La ricetta della ribollita toscana vegan, quella vera e di origine aretina, la trovi in fondo alla pagina. Prima c’è un post lungo scritto dopo la prima quarantena (lockdown) del 2020, dopo una mia assenza dal sito e dai social. Se ti serve solo la ricetta, puoi andare direttamente più sotto, la trovi in evidenza.
Sono stata in silenzio tutto il tempo della quarantena e qualcosa oltre, per scelta. Lo so, lo so che ora si chiama lockdown, che sembra addirittura qualcosa di modaiolo, ma io continuerò a chiamarla quarantena. Sono stata in silenzio perché il resto del mondo era assordante.
Improvvisamente, come tutti, sono stata assalita da una ribollita di contenuti e corsi a prezzi scontati, da gente che lavorava da due giorni da casa e voleva spiegarmi come lavorare da casa (sì, smartworking fa più figo che “lavorare da casa”, ma tanto avevano solo un portatile sul tavolo della cucina). Lavoro da abbastanza anni nella comunicazione online da sapere che queste esplosioni di contenuti a buon mercato creano solo disinteresse, mentre sapevo che sarebbero saliti sul podio i negozi e-commerce.
Una cosa buffa per cui ho ringraziato la quarantena
In realtà mi sono isolata anche perché ci è arrivata una quantità enorme di lavoro, seguita da una quantità enorme di preventivi, una ribollita di nuovi servizi per un futuro distopico in cui le quarantene potrebbero ricapitare e gli imprenditori vogliono essere pronti. Stavolta in molti non lo erano.
Viviamo in una nazione in cui la maggior parte non ha ancora un sito internet o pensa che la pagina Facebook gratis sia uguale e gestibile in proprio, che per far conoscere il proprio prodotto basti postarne le foto sui social o farsi da soli un sito con un servizio gratuito. La quarantena ha evidenziato che no, non funziona così. Come in tutti i campi, come in ogni tempo, vince chi investe su se stesso e perde chi fa l’arrabattone, il pulciaro, il fai da te incompetente. L’autoproduzione è un’altra cosa: io faccio i tortellini in casa ma non saprei costruire la macchina per farli, nemmeno sarei in grado di aprire un ristorante o un laboratorio alimentare senza imparare la gestione di tutto quello che ci sta attorno e comprare le macchine necessarie. Nello stesso modo, puoi farti un blog per hobby, gratis, ma un sito serio professionale no. La differenza? Il sito professionale porta i clienti dal tuo prodotto invece che da quello di un altro.
Lo so, lo so. Non sto riuscendo a dissimulare la soddisfazione per il fatto che, grazie alla quarantena, alcuni abbiano capito perché ho un lavoro. Conseguenza buffa di un periodo difficile per tutti.
Il perché serio del mio silenzio durante la quarantena
Sono stata in silenzio anche per rispetto e auto-conservazione. Rispetto per i tanti, troppi amici che hanno salutato più di un parente stretto. Sono ribollita letteralmente a sentire persone che ritenevo intelligenti e lontane dal terrapiattismo, mentre sputavano sentenze su numeri dei decessi, età dei deceduti, supposte verità inoppugnabili che venivano sovvertite il giorno dopo, salvo ricomparire nell’eterno ping pong dei social, perché il post dimenticato riceveva l’attenzione tardiva di zia Annunziatina che da tre mesi non leggeva le pagine dei parenti. Post che sono fatti apposta per distorcere la realtà, far passare per scienziato un medico mediocre o il parrucchiere.
Il fatto che il social più usato dagli italiani sia quello che ha determinato l’elezione del presidente americano più ignorante, razzista, dittatoriale e populista della storia sembra essere irrilevante. Un po’ come se io decidessi di scrivere di decrescita su Yacht Class. Ma questi rivoluzionari della tastiera non ci arrivano, pare. Milioni di persone negli USA, con questo social, hanno ottenuto solo una dittatura armata e sono vicini a una guerra civile, ma noi, i furbi italiani, siamo sicuri di poter leggere lì la Verità sui vaccini e i virus, un segreto della CIA di cui è venuta a conoscenza Kokkola della pagina Coccole in cucina e tanto altro.
Dietro le quinte del mio silenzio sui social
Intanto, da marzo, tenevo virtualmente la mano ad amici tra Milano e Bergamo che perdevano chi un fratello quarantenne e sportivo in perfetta salute, chi la mamma e il papà che potevano tranquillamente vivere altri vent’anni. Non ho risposto a questa ribollita di teorie, ho rinunciato. Sono ribollita ogni volta che ho sentito “sono solo vecchietti“. Non lo sono, il fratello della mia amica non era un vecchietto: era uno sportivo, un manager, un papà, un marito, un fratello e un figlio. Tra l’altro chi diceva questa frase immonda era più vecchio e malato di lui. Ci vantiamo della sorte, ora? Mi sembra che ai molti non sia ancora ben chiaro che si è trattato di una selezione alla roulette russa, non c’erano criteri. Ma forse, pensare che ci fosse un criterio come “solo vecchi” li metteva al riparo dalla paura di morire.
In ogni caso, erano persone, con una vita e una dignità. Forse lo capiranno, un giorno, quando magari chiameranno loro ‘vecchietta’ e ‘nonno’, anche senza avere nipoti.
Io non sono in grado di sapere se sia stata stata malasanità o la casualità. Non ho teorie o risposte, non adesso. Ascolto tutto, vaglio. Capisco solo che, qualunque cosa sia stata, le persone avrebbero meritato più rispetto.
Ho preferito astenermi dalla ribollita di pareri e cercare invece di essere utile per il poco che potevo, personalmente e direttamente. Il tempo per il blog si è esaurito.
Dietro le quinte del silenzio di questo sito
L’ultima newsletter era di marzo. Ho sospeso l’invio, lo riprendo oggi. So che per qualcuno sarebbe stato un momento di rilassamento, vi ringrazio anzi di avermelo scritto, è stato commovente ricevere le mail e i messaggi che chiedevano se arrivava il mandala del mese! Ho apprezzato molto chi mi ha chiesto in punta di piedi se andasse tutto bene perché non aveva ricevuto la newsletter mensile.
Il motivo maggiore è questo. Gli iscritti del nord Italia sono tanti, non volevo essere io a mandargli una simpatica newsletter piena di allegria e inviti a colorare mandala, mentre magari usavano l’email per capire in quale obitorio fosse finito il loro papà. Forse succederà o è già successo a qualcuno in altre occasioni, non posso saperlo. Ma qui potevo saperlo e sarebbe stato come vestirmi da clown per accodarmi a quelle file di camion dell’esercito.
Sono certa che tutti gli altri iscritti avranno capito la scelta e, conoscendo la qualità dei lettori di questo sito (una delle più grandi fortune e soddisfazioni della mia vita!), sono certa che sia così.
La ricerca casa in quarantena, una vera ribollita!
Siamo stati invasi da pubblicità di servizi online che non sapevano però come realizzare. Prima li pubblicizzavano, dopo ci provavano. Mi sono arrivate una tonnellata di email dalle agenzie sul tema “Siamo attivi anche in quarantena!”. Un famoso portale immobiliare pubblicizzava come altri la “videovisita a distanza”. Noi in realtà non volevamo fare altre visite, ma c’era molta insistenza e allora proviamoci, chi sono io per chiudere le porte alla Fortuna? Magari salta fuori un’occasione strabiliante. Acconsento a inoltrare la richiesta. Prima risposta: purtroppo non siamo ancora attrezzati, appena lo saremo la ricontatteremo. Devo ancora sentirli. Consiglio professionale gratis: la dovete smettere di mettere nel reparto marketing gli avanzi dell’azienda e le amanti.
Arriva un altro. Lui è capace e ha venditori pronti con il cellulare in mano per condurmi in una visita virtuale della magione. Altro contatta il primo venditore e ci accordiamo per una visita via Zoom in cui il venditore dovrà aggirarsi per casa facendo uno streaming con il cellulare.
Venditore uno: non è dotato di rete e pensava bastasse parlare al telefono.
Venditore due: tutto molto buio, l’agente chiede di aprire delle finestre e lui risponde testualmente “No no, siamo in quarantena qui! Entra il virus!”. Mi sono morsa la lingua per non chiedergli se suonava anche il campanello.
Venditore tre: si aggira per casa filmando con il cellulare, cerca di fare del suo meglio, ma fa venire la labirintite a tutti. Poi si ferma all’ultima stanza, il bagno, e si mette a parlarci da lì, con vista su wc aperto, indossando la mascherina. Non si è capito quasi niente ma ci ha protetti dal virus dei cellulari.
Le agenzie non di grandi marchi, quelle a gestione familiare, vanno meglio. Faccio qualche videochiamata con loro, una delle quali con l’unico agente che mi ha scoperta e mi dice “Sono un po’ timoroso di parlare con lei, non vorrei finire sul suo sito”. Acquista subito un migliaio di punti: ero stata molto attenta a non usare indirizzi riconducibili, questo è uno in gamba.
La mia ribollita toscana vegan in quarantena
Passata. Sembra passata. Avevamo cominciato con il lavarci le mani, un atto semplice, banale, una cosa per pochi però. Per pochissimi. Tanto che io mi sono sentita finalmente in un periodo di normalità senza che nessuno si scandalizzasse contando quante volte lavo le mani o cerco di non toccare le maniglie fuori di casa.
Adesso è cambiato tanto: i medici di base finalmente forse usano il disinfettante tra un paziente e l’altro, la gente ha capito che la mascherina non serve all’anonimato del chirurgo. Tranne che quassù sulla montagna bolognese dove, durante la quarantena, era più la gente senza mascherina che con, al supermercato continuavano ad andarci ogni giorno per comprare un’arancia e passare il tempo a girare con carrelli vuoti.
I migliori del posto sono stati come sempre i ciclisti sportivi: forti del permesso di fare sport senza guanti e mascherine, si fermano in gruppo alla fontana in piazza a bere, tutti a toccare l’erogatore dell’acqua a mani nude belle sudate. Adorabili. Un giorno gli svelerò che prima del loro passaggio, c’è un passeggio mattutino in cui diversi cani bevono a canna dalla stessa fontana, sbavandoci sopra abbondantemente. O magari gli lascerò ancora un po’ di mistero sul perché abbiano in bocca gli stessi batteri fecali che i cani hanno sul sedere. Auguri alle consorti.
Pezzi che restano dalla ribollita di vita: lavarsi le mani?
Lavarsi le mani. Mi ricordo per esempio un giorno, qualche mese prima della quarantena. Entro nel bagno di un ristorante. Procedo a tutta la mia normale sanificazione, quella che fa ridere molte amiche. Ho un mio kit, che prima della quarantena era quello che le faceva ridere di più. Disinfettante autoprodotto da spruzzare. Ovunque. Le mie salviettine. Non tocco niente che sia nel bagno. Apro e chiudo la porta con una salviettina. Sei fissata, mi dicevano. No, non sono fissata, sono solo una che conosce i batteri e le cariche batteriche sulle maniglie delle porte delle toilette.
Quel giorno entro mentre un’elegante signora sulla sessantina si infila nel bagno di fianco. Appena entrata si lamenta ad alta voce per le condizioni del bagno. Sento chiaramente “Ma a casa loro fanno questo schifo? Lo lasciano così il bagno?!”. Qualcuno che la pensa come me, mi dico. Va avanti a parlare da sola tutto il tempo, consapevole che il bagno di fianco è occupato da me. Si aspetterà una mia partecipazione? O magari ritiene che io sia una di quelle che fanno schifo e mi sta dando una lezione a distanza? Chi lo sa. Io comunque non partecipo, sono impegnata nella mia sanificazione pre-uso.
Intanto intuisco dai rumori che la signora ha già fatto senza indugi e si serve della carta fornita gentilmente dal ristoratore, maneggiata da chissà quanti altri e caduta a terra chissà quante volte. Esce dal cubicolo, si ferma davanti ai lavandini, si sistema i capelli controllandosi allo specchio e se ne va. Senza lavarsi le mani. Una bella ravvivata di batteri fecali su quelle meches da ex strafiga e brava donna di famiglia, così ordinata e dignitosa, che si lamenta di come altri lasciano il bagno ma comunque lo usa senza remore. Una mano che magari ne stringerà altre e che di sicuro ora sta tornando a pranzare al tavolo del ristorante.
In Italia lavarsi le mani è proprio cosa di pochi, non è una pratica conosciuta, persino tra le signore che si schifano per come gli altri lasciano i bagni. Si indignano. Ma invece pulirsi il sedere, passarsi le mani tra i capelli e poi stringere una forchetta è ottimo.
(Se volete farmi il discorso degli anticorpi, vi avviso che vi stendo: sono un caterpillar della biologia e vi assicuro che non c’è alcuno zoo sulle vostre mani che possa aiutare il regolare funzionamento del sistema immunitario. Soprattutto i batteri fecali sparsi sulla chioma o sulle mani altrui).
Io ero quella esagerata. Dopo la quarantena spero ci siano più esagerazioni. Ma non è detto.
Piccole contraddizioni in quarantena
Lavarsi le mani e starnutirsi nel braccio. All’inizio, a marzo ancora, dico: attenti, non è sufficiente, non basta. Ma sono una complottista, jettatrice, esagerata. La solita esagerata. Onestamente, voi dove vedete la logica di starnutire su una parte e lavarne un’altra?
L’indicazione corretta sarebbe: starnutire o tossire allontanandosi dagli altri, coprendosi la bocca e poi lavarsi immediatamente le mani. Il braccio spesso non si può lavare, è più facile che sia coperto dai vestiti. Ma non lo dice nessuno. Tutti novelli Pasteur con la scoperta del gomito, tutti a starnutire nel gomito come fosse la nuova penicillina, la cura debellatrice. E si è visto, infatti. La realtà è che questi gomiti, braccia e polsi diventano in breve delle piastre di Petri che pullulano e spargono, spargono, spargono. Le mani invece si possono lavare o disinfettare facilmente, anche al volo. Quindi, per pietà: starnutitevi nelle mani e lavatele. Non aggiratevi con gomiti su cui virus e batteri stanno facendo un rave party.
Io sto a casa, dico a marzo. Vado solo in giro per i boschi. Devi andare da una psicologa, non puoi chiuderti in casa, mi dicono. No io sto a casa, stanno sottovalutando, qui ci ammazziamo tutti. Sei esagerata. Allora smetto di dire che sto a casa, tanto lavoro da casa anche senza pandemia, non se ne accorgono che sto a casa. Faccio un po’ di scorte di alimenti che so che finiranno, e che infatti finiscono. Esagerata ma intanto io ho il necessario per mesi. (Un po’ è stata anche la scuola del vivere nel bosco: quando puoi restare bloccata due settimane da una nevicata, riempi la dispensa a ogni inizio inverno)
Cara Cassandra, in due settimane sono a casa tutti. Smetto di rispondere a chi vuole condividere con me i suoi pensieri sulle misure di sicurezza, smetto di rispondere a chi vuole spiegarmi che non è vero niente, che i numeri, che non si muore, che solo i vecchi, che è tutto un complotto, una montatura, gli alieni. Non ho tempo di accettare la parte di quella strana, ho altro da fare.
Parlavo di pandemie nel 2004, vi ricordate?
Sedici anni fa. 2004. Una delle mie prime conferenze. Parlo delle previsioni di alcuni scienziati: break point previsto tra il 2040 e il 2050, preceduto da pandemie, fenomeni meterologici gravi, terremoti. La solita complottista. La solita disfattista. La solita catastrofista. Ve lo ricordate? Qualcuno di voi c’era già.
Negli anni mi costringono a smettere di dirlo alle mie conferenze, perché la gente si deprime. La gente vuole fare figli, sederli sul carrello gigante del Carrefour e riempirlo di prodotti scontati che sono 60% confezione di plastica da buttare. Questo li rende felici e fiduciosi nel futuro. Il mio discorso no, perché poi, molto del discorso, è legato allo smettere di mangiare animali, che sarebbe la cosa più urgente da fare. Gli allevamenti sono il principale inquinamento e la principale forma di intossicazione dell’organismo umano. Più l’organismo è intossicato, meno risponde alle cure. Più l’intestino è appesantito da putrefazioni di proteine animali e cibi raffinati industriali, più la risposta immunitaria è bassa. Allora, mi dico, saltiamo la parte delle pandemie e break point, mi concentrerò solo su questo: smettiamo di mangiare carne e latticini, perché ci ammaliamo e facciamo male al pianeta. Complottista, esagerata, noiosa, goditi la vita, a me piace il panino al prosciutto, che vita è senza il ragù di nonna. È questa vita qui. Ora che l’avete provata, vi è piaciuta? Ma se non avete colto il discorso, nessun problema: ricapiterà.
E quindi, cosa ci dici del futuro?
Il break point è sempre lì, 2040-2050, ma non si può dire perchè la gente si spaventa e noi non vogliamo spaventare la gente (noi associazioni, noi festival, noi televisione, noi radio, noi youtuber, noi qualsiasi noi). “Grazia, non spaventare la gente! Più leggerezza!” Quante volte me l’hanno detto? Ma è scienza, ribattevo, non sono mica una terrapiattista, è scienza, e tiravo fuori studi, dati, fatti.
Sì, è vero, ma non si può dire qui ora (qui festival, qui presentazione, qui radio, qui tv, qui collettivo di Frittole). “La gente felice compra, Grazia, se la spaventi non compra“. “Grazia, non spaventare la gente“. Così la gente felice continua a mangiare animali, a pulirsi il sedere e poi strofinarsi batteri fecali nei capelli, a starnutire dove va più di moda pensando di essere al sicuro perché si sono scatarrati nel gomito invece che nella mano.
Dopo poco è pandemia, è obbligo di stare a casa, usare la mascherina, tenere una distanza sociale ecc. Una ribollita di nuove norme di quarantena. Improvvisamente non è più così strano disinfettare tutto, evitare i luoghi pubblici, lavarsi finalmente le mani. Mi chiedo se la signora stilosa con le meches abbia intanto imparato a lavarsi le mani. Ne dubito. Ma sarà sicuramente tra quelle che urlano su Facebook che finalmente la gente si lava le mani. Invece no, gli occidentali finché non si vedono cadere le dita non riescono a collegare causa-effetto.
E poi comincia l’indegno balletto: sono gli anziani. E no sono anche i giovani. E è tutto un grande complotto. I vaccini, le case farmaceutiche, le multinazionali, la Germania e l’Olanda, il MES, l’Europa monetaria e quella fiscale. Pochi sembrano capire la differenza tra monetario e fiscale ma intanto forse si stanno lavando le mani. Forse.
Ci sentiamo impotenti e io un po’ di più, lasciatemelo dire.
Io adesso voglio la pillola IM di Maccio Capatonda. La voglio. Che cavolo ho studiato a fare, mi prende lo sconforto. Ho studiato così tanto per assistere impotente a questo disastro capendone ogni minimo particolare? Serviva solo a questo? Perchè non posso fare niente. Allora meglio essere l’italiano medio. Meglio trascinare il carrello mastodontico del Carrefour pieno di Coca-cola, pizza surgelata e figli che vanno verso il break point. Meglio loro, la maggioranza, loro quelli normali, con le serate davanti alla tv a sentire i piagnoni del qualunquismo, i medici inutili che stanno solo sui social, i biologi della triennale che spiegano come starnutire nel gomito, i giornalisti di Fiori&Cespugli che interpretano i decreti. Io adesso vorrei solo essere una fan di Uomini e donne con Maria De Filippi, vorrei sapere tutti i nomi dei tronisti e avere un’opinione precisa sulle coppie, vorrei parlare di Tina Cipollari come se fosse una mia amica. Vorrei vivere come loro, i normali, con la tv accesa tutto il giorno, avere opinioni semplici che possono risolvere tutti i problemi del paese: togliamo gli stipendi ai politici, diamoli agli operai, fuori gli immigrati, chiusi i porti e tutto risolto.
Milano, Bergamo, gli amici, i clienti. Telefonate strazianti, progetti interrotti, preghiere. Tante preghiere. Gente che muore, altra che canta dal balcone. Io osservo una realtà imbarazzante in cui siamo tutti uniti in un sol cuore con i medici, ma ci adiriamo se sono rimaste solo le penne lisce sullo scaffale della Coop. Ma adiriamoci perché molti di quei medici sono precari, no? No.
Ribollita di giornalismo
Un momento di grande giornalismo: la Sciarelli sgrida in diretta il politico che è andato in studio pur sapendo di avere la febbre, li ha fatti stare tutti in quarantena e lei per una settimana non ha potuto mettere da parte gli scomparsi per fare giornalismo d’attualità ripetendo le cinque informazioni sul Covid che ripetono tutti da giorni, ventiquattrore su ventiquattro, in ogni trasmissione. Ma io la Sciarelli amo lo stesso perché è l’unica che ha indagato davvero su Ilaria Alpi e non ha mai ceduto alle minacce. Però datele Report, perché questa donna soffre. Soffre a occuparsi di Pino che è sparito dopo essersi giocato lo stipendio alle slot e sua moglie Rosaria, biascicando con gli ultimi tre denti, lo prega di rifarsi vivo in dialetto sottotitolato. Lei vuole fare l’inchiesta sugli ospedali del nord Italia, non sul signor Pino disperso.
L’inchiesta Covid della Sciarelli e della sua redazione è una delle migliori realizzate in questo periodo, ma nel programma sbagliato (salvo che il messaggio fosse “Chi l’ha visto il management della Lombardia?”). Dovrebbe essere ancora online su Raiplay, da guardare.
La mia quarantena nel paesino di montagna
Qui nel paesino di montagna l’altoparlante dell’anteguerra gracchia l’inno di Mameli, giuro. Siamo piombati in un film di Don Camillo e Peppone, con annunci agli italiani udibili solo a un metro, amici che mi telefonano per sapere cosa ha detto il sindaco dall’altoparlante in piazza, cioè sotto casa mia. Non lo so, ero in videocall, lavoravo, mentre in piazza è partita la Settimana Incom. Ho fermato la riunione perché non sentivo più niente e mi sembrava brutto ignorare l’inno nazionale, benché sparato a tradimento con la qualità audio dell’Istituto Luce. La Settimana Incom della sindaca invece non s’è proprio capita. Un giorno vorrei avere i testi di queste comunicazioni che partono ogni tanto dagli altoparlanti del paesino, così, solo per la curiosità di sapere cosa mi sono persa.
Poche ore dopo, gli abitanti del piccolo paese (e i duemila bolognesi venuti su di sottecchi nelle seconde case), sono impegnati a scannarsi su chi ha ricevuto le mascherine e i disinfettanti dalla Protezione Civile in formato famiglia, chi ha avuto solo una mascherina e chi invece niente e non è giusto e ci sono sempre cittadini di serie A e di serie “. E così tutto il problema si sposta sulla conta di chi ha ricevuto cosa, una guerra tra poveri come nelle migliori tradizioni di emergenza italiana.
Anche i miei gatti lo fanno: sono in tre, vanno d’amore e d’accordo, si danno i bacetti e leccatine di simpatia, ma se appena vedono un gatto fuori che gli soffia, si azzuffano tra loro tre. Non con il gatto fuori, tra loro. C’è un pericolo, facciamo qualcosa? Sì dai, litighiamo tra noi. Italia, mondo.
Spaventi in ore notturne
Ore 23.11. Citofono. Faccio un salto, chi può essere a quest’ora alla porta, mi batte il cuore, durante la quarantena poi! Starà male un vicino? Incespico dal divano fino al citofono “Chi è?”.
“Carabinieri, ci apra!”. Gelo. Chi? Cosa? Cos’è successo? Mi passa davanti la vita. Noi abbiamo parenti nelle zone rosse.
Mentre apro il portone mi urla “Non venga fuori, dobbiamo mettere le mascherine nelle buchette delle lettere, non deve venire qui nessuno ha capito?”.
“Sì grazie”. (Sì, ma stai calmo eh)
Ho le gambe molli. Mi siedo. Dopo mezz’ora vado a vedere nella buca delle lettere, a noi la mascherina non l’hanno messa. Allora viene anche a me la sindrome di Calimero tipica dell’italiano medio, ne sono quasi felice: mi posso adirare per l’ingiustizia! A me suonano, mi fanno spaventare e poi agli altri mettono le mascherine! A me no! Ingiustizia! Ingiustizia!
In più m’è preso l’infarto, che si suona alle undici di sera dicendo “Carabinieri, ci apra!”?!
Le mascherine le hanno messe uno sì e uno no, perché non erano abbastanza. Fa niente, essendo italiani ci eravamo già attrezzati, da soli. Ma mi sento lo stesso Calimero abbandonato e così, almeno per una volta, mi sento uguale agli altri, quindi alla fine è un’ingiustizia molto positiva per me, per un attimo sono come la donna media al Carrefour, quasi quasi vado su Facebook a urlare la mia indignazione per questo scandalo della mascherina che a me non hanno dato! Normale per una volta, dai!
Che poi non erano nemmeno i Carabinieri, erano i forestali che ora sono tutti Carabinieri e in ogni caso stavano lavorando dalla mattina a distribuire mascherine. Niente, non riesce a farsi strada la donna media del Carrefour e mi dispiace per questi ragazzi in giro al freddo di sera per distribuire le mascherine. Da noi fa ancora molto freddo.
Sospiro, non ce la faccio a diventare normale.
Il lavoro ai tempi della pandemia
I clienti hanno mille urgenze. Due mesi infernali, senza sabati e domeniche, a modificare tutte le comunicazioni ad ogni decreto. Io capisco la necessità di fare i decreti in successione, è una situazione nuova, ma dopo il terzo decreto voglio dare fuoco al computer, al Parlamento e anche alla foto di Linus Torvalds che è stato il primo a illudere la gente con sta storia che internet è gratis e tutti sono in grado di fare tutto e il nostro lavoro è una passeggiata per perditempo che si grattano il sedere (lavandosi poi le mani).
Due mesi di urgenze e richieste balorde. Le urgenze erano reali. Le richieste balorde fioccavano. Impiegati a casa con idee imprenditoriali, coltivate in bagno, mentre la moglie imparava a fare i popcorn alla ricotta dai video di Bruno Barbieri. “Vorrei fare un’app così e così, mi ha parlato molto bene di voi Tizio, che è vostro cliente” (ancora per poco dopo aver mandato te). Anticipo a voce il prezzo, in quarantena sono diventata la front woman dei preventivi, perché fa figo dare il numero diretto di uno dei soci e quale gli danno? Il mio. Non si sa se per una questione maschilista per cui le incombenze di segretariato spettano alle donne o perché gli altri sono meno pazienti.
Al termine della spiegazione mi dice “Vorrei un preventivo dettagliato con tutte le voci”. Tra le duemila chiamate dei clienti che vogliono il pop up per avvisare che le spedizioni sono in ritardo, quelli che bisogna disegnargli subito la mascherina sul logo che fa tanto simpatia, ci infilo anche tutti gli aspiranti imprenditori con quel preventivo che non verrà mai accettato, già lo so. Come lo so? Perché Linus Torvalds gli ha messo in testa che internet è gratis o costa poco, Facebook è gratis, il codice è gratis, i programmi sono gratis, quindi pensano di spendere al massimo cento euro per un un’app che gli farà guadagnare un milione di dollari al mese. Si stanno coltivando questo sogno da un mese di quarantena, io sono la cattivona che glielo rovina.
Il mio karma urla pietà, io urlo pietà, imploro che arrivi questo benedetto 4 maggio.
Come si lavora (male) quando tutti sono in smartworking
Lo smartworking, il lavoro da casa, la ribollita toscana delle ribollite. Chi ha sempre lavorato in smartworking tace e lavora. Chi è a casa da due giorni e con la garanzia dello stipendio, pontifica sullo smartworking, fa i selfie dal suo studio creato tra la lavatrice e il w.c., fingendo che sia in una veranda boho-chic. E via consigli su come lavorare al meglio da casa, confezionati da gente che lavora da casa da due minuti. Ma dai. Pietà.
Come avevo progettato e nonostante l’ondata di lavoro in più, sono riuscita a finire la revisione del libro L’autoproduzione è la vera rivoluzione, che dal 15 giugno è in viaggio per arrivare nelle librerie e negli store online. Sarà presente anche nei negozi NaturaSì. In libreria si può già ordinare se non è ancora arrivato, bastano i dati e il codice isbn che trovate qui. Purtroppo una conseguenza della quarantena è che la distribuzione è diventata un po’ lenta, dovendo rispettare tutti i protocolli igienici e di sicurezza.
Di questa nuova edizione con due editori etici, Edizioni Enea (dove potete leggere il primo capitolo!) e Macro Edizioni, ne parlerò meglio tra qualche giorno. Per adesso avviso solo i tanti che mi avevano chiesto quando sarebbe uscito: fatto!
L’autoproduzione in quarantena
Il gruppo Autoproduzione e decrescita, gruppo storico di Facebook, esplode di nuovi iscritti, domande e nuovi post. Non scrivo sul blog, non riesco più a scrivere cinque minuti. Aggiorno il gruppo ogni tanto, mentre aspetto un pezzo che deve finire qualcun altro, mentre faccio un tè che poi lascerò raffreddare dimenticandomi di berlo. Volevo leggere, scrivere, dipingere, ascoltare tre corsi e non riesco a fare niente. Mi sento soffocare.
Dopo un mese di quarantena, io e Isabella chiudiamo il gruppo Autoproduzione e decrescita. Anni di scambi ma non è più cosa. Con la quarantena sono arrivate tutte le signore del Carrefour che devono solo risparmiare sulla spesa o passare il tempo. Quotidianamente cancelliamo una tonnellata di pubblicità travestita male, moderiamo qualcuno che non ha capito che si parla di decrescita e non di ricette per il caciucco, ma arrivano altre ricette, ricette, ricette di tutto e gente che litiga sulle ricette non ricordo nemmeno perché, la futilità. Il niente. Pane fatto in casa, torte, pizze, piatti di plastica da bruciare negli inceneritori che ci butteranno addosso quelle polveri sottili per cui diventa più facile ammalarsi, respirare male. Siamo vulnerabili, siamo preda degli stupidi perché sono la maggioranza e sono arroganti nella loro unica forza di essere la maggioranza.
Io non ho tempo di moderare casalinghe che fanno ricette senza capire che cosa sia davvero l’autoproduzione, che non serve l’autoproduzione senza la decrescita, che il pane con la farina del Carrefour perché costa meno ti costerà molto, costerà moltissimo ai tuoi figli. Ma non glielo puoi dire, perché la gente ora ha bisogno di essere felice, di fare cose, di passare il tempo come se il tempo fosse un nemico e non qualcosa di prezioso. La gente ha sempre bisogno di fare qualcosa per essere felice. Allora no, basta. Io non ho tempo da perdere per il loro bisogno di riempire vuoti senza costruire.
La decrescita, io ci credevo, io l’ho fatto, io continuo ma da sola, unita da un filo di luce e stelle con quelle poche persone che la capiscono, con voi, con Isabella con cui diciamo che il gruppo è ora di chiuderlo, che la quarantena ci ha portato via l’illusione che le signore Carrefour piano piano cambiassero, che questa fosse l’occasione.
Io, l’Ammiraglio Nelson e la ribollita toscana
Non facciamoci portare via la prospettiva che il mondo possa migliorare. Io voglio essere come l’ammiraglio Nelson. L’ammiraglio Nelson fronteggiando l’immensa flotta spagnola schierata per la battaglia, quella paurosa Armada Invencible, guardò da prua nel suo cannocchiale. Un suo attendente gli fece notare con delicatezza che aveva messo per sbaglio il cannocchiale sull’occhio cieco e bendato. Lui rispose “Preferisco così”.
Anche io preferisco così, preferisco non vedere più le signore Carrefour, la pizza fatta in casa in quarantena e la pizza surgelata appena si può tornare nell’ipermercato, le donne che si auto-declassano a schiave del focolare perché non sanno nemmeno più cosa gli piace, tutto questo tempo è da riempire e non si sa come, non si ricordano che a sedici anni gli piaceva dipingere, che avevano dei sogni. E allora fanno i pop corn alla ricotta e postano il meme Ma voi ci entrate ancora nei jeans? E un minuto di sorriso nel vuoto del non capire dove si è, dove si andrà, se si può decidere.
Signore Carrefour, io vi guardo con il cannocchiale e la benda sull’occhio, io non vi voglio vedere, anche se so che ci siete, ma sarò qui ferma e chiara quando vorrete capire l’autoproduzione, la decrescita, magari anche come sta funzionando il mondo fuori dagli studi delle tv che vi vendono felicità e speranza per farvi comprare il nuovo ammorbidente.
In quarantena mi metto a fare la ribollita toscana vegan
Un giorno mi viene voglia di ribollita toscana vegan, cioè quella vera, perché la ribollita nasce così: già vegana. Mi viene voglia di ribollita toscana vegan fatta con tutti i crismi. Fa ancora freddo, mi assale una voglia di quella ribollita toscana vera, cotta lentamente nei cocci, con il pane sciapo casereccio. Resisto pensando che sono vittima inconsapevole di questa ondata di gente ai fornelli, suggestionata anche io dallo chef Barbieri che mi spunta come suggerimento anche quando guardo un video comparativo sui pannelli fotovoltaici. Io mi informo sul risparmio energetico e mi esce invariabilmente un suggerimento di guardare lo chef Barbieri “Ciao ragazzi oggi facciamo l’insalata con il microonde e dopo vi faccio vedere come si impiatta il minestrone nel servizio da grappa di mia nonna Pina!” e subito a seguire “Guarda l’incredibile video di Barbieri che fa la grappa di minestrone” (Il Corriere della Sera). “Questo chef è riuscito a fare la grappa con il minestrone!” (Huffington Post). “La sexy la grappa di minestrone per conquistarla” (La Repubblica) “Le banche non vogliono che Jovanotti sveli come ha fatto un milione di euro in una notte con questa grappa di minestrone” (centomila email).
Lascio perdere ma poi mi sogno la ribollita toscana vegan di notte e mi metto a ridere perché Freud direbbe che ho sognato la mia vita che adesso è una grande enorme ribollita. Jung gli direbbe che ho fame di cose concrete. Secondo me hanno ragione tutti e due. Ma siamo in quarantena, dove prendo tutte le verdure per la ribollita toscana vegan? Da quando è scattato il lockdown (dai, per una volta ve lo scrivo al posto di quarantena), sono costretta a fare la spesa alla Coop locale.
La ribollita toscana vegan con la verdura plasticosa del supermercato… anche no.
Se la Coop sei tu, sappi che io ti detesto. Intanto le proporzioni. Nel paesino dove abito ora, in cima all’Appennino bolognese, alla Coop ci sono pochi metri di frutta e verdura con un pietosissimo e minimalista frigo di verdure in busta, per poi passare a un’enorme banco pane, seguito da un’enorme banco macelleria, seguito a sua volta da un enorme, puzzolentissimo e rivoltante banco del pesce in via di decomposizione. Questi ultimi tre banchi sempre deserti, due persone al massimo. Ma il geniale progettista delle Coop, che dev’essere parente stretto del progettista dei vagoni Frecciarossa, ha fatto in modo che l’area frutta-verdura all’inizio fosse così accatastata e disfunzionale che è assolutamente impossibile tenere le distanze. Nonostante questo, la gente ci prova lo stesso, siamo eroi. Siamo veri eroi anche nel comprare quell’immondizia acerba pompata di acqua e pesticidi che vogliono far passare per verdura. Il mio frigorifero inizia ad ospitare carote dure che sanno di detersivo amaro e rischiano di spaccarmi l’estrattore. Mi riduco a comprare il minestrone bio surgelato della Coop, perchè non ci sono le verdure fresche per farlo. Dopo il primo sacchetto constato che posso autoprodurlo io, vi passo la ricetta: un mazzo di sedano tritato, due piselli e una manciata di ghiaietto da spiaggia. Bollite tutto insieme e voilà.
Arriva in soccorso un’amica con l’orto che mi fa riscoprire le verdure vere, le stavo dimenticando. Mi regala un mazzo di cavolo nero toscano e amo così tanto quel mazzo vero e profumato di terra che vorrei piangere, non usarlo, tenerlo lì per ricordarmi che tornerà un orto nella mia vita o almeno della verdura reale. Ed è ribollita, che finita la quarantena rifaccio per gli amici che protestavano dalle foto postate su Instagram. Grandi apprezzamenti per la mia ribollita toscana vegan dai tempi lenti, allora vi lascio con la ricetta della ribollita come la faccio io, per condividerla anche con voi. L’origine della ricetta è aretina, della nonna di un’amica.
Se obiettate che è un piatto invernale… eh no! Finché c’è cavolo nero si fa e si mangia anche fredda! Da queste parti gli ultimi cavoli neri sono ancora negli orti.

Ingredients
- 400 g di pane toscano raffermo tagliato a fettine sottili
- 600 g di fagioli cannellini lessati
- 400 g di cavolo nero toscano
- 200 g di verza (solo l'interno bianco)
- 150 ml di olio extravergine di oliva
- 2 litri di brodo vegetale
- 2 cipolle bianche grandi
- 4 pomodori secchi
- 3 patate medie a pasta gialla
- 2 carote
- 1 gambo di sedano
- 1 porro
- 2 spicchi di aglio
- Mazzetto di odori: rosmarino e salvia
- Sale, pepe nero da macinare
Instructions
Io di solito comincio un paio di giorni prima, mettendo a bagno e facendo cuocere i cannellini intanto che preparo il pane toscano di farro integrale. Era il pane originale della ribollita. Difficile che si trovi dai fornai fuori dalla Toscana. Una volta fatto il pane, lo taglio a fettine sottili e le lascio in un canovaccio: in un paio di giorni diventano secche al punto giusto. Non va invece velocizzato il processo facendole tostare in forno, si rovinano e la consistenza della ribollita resta troppo sbriciolata o troppo liquida. Era un piatto povero in cui si riciclava il pane raffermo: bisogna usare solo il pane raffermo. Soprattutto, non bisogna fare la ribollita con gli avanzi della zuppa di pane toscana, come fanno certi ristoranti inqualificabili. Sono due piatti diversi, con equilibri molto precisi.
La sera prima del gran giorno della ribollita in tavola, metto sul fuoco il pentolone di coccio. Nel mio caso è la Olla della Bionatural, ottima per tutti gli stufati, ribollite e cotture lente umide in grandi quantità. Avevo parlato delle Bionatural qualche anno fa e continuo a usarle con soddisfazione. Per la ribollita è davvero il coccio migliore perché avendo il fondo in refrattaria tiene il calore costante per una cottura lenta a fornello spento per tutta la notte. Imita un po' quello che avverrebbe con il coccio dentro la cucina a legna per tutta la notte, che poi è il metodo toscano doc per cuocere la ribollita.
Fatta scaldare la Olla, verso un po' di olio e faccio rosolare lentamente le cipolle bianche e il sedano tritati a coltello, insieme a carota a dadini, porro a fettine, patate a dadini, pomodori secchi tagliati a pezzetti. Lascio rosolare solo qualche minuto e copro tutto con il brodo vegetale caldo. Copro e lascio cuocere a fiamma bassissima per dieci minuti, poi aggiungo il cavolo nero privato della parte centrale delle foglie e tagliato ... come si vuole! Alcuni lo preferiscono intero ma io non amo i lenzuoli di verdura che escono dalle pietanze e lo riduco a liste di 3-4 cm. Lo stesso trattamento per la verza. Lascio cuocere per altri 15 minuti e solo alla fine aggiungo sale e pepe nero macinato fresco. Intanto che finisce la cottura, riduco in purea metà dei cannellini.
Terminata la cottura delle verdure, aggiungo i cannellini e la crema di cannellini, mescolo delicatamente e travaso il contenuto del coccio in una ciotola capiente. A questo punto, preparo il coccio per la composizione della ribollita, ungendo un po' l'interno con olio extravergine d'oliva. Questa operazione serve al coccio, non alla pietanza, quindi in caso stiate usando una pentola di acciaio o di ghisa, non è da fare.
Comincio con il disporre sul fondo uno strato di fette di pane, intervallato da un paio di mestoli di verdure e cannellini, poi di nuovo fette di pane e così via fino a riempire il coccio a strati. Copro tutto con il brodo e le verdure rimaste. Accendo la fiamma sotto al coccio coperto per mezz'ora, piuttosto bassa, poi spengo e copro la pentola con una coperta: continuerà una cottura lentissima e delicata per tutta la notte.
Il giorno dopo, il giorno speciale della ribollita! Di solito a pranzo, accendo la fiamma sotto al coccio senza toccare la ribollita all'interno. Intanto, in un pentolino verso l'olio extravergine e, arrivato a calore, gli aggiungo i due spicchi di aglio incamiciati e schiacciati, togliendoli dopo qualche minuto. Spengo, aggiungo il rosmarino, la salvia, attendendo che gli aromi si aprano e diventino corposi. Filtro l'olio profumato ancora caldo e ne uso un filo per guarnire i piatti di ribollita. Alcuni condiscono direttamente in pentola ma secondo me è più buono sopra alla ribollita nei singoli piatti.
La ribollita il giorno dopo è al suo meglio, andrebbe sempre preparata la sera e gustata il giorno successivo, il sapore e la consistenza cambiano completamente. C'è chi d'estate la mangia fredda o appena tiepida. Si conserva in frigo per 3-4 giorni.
La ribollita toscana è un piatto già vegan in origine, uno dei tanti piatti italiani che non serve modificare, solo gustare.
15 Commenti
Cara Grazia,
ho controllato varie volte la tua pagina Fb sperando di poterti leggere.
Io ho passato giornate scioccata nel comprendere che tanti contatti, anche virtuali, ritenuti intelligenti e posati sono invece dei reazionari populisti in cerca di nuovi “Salvatori” a cui affidarsi nonostante il passato del nostro Paese.
Sono rimasta scioccata nel leggere varie personalità del cosiddetto mondo “veg” aderire alle teorie più assurde e rilanciare articoli dai peggio blog o canali YouTube, gridando agli altri di “svegliarsi”.
Loro sanno tutto.
Loro hanno capito tutto.
Da un video e qualche articolo online presi da siti accreditati “www.nessunotelodice.com” o “www.tucheseisvegliosvelicomplottidaldivano”.
Purtroppo, ho avuto la conferma di ciò che avevo captato frequentando un certo ambiente in cui l’esaltazione e il bisogno di confermare i propri bias fanno da padrone e superano il desiderio di comprendere o mettersi in discussione.
Tutto ridotto a tifo da stadio.
Insomma, sei mancata. Tanto.
Cara Michela, grazie! Scusa anzi se rispondo così tardi ma l’ondata di lavoro e vita da trasloco mi ha seguita fin qui. Io credo che tutte queste persone che si sono date da fare per divulgare notizie infondate appartengano a due gruppi: quello dei paurosi per cui è più facile pensare che sia tutto un grande complotto e il virus non esiste (che così resterebbero al riparo dalla realtà in cui la tua vita ha più possibilità di prima di essere completamente stravolta o anche finita) e i narcisisti che hanno colto l’occasione per mettersi in mostra. Chiaramente sei più visibile con roboanti notizie di complotto. La paura vale per entrambi, comunque: non si metteranno mai in discussione. Teniamogli la porta aperta dovessero cambiare, ma inutile fare altro. Un grande abbraccio!
Ti abbraccio forte!
anche io!
Il piacere di leggerti è sempre grandissimo, un abbraccio!
Grazie! Un grande abbraccio anche a te!
eehhh la ricetta della ribollita è stata il tocco da maestro …l’avevo già vista su IG …ma niente, purtroppo non sono riuscita a trovare il cavolo nero e mi è rimasta la voglia.
Concordo su tutto quello che hai scritto. Io sono una di quelle che sperava che il post quarantena ci avrebbe trovato migliori , credo fortemente che il consumo di animali e derivati sia una delle principali cause di malattia ed inquinamento e mi auspicavo in una riflessione generale, ma niente: continuo a vedere su facebook foto di carne alla griglia e immagino che la relazione tra carne e malattie non sia stata ben recepita.
Se ti può consolare anche io mi sono ritrovata con la coop (per me IL MALE) come unico punto spesa del paesino dove abito. Per fortuna che avevo scorte di legumi secchi in casa, un sacco grande di farina e le mie amate spezie con le quali ho coperto ben bene il sapore di cartone e plastica che ricopre tutto quello che è in vendita al supermercato.
la mia famiglia è composta solo da quattro persone e noi siamo stati bene, anche i miei amici non hanno avuto niente. Sono molto grata per questo, perchè la salute è la cosa più importante.
Ho usato questo periodo per fare un po’ di pulizia, non con il metodo kondomari (o come caspita si chiama!!), non ho messo in fila le magliette ma le mie idee ed i miei pensieri ed in generale mi sento migliorata. Quello che mi rende più orgogliosa è che da settembre comincerò la scuola per diventare maestra di yoga e non vedo l’ora. Ci pensavo da anni ma non avevo il coraggio di propormi perchè mi consideravo troppo avanti con l’età … ma poi ho pensato che per ogni maestra di yoga ci sono “allievi” adatti e niente, lo voglio fare e lo farò!
Per ultimo: a me questa quarantena è anche servita per pulire i miei profili social: francamente non riuscivo a credere di aver dato l’amicizia a così tanti def*****enti!!!!!!!
Cristina (quella dell’ombrello nel termosifone – a proposito di def***enti!).
Io ti sarò grata sempre per l’ombrello e il termosifone… ho riso di gusto e continuo a ridere ancora quando ci ripenso! Quindi ancora grazie!
Sono felice della tua decisione di intraprendere la scuola per maestri di yoga, è una bellissima risposta a tutto il tuo essere, chiude un cerchio e ci include tutto quello che ami. Meglio di così… e poi io per l’età cito sempre Vanda Scaravelli che fino a 47 anni non aveva mai praticato yoga! Tra l’altro, visto l’andamento demografico in Italia, ci sarà più bisogno di insegnanti yoga per gli over 40!
Un grandissimo abbraccio!
Ci sei molto mancata in questo periodo così pieno di discorsi assurdi e persone stupide. Sono molto d’accordo con quello che scrivi, dunque un sconsolata….grazie della ricetta della ribollita, che pur essendo toscana, avevo in una versione un po’ confusa.
Cara Claudia, credo che ogni famiglia toscana abbia la sua ricetta della ribollita… una diversità meravigliosa! Questa è della nonna aretina di un’amica. Un’altra amica senese, vedendola mi ha subito detto “un c’è dentro nulla!”, perché loro ci mettono più verdure e anche pomodori e passata. Credo però che sia un aggiornamento recente visto che i pomodori in inverno li abbiamo solo da una cinquantina di anni.
In ogni caso… felicemente ritrovate e felicemente ribollite! Un abbraccio!
Cara Grazia, mi conosci e sai che non nutro nessuna fiducia nel genere umano.
Quello che abbiamo letto e sentito in questi mesi, mentre c’era gente che lottava tra la vita e la morte, rappresenta per me la prova del nove.
Mi sarebbe piaciuto vedere tutti questi personaggi alle prese con la malattia, ricoverati in isolamento in un reparto Covid.
Ho letto e sentito gli improperi di tanti piccoli imprenditori del tempo libero che hanno sbraitato per l’ingiustizia di chiusura e misure restrittive.
Ma cari signori, con tutto il rispetto per i vostri bar, ristoranti, sale cinema e palestre, cosa volete che ce ne importi dei passatempi che offrite, di fronte alla prospettiva che un sorso di birra bevuto in compagnia avrebbe potuto far ammalare i miei cari?
E’ la visione da un’altra prospettiva, quella che ci manca. Oltre a una buona dose di coscienza civica.
Il telelavoro… Noi fortunati che svolgiamo un lavoro nell’IT, abbiamo potuto gioire del fatto che il lavoro per noi è continuato nonostante tutto.
Tralasciando il fatto che non eravamo attrezzati e io ho dovuto fornire personalmente, oltre a energia elettrica, gas acqua e rete, anche pc monitor mouse e telefono,
in molti hanno perso il senso della misura lavorando h24 e a volte esigendo che ci trasformassimo tutti in robot a disposizione infinita dell’azienda o del cliente.
Se mai decollerà il telelavoro, dovrà essere pesantemente normato per evitare un ulteriore vantaggio a favore dei committenti e a carico di chi svolge il lavoro.
Per il resto, l’autoproduzione durante il lockdown ha escluso in casa nostra prodotti a base di farine e lievito (abbiamo fatto la pizza solo una volta dal 9 marzo), piuttosto ho ricominciato
a preparare i germogli, e tante altre cose che per mancanza di tempo avevo lasciato andare. Per l’orto sul balcone, dovrò arrendermi all’evidenza che un’esposizione a Ovest non fa per gli ortaggi. Però mi sta crescendo una bella pianta di zenzero, incrociamo le dita.
Grazie per la ricetta della ribollita, proverò a farla appena trovo uno spacciatore di pane toscano. Alle brutte, stavolta mi metto a impastare 🙂
Cara Barbara, mi sa davvero che ti tocca impastare, ormai il pane toscano integrale, quello antico, è difficile da trovare anche in Toscana!!! Per il balcone esposto a ovest, invece, secondo me potrebbero venire bene tutte le radici (ravanelli, carote, patate ecc) e le insalatine da taglio a ciclo breve tipo lattughino, cicorini, misticanze varie, rucola ecc. Quelle che invece con troppo sole seccano subito. Lascerei perdere le solanacee che hanno bisogno un’esposizione di molte ore di sole.
Per il telelavoro… ho visto cose! Da statali dotati di portatili dell’anteguerra, a statali che accedono da casa ai dati sensibili degli utenti partecipandone l’intera famiglia, a dipendenti di aziende private che godevano di un sanissimo e sacrosanto distacco dai servizi di rete nelle poche ore a casa che hanno dovuto attivare a loro spese contratti per internet e telefonia che gli permettessero di lavorare da casa. Sicuramente questa parte per le aziende è stato un bel guadagno.
Buona ribollita, se la fai fammi sapere! Un abbraccio!
lavarsi le mani ed avere certe accortezze è un’esagerazione, eheheh…. (io personalmente manco ci entro nei bagni pubblici, piuttosto esplodo).
e quelli che ti guardano male se chiedi di togliersi le scarpe prima di entrare in casa tua?
Questi ultimi li ignoro. Casa mia, mie regole. Con l’educazione fondamentale di avvisare prima dell’arrivo: noi non utilizziamo le scarpe in casa, quindi te le farò togliere all’ingresso e se vuoi ho delle stupende ciabattine pulite e sanificate che tengo apposta per gli ospiti e lavo a ogni utilizzo. A volte, raramente, mi dimentico di avvisare dei nuovi conoscenti e allora evito di chiedere di togliere le scarpe… mi piego a ripulire tutto quando vanno via. Sogno una casa con ingresso giapponese in cui tutti si tolgono le scarpe senza chiederglielo!
Un abbraccione!
Grazia, lo sto amando il tuo libro. Mi sta dando una spinta che avevo bisogno, non riesco a staccarmi! La mia compagna ieri sera mi ha detto che era dai tempi di Harry Potter che non mi vedeva così incollata a un libro, Torno a leggere ma tornerò a scriverti, sono al capitolo 5 e questa settimana di ferie non poteva andare meglio, mi spiace solo che a questa velocità lo finirò entro domani! Dimmi che ne stai scrivendo un altro!!!