovo per uniformare i riempimenti, pulii e passai qualche giro di nastro gommato attorno alle parti da non dipingere, ovvero l’interno dei cassetti e i ripiani sottostanti. Pensavo di intervenire in un secondo tempo con della tappezzeria, ma non lo feci mai e in fondo mi piaceva che quell’isola, una volta aperta, raccontasse ancora la sua storia di credenza di un secolo prima.
Diedi due mani di Novecento Paint color blu petrolio, venne uno splendido carta da zucchero scuro e l’uomo che vive con me non capì nessuno dei due colori, borbottò sui nomi assurdi degli stessi ma trovò che la cucina dipinta in “azzurro e bianco” era rinata. Tornava ad essere guardabile e non un ammasso di pensili e basi di quaranta sfumature di bianco deperito.
Quell’isola ospitò amici, colazioni e pranzi, letture di riviste e tirate di sfoglie, fu uno dei posti in cui andavo a lavorare quando mi stancavo di stare alla scrivania e finii di scriverci L’autoproduzione è la vera rivoluzione. Ci fotografai spezie, pane e non ricordo che altro per i miei articoli. Era troppo grande per la nuova casa, la vendetti insieme agli sgabelli e a diversi pezzi della cucina, prima di traslocare. La nuova proprietaria ne è entusiasta, alla fine mi ha rivelato che aveva voluto comprare proprio quella cucina per l’isola che l’aveva colpita. La cucina sta ancora facendo il suo lavoro felicemente, alle prese con una giovane e simpatica famiglia con due bambini.
Nota a margine: La foto sopra è stata fatta durante il primo lockdown di marzo 2020, mentre vivevamo reclusi sui monti, dove comprare farine e granaglie sfuse era impossibile… quindi pochi giudizi dai Signori Puristi dell’autoproduzione e gli Zero Waste a oltranza! Che poi è anche troppo facile blaterare dalle tastiere con la vostra dispensa ben nascosta ad occhi estranei, o anche opportunamente epurata prima della foto 😉 Preferisco essere realista e umana!
Il rifacimento dell’intera cucina con Novecento Paint:
Prima parte: Come ho dipinto e rinnovato una vecchia cucina Ikea
Seconda parte: Come dipingere una cucina con Novecento Paint
Per costruire l’isola cucina sono occorsi:
Una vecchia credenza vintage (liberty inizio Novecento)
Piano di lavoro Ikea
2 piccole staffe a scomparsa
2 staffe grandi lavorate (quelle dipinte color rame)
Stucco per legno Fibrolegno di Saratoga (atossico)(ce l’avevo già di un colore più chiaro ma dovendo dipingere la credenza, non faceva differenza)
1 latta di Novecento Paint Blu petrolio
1 pennello piatto Cera Novecento (riutilizzabile molte volte)
L’aiutante delle foto
L’aiutante e tester della credenza-isola è il signorino Koi, i suoi fan saranno felici di rivederlo.
8 Commenti
Finalmente Grazia sei tornata!!! Mi sei mancatissima!!!! E guarda la combinazione sto facendo un’isola pure io!!!!!
Che bello Cristina! Voglio proprio vederla, chissà cosa tirerai fuori… sono certa qualcosa di unico e molto elegante, nel tuo stile! Un grande abbraccio!
Tutto molto interessante, creativo e originale! Adoro l’interior design e il fai da te di alto livello, come nel caso della tua cucina. Concordo in pieno sui puristi dello zero waste. Vorrei essere un piccolo insetto per entrare nelle loro dispense e smascherarli…..
Ciao Titti! Guarda, è telepatia perché quando ho scritto la nota sullo zero-waste, stavo pensando propio alla nostra conversazione di qualche anno fai sui puristi! Secondo me, se tu fossi un piccolo insetto ed entrassi davvero nelle loro dispense… cadresti stecchito! 😉 Un abbraccione!
Grazia che bello che hai ripreso i post della domenica!!! Io me li conservo per il lunedì mattina, che aiutano tanto a cominciare la settimana con un pizzico di leggetezza, qualche idea e qualcosa su cui riflettere…nessuno scrive come te, sei mitica!!! Con questo articolo e gli altri sul tema del riuso creativo e interior design ha fatto quasi (QUASI ?) venire voglia anche a me di lanciarmi in qualche progetto! Diciamo che negli ultimi anni la mia creatività si è spostata in giardino….un abbraccio grandissimo
Evviva, sono contenta anche io! 🙂 Grazie Daniela! Dai, dai. magari allora ci riuscirò con i prossimi post visto che ho tutta casa da sistemare e parecchi progetti in cantiere per i prossimi mesi… tieni le idee per l’inverno che ora c’è più bellezza nei giardini! Il mio inizio ad affrontarlo questa settimana e non so ancora cosa ne verrà fuori in questo anno squinternato. Un abbraccio grande anche a te!
Hai molteplici doni, ormai dovresti saperlo, ma soprattutto se parliamo di arredo e creatività NON HAI RIVALI ?! Quell’isola, come il resto della cucina e della casa, “sapeva di te”: elegante ma in modo sobrio; robusta e funzionale ma leggera; a dividere dalla cucina ma ad accoglierti in essa…un po’ mi spiace che non sia più tua, ma mi fa piacere che sia passata a chi ne farà buon uso e ancor più il fatto che tutti i neuroni in quella fucina di idee che è la tua testolina stiano ora fremendo per l’impazienza di mettere in pratica nuove mirabolanti creazioni…me li vedo a fare a botte perchè uno vuol fare prima la cucina e l’altro insiste che invece è prioritario cucire le tende ?. Non sapevo come fosse la cucina prima del tuo restyling ma la differenza tra il prima e dopo è davvero sbalorditiva…certo che con un aiutante come Koi ? non avresti potuto fallire. Brava mia cara, assolutamente brava!??????
Oh ma ciao tu! Ho visto solo adesso il commento! Grazie cara! Sulle discussioni di priorità tra tende-cucina… come hai visto ci ha pensato Koi cercando di distruggermi le tende appena fatte 😀 Dovrò quindi lavorare alle modifiche anti-gatto prima di affrontare la cucina, altrimenti a fine lavoro mi troverei con le tende a brandelli! Hai capito che aiutante il micio…
Un grande abbraccio!