Il post precedente, Essere felici fa paura, ha scatenato un bello scambio di idee nei commenti. Ha fatto emergere qualche paura che, condivisa tra amici, è stata anche un po’ esorcizzata. Uno dei discorsi che vi è interessato maggiormente è stato quello sulla possibilità di reinventarsi nel lavoro dopo una certa età, forse è anche quella che fa più paura. A me sembra sempre una paura buffa perché ormai ho capito che, se a vent’anni i trentenni mi sembravano vecchi, oggi mi sembrano giovanissimi e pieni di possibilità future. Quindi è solo questione di punti di vista. Come ripeto sempre, non c’è un’età giusta per fare qualcosa. C’è semmai la testa giusta e la passione per quella cosa, solo questi sono gli aspetti fondamentali per la riuscita: passione e talento per quello che si vuole fare. Se manca la passione si procrastina, se manca il talento … non so, magari vanno indagati meglio i motivi per cui si vuole fare una professione che non rispecchia il proprio talento. Riconoscimento sociale? Denaro? Potere? Ci vuole un po’ di auto-analisi, è importante. Perché poi, davvero, quando si scopre il proprio talento e gli si dà ampio spazio, la vita diventa meravigliosa.
Da dove partire per capire il proprio talento e cambiare vita nonostante l’età non giovanissima? Ho pensato di condividere con voi alcune storie d’ispirazione, quelle che mi ispirano di più. Negli anni, alcune di queste storie mi hanno anche aiutata a far capire le possibilità di cambiamento alle persone che seguivano il corso Cambio vita, ma erano titubanti davanti a un ipotetico freno sociale dettato dal non sentirsi abbastanza preparati per intraprendere un nuovo percorso o il non avere più vent’anni.
Personalmente, a vent’anni avevo molte meno possibilità di oggi. Avevo una mentalità più chiusa ed ero ancora succube di una famiglia manipolatrice e disfunzionale, tanto che la maggioranza dei miei pensieri e dei miei progetti erano focalizzati sul come fare ad andarmene il prima possibile senza rinunciare all’università. Non ero certo focalizzata su come utilizzare al meglio i miei talenti, anzi, un paio dei miei talenti erano disturbanti perché mi fornivano invece distrazioni continue dal progetto principale di crearmi una vita indipendente.
Me ne sono andata dalla casa dei miei genitori a 22 anni, a volte un po’ di incoscienza è vitale – ma è forse l’unica cosa che ha in più l’essere giovani. A volte bisogna solo fare un bagaglio piccolo e uscire dalla porta, quel che verrà poi si vedrà. Per me, ancora oggi, la via migliore per fare qualcosa resta quella di cominciare a farlo: non perdere quel po’ di incoscienza è un lavoro impegnativo. “Ci vuole tempo, ci vuol costanza, per invecchiare senza maturità” (Guccini)
Oggi, rispetto alla me di vent’anni, ho più esperienza e una mente più evoluta: due lussi che permettono di superare meglio gli ostacoli. Ho anche un piccolo universo mentale di personaggi e storie d’ispirazione a cui guardo quando voglio motivarmi. Condivido con voi otto di questi, otto persone che hanno svoltato senza considerare come problemi l’età, lo stato sociale, la posizione economica e quel che avrebbero potuto pensare gli altri. Storie d’ispirazione, appunto.
Se volete seguire il consiglio, costruitevi un vostro piccolo pantheon mentale di persone che vi ispirano e ogni tanto guardatelo per trarne coraggio. Magari potete cominciare da qualcuno di questi che vi propongo e, anzi, mi farebbe molto piacere sapere quali sono i vostri personaggi ispiratori in tema di: cambiamento senza limiti di età, disponibilità economica e formazione.
Vanda Scaravelli
Vanda Scaravelli, nata nel 1908, era inizialmente una signorina della buona società fiorentina, figlia di intellettuali, destinata solo a essere una brava moglie e madre, come molte donne del suo tempo e della sua estrazione. Studiò pianoforte al Conservatorio Cherubini di Firenze: ma lì si fermano i suoi studi di musica ed i suoi studi in generale, anche se rimarrà sempre acceso l’interesse per la musica e le arti. Vanda non usò i suoi studi per diventare una pianista, come avrebbe fatto un suo analogo maschile, ma divenne una semplice signorina di buona famiglia in attesa di marito. Nel 1940 si innamorò e sposò Luigi Scaravelli, il grande amore della sua vita. Nonostante la sua casa matrimoniale fosse un crocevia di intellettuali e artisti del livello di Arturo Toscanini e J. Krishnamurti, nonostante il marito stesso fosse professore di filosofia, prima a Pisa e poi a Roma, Vanda partecipò come una comparsa a quel fervore intellettuale, senza apportare contributi personali. Moglie, madre, finché a soli 47 anni restò vedova, in un’epoca in cui 47 anni si era già nella terza età. La vita per una moglie e madre, a 47 anni, era finita, avrebbe potuto giusto ambire a buoni libri, bei concerti e accudire eventuali nipotini.
Vanda invece, anche per uscire da questo dolore, inizia a studiare yoga con Tirumalai Krishnamacharya, considerato il padre dello yoga moderno, oltre che con alcune delle figure più carismatiche dello yoga del secolo scorso: B.K.S. Iyengar e Desikachar che erano i maestri di yoga scelti per sé dallo stesso Krishnamurti.
Ancora oggi, cominciare a praticare yoga a 47 anni è considerato impossibile e dannoso da quegli insegnanti di yoga che sono solo maestrini di aerobica reinventati yogi: rispondono che è impossibile. Vanda non solo studia lo yoga con i migliori insegnanti del tempo ma raggiunge una flessuosità rarissima, elaborando un nuovo metodo che oggi viene insegnato in tutto il mondo con il nome Awakening the Spine oppure Inspired Yoga. Il suo metodo prende l’eredità dei suoi maestri ma mette da parte l’enfasi sulla precisione dell’esecuzione delle asana e sul respiro, basandosi maggiormente sull’ascolto individuale del proprio corpo e sulla mobilità della colonna vertebrale per rendere il movimento più flessibile.
Solo a 60 anni comincia a insegnare yoga, dopo 13 anni di studi.
A 91 anni, quando ha insegnato questo nuovo tipo di approccio in tutto il mondo, pochi anni prima di lasciare il suo corpo flessuoso e perfettamente bilanciato, scrive il suo unico libro. Un libro che testimonia la sua vita, il suo metodo, il suo percorso nello yoga. Un testo davvero intenso, che parla ancora oggi di bellezza, ispirazione e dedizione a ciò che amiamo nel profondo. Parla dell’imparare ad ascoltarsi. Awakening the Spine, tradotto in Italia con Tra terra e cielo. Risvegliare la colonna vertebrale con la pratica yoga, è un bel libro da leggere, non è solo un manuale di yoga ed è consigliato sia a chi ne voglia avere una visione diversa che a chi voglia cominciare. Non è possibile resistere, si viene immediatamente coinvolti.
Oggi alcuni tra i migliori insegnanti di yoga nel mondo si vantano di essere stati allievi di Vanda Scaravelli e l’eredità che ha lasciato Vanda alla pratica yoga è grandissima. Cominciando a 47 anni da zero.
Stan Lee
Impossibile non amare Stan Lee, Smilin Man. Nasce nel 1922 ed è colui che ha dato l’impronta creativa che ha trasformato la Marvel Comics da piccola casa editrice a colosso mondiale. Stan Lee è il papà di Spiderman, dei Fantastici 4 e …siamo così abituati a sapere questo di Stan Lee e a vederlo nei cameo dei film che molti ignorano che in realtà stavamo per perderci tutto e dovremmo anche fare un monumento alla moglie di Stan Lee, Joan Boocock. In effetti nelle mie storie d’ispirazione c’è anche lei, Joan Boocock, la musa di Smilin Man.
Stan Lee è sempre stato un grande lettore e sperava di fare lo scrittore prima di approdare, a soli 17 anni, alla Timely Comics (l’antesignana della Marvel Comics). Ci lavorò inizialmente riempiendo calamai di inchiostro per i disegnatori o cancellando le righe a matita dalle tavole inchiostrate. Ma pian piano, cominciò a scrivere delle storie per la Timely Comics nello stile dell’epoca e diventò così bravo e richiesto che, quando venne arruolato per la Seconda Guerra Mondiale, l’editore continuò a scrivergli ogni settimana per dargli le indicazioni sulle nuove storie e lui, puntualmente, ogni settimana, inviò in America le nuove avventure dalle basi in cui veniva spostato.
Al ritorno in America dopo la guerra, trovò però una situazione cambiata. Negli anni ’50, lo spauracchio comunista e la politica americana nazionalista imposero la censura anche ai fumetti e la crisi ne fece vendere sempre di meno. Così, alla fine degli anni ’50, alla soglia dei quarant’anni, Stan Lee era profondamente stanco e disgustato dal lavoro: doveva scrivere di tutto, sempre su commissione, dal western al romance, con gli stessi personaggi stantii di sempre e con la censura sempre presente, il tutto per testate che una dopo l’altra chiudevano per disinteresse dei lettori. Non gli piaceva quello che stava facendo e non gli rendeva granché, quindi decise di smettere con i fumetti e andare a fare un lavoro qualsiasi. Proprio in quel momento però Martin Goodman della Marvel Comics gli chiese di creare un nuovo fumetto con un nuovo gruppo di supereroi. Lui non ne voleva sapere, ma la moglie Joan gli disse che, visto che aveva già deciso di lasciare la Marvel, poteva comunque fare un’ultima prova proponendo qualcosa di completamente nuovo, come piaceva a lui, una di quelle storie che voleva scrivere da anni.
Joan gli suggerisce di seguire per una volta solo la sua creatività e non le indicazioni dell’editore, tanto non ha nulla da perdere, giusto? Stan ascolta Joan e a 39 anni, insieme al disegnatore Jack Kirby, crea i Fantastici Quattro, dei supereroi con tratti umani, complicati, non perfetti, con difetti simili alle persone comuni. Sono finalmente nati dei supereroi che possono essere tristi e felici, che si innamorano e si offendono, che a volte sono malinconici e persino ironici e divertenti. Questa diventa una svolta epocale nella storia dei fumetti. Oggi siamo abituati a questi eroi umanizzati, ma quella di Stan Lee fu stata una rivoluzione, quella che poteva fare solo un ottimo scrittore, stanco di un mondo popolato da supereroi perfetti e imperturbabili che riuscivano a fare tutto e salvare tutti.
I Fantastici Quattro piacciono immediatamente, da lì in poi Stan Lee si scatena e crea solo quello che piace a lui. Sarà un successo crescente: seguono Hulk, Thor, Iron Man, gli X-Man, Daredevil, Doctor Strange, Spider-Man (il campione di incassi della Marvel, probabilmente il fumetto più letto di sempre). La Marvel Comics da allora non ha mai smesso di crescere. A un certo punto Stan Lee è stato eletto anche presidente della Marvel, ma dopo poco ha rinunciato al titolo chiedendo di togliergli la responsabilità di quella pila di conti e questioni finanziarie: lui voleva solo fare il creativo e lo scrittore e l’ha fatto fino alla fine, sempre sorridendo. Ciao Smilin Man, grazie per questi bellissimi personaggi.
Julia Child
Julia Child è considerata uno dei più grandi autori di cucina e un’icona della tv americana, tanto da avere persino un Muppet ispirato a lei: il cuoco svedese Olaf che canticchia e parla in uno strampalato francese. Curiosità: nelle prime apparizioni di Olaf nel Muppet Show, la cucina alle sue spalle è identica a quella di Julia Child a Parigi. Oggi la cucina americana di Julia Child, costruita su misura per lei, è esposta al National Museum of American History.
Davanti a tanto successo, sembra allora sorprendente che Julia Child non si sia interessata di cucina fino a 36 anni e abbia pubblicato il suo primo e più famoso libro a 49 anni: Mastering The Art of French Cooking (non esiste in italiano). Ancor più strano sembrerà poi che a 52 anni diventi una star televisiva, grazie all’apprezzamento del pubblico per un piccolo programma, The French Cooker, in cui Julia insegna le basi della cucina francese nel suo modo scanzonato e pieno di battute personali. Lei non è una bellona di Hollywood ma piace alle persone perchè è vera, è simpatica, competente e buca lo schermo: rivoluzionerà la tv e la cucina americana.
Julia Child all’inizio non sognava di fare la chef e nemmeno il personaggio televisivo, anzi, era una persona piuttosto imbarazzata dal proprio aspetto, dalla propria altezza e imponenza che l’aveva fatta addirittura scartare dalla U.S.Army perchè troppo alta. Laureata in letteratura inglese, vistosi negare l’arruolamento e la partecipazione al conflitto mondiale a sostegno del suo Paese, riuscì però a entrare nella Secret Intelligence Division come impiegata e traduttrice. In questo ruolo venne inviata a Ceylon nel 1944 e da lì in Cina, dove incontrò Paul Child, il grande amore che diventò suo marito nel 1946. A quel punto era impossibile la prosecuzione di entrambe le carriere diplomatiche, si sarebbero trovati a vivere sempre separati. Così scelsero la carriera di Paul: fu mandato a Parigi come funzionario della US Information Agency e Julia lo seguì.
A Parigi i Child abitavano in un piccolissimo appartamento, con una piccola cucina (in foto) decisamente non adatta alle dimensioni di Julia. Finita la carriera ed esclusa la possibilità di riuscire ad avere dei bambini (il grande dolore della vita di Julia), si trovò a 36 anni a non sapere cosa fare – a parte essere “la moglie di Paul Child”, un po’ poco per una intellettuale ed ex diplomatica. Una sera a cena in un ristorante gourmet, esternato il proprio smarrimento a Paul, questo le rispose “Scegli quello che ti piace. Cosa ti piace fare?”. “Mangiare!” fu la risposta di Julia.
Iniziò a interessarsi di cucina e finì per farsi ammettere, con non poche difficoltà, alla scuola per chef del prestigioso Cordon Bleu di Parigi. Man mano che studiava, sudava e si disperava in quella piccolissima cucina, la attrezzava con una serie di oggetti che in America non si usavano, che rimandavano a tecniche sconosciute nel suo paese di origine. Decise allora di scrivere un libro divulgativo che facesse arrivare questo tipo di cucina ricercata, basata su materie prime organiche e aromi, al pubblico americano che riteneva “cibi sani” cose come le zuppe in scatola e gli hot dog. Ci mise un bel po’ per trovare qualcuno che lo pubblicasse ma quando finalmente arrivò il momento, fu un successo tradotto in diverse lingue. Julia Child continuò a cucinare tutta la vita, a condividere l’amore per la cucina con il suo modo simpatico e scanzonato, ma sempre seria e pignola quando si trattava di acquisire nuove tecniche. Finì che il marito, rinunciando alla carriera diplomatica, divenne il suo manager e fotografo ufficiale. Dalle foto che abbiamo di Julia Child, traspare tutto l’amore del suo fotografo.
Se volete farvi ispirare, è molto bello il film Julie&Julia (non l’omonimo libro!) con una strepitosa Meryl Streep nel ruolo di Julia Child (film disponibile in italiano). Oppure, secondo me molto bella e vivace, l’autobiografia di Julia Child My Life in France (solo in inglese ma disponibile anche per Kindle).
[Vegan alert: è cucina francese classica, quindi animali cucinati per tutto il film ma senza scene cruente – se non siete estremamente critici e vivete nel mondo, non è così pesante da tollerare in questo film, decisamente meno che vedere quelle porcherie sprecone tipo Masterchef. Io credo tra l’altro che oggi Julia Child sarebbe una grande innovatrice della cucina vegan, la sua curiosità e amore per il cibo salutare l’avrebbe condotta probabilmente a questa scelta]
Andrea Camilleri
Camilleri non ha bisogno di presentazioni, è ormai uno scrittore internazionale molto famoso. Se fossimo in Giappone, verrebbe nominato “Monumento Storico Vivente”. Ma Andrea Camilleri è sopratutto una persona che avrebbe voluto fare lo scrittore per tutta la sua vita e c’è riuscito invece solo a settant’anni. La storia di Camilleri è quella di una grande tenacia e perseveranza, contro un sistema editoriale profondamente malato di cecità. Camilleri infatti riuscì a pubblicare solo a 53 anni il primo libro, Il corso delle cose, scritto dieci anni prima, rifiutato da una quantità imbarazzante di editori e infine pubblicato in proprio, a pagamento. Successo immediato? No, il libro non venne distribuito e rimase ignoto al pubblico.
Camilleri però ci credeva nei suoi libri, così bussò a tutte le porte e finalmente, a 55 anni, riuscì a pubblicare con Garzanti Un filo di fumo, che vinse anche un piccolo premio. Anche questo, però, passò praticamente inosservato, sopratutto perché Garzanti decise di non investire in pubblicità su questo scrittore. A 59 anni, a quanto pare dopo aver sfinito di richieste l’amica Elvira Sellerio, pubblicò il primo libro per l’omonima casa editrice, La strage dimenticata. Un insuccesso, di nuovo, anche questa volta perché l’editore proprio non ci credeva e la pubblicità fu inesistente. Camilleri, a quel punto, smise di scrivere per ben dodici anni. La storia sarebbe finita qui, non ci sarebbero mai stati il commissario Montalbano e alcune opere che, secondo me, sono veri capolavori di romanzo storico, come Il re di Girgenti.
A 67 anni, nel 1992, quando è già in pensione dalla sua attività di regista e sceneggiatore RAI, riprende a scrivere e Sellerio pubblica nel 1994 il primo volume con il Commissario Montalbano, La forma dell’acqua. Questa volta Sellerio ci crede però, la pubblicità è notevole e viene supportata dal passaparola. Sarà un successo che non si fermerà più e farà di Camilleri uno scrittore a tempo pieno dai 70 anni in poi. Credo che resti uno dei migliori esempi di perseveranza nel credere fermamente nel proprio talento e nella propria opera, ignorando questioni marginali come l’età.
Susan Boyle
Susan Boyle è universalmente nota come la vincitrice di un talent show britannico (in realtà arrivò seconda, ma dato il successo molti credono che vinse). Molti pensano che la storia di Susan Boyle stia tutta nell’essere, per i canoni contemporanei, una donna brutta, non adatta allo show business, che però ce l’ha fatta nonostante il suo aspetto. Diciamo che è un’interpretazione molto banale, probabilmente quella alla portata dei semplici. Basti pensare che, nell’era della chirurgia plastica, si può trasformare Chewbecca in una diva, e si capisce immediatamente che c’è dell’altro dietro la scelta di non trasformarsi in una Barbie di silicone. Di sicuro Susan Boyle ha scelto una via non facile. Quante sono le attrici e cantanti che si sono modificate radicalmente per aderire a una forma considerata migliore dal pensiero di massa? La quasi totalità. Uno snaturamento tanto economico quanto pericoloso, ma che può fare chiunque mettendo mano al portafogli.
La storia della Boyle invece è sopratutto il riscatto di una persona con un grandissimo talento, che cercava di farlo emergere senza farsi stravolgere o anche solo cambiare dal sistema.
Susan Boyle soffre della sindrome di Asperger e di un generico ritardo mentale, derivante probabilmente dal parto travagliato durante il quale rischiò l’asfissia. Nacque da genitori anziani, immigrati irlandesi, e con molte difficoltà di apprendimento che le resero la vita difficilissima durante l’infanzia e le lasciarono il ricordi di bullismo e un soprannome cattivo, Susie the Simple, Susie la stupida. Come molti bambini dell’epoca, invece di essere aiutata, venne additata come stupida anche dagli insegnanti.
Però Susan amava cantare e aveva una bella voce. La madre la spinse a prendere lezioni di canto e lei lo fece nei dintorni di casa, in una scuola di teatro e con un vocal coach di paese, quello a cui poteva accedere una ragazza di campagna. Smise poi di lavorare come inserviente nella mensa dell’università per assistere la madre, ormai anziana, cosa che farà per vent’anni. Intanto continua a cantare, per suo piacere: in chiesa, al pub, ai karaoke. Nel 1994, spinta da amici e familiari, partecipa a una trasmissione di Michael Barrymore, il quale però la deride in diretta per il suo aspetto (oggi Michael Barrymore è un povero patetico ubriacone dimenticato da tutti – instant karma).
Susan accusa il colpo, non vuole più esibirsi ma pian piano, nel corso degli anni, su stimolo degli amici e della madre riprova a farsi avanti registrando alcuni demo per case discografiche. Però, dopo l’apprezzamento iniziale, i discografici si scontrano con l’aspetto di “una casalinga scozzese di mezza età in sovrappeso e con i capelli tutti arruffati” come dirà lei stessa. Nonostante i numerosi rifiuti, continua a studiare canto sostenuta dai suoi cari e, anni dopo, sono proprio il suo vocal coach e la madre che la esortano a partecipare a X Factor e Britain’s Got Talent. Ma anche qui, Susan ne andrà dalle selezioni di X Factor senza nemmeno cantare, convinta non a torto che i partecipanti vengano scelti solo in base all’aspetto. Solo alla morte della madre, nel 2007, Susan si decide e trova finalmente il coraggio per partecipare a Britain’s Got Talent nel 2009: ha 49 anni e la sua esibizione provoca più volte una standing ovation, mentre il video del suo pezzo totalizza milioni di visualizzazioni in pochi giorni.
Non vinse il talent show, anzi, fu ricoverata cinque giorni per lo stress emotivo dopo la finale, però uscì da lì con una proposta di contratto dalla Sony. Il resto è storia, quella di una persona che ha creduto nel suo talento, anche in un’età considerata troppo avanzata per avere successo in campo musicale, anche con un aspetto al di fuori dei canoni. La storia di una persona che è rimasta fedele a se stessa, si è migliorata ma non si è omologata. L’esibizione di Susan Boyle è ancora online e continua a totalizzare milioni di apprezzamenti, lei ormai è una cantate professionista conosciuta in tutto il mondo e a 58 anni canta a Broadway.
Pellegrino Artusi
Pellegrino Artusi è considerato il padre della cucina italiana moderna, un gastronomo che ha canonizzato la cucina italiana tradizionale, rivisitandola in chiave salutista, nella sua opera La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene. Ma Artusi per tutta la vita fu un critico letterario e i suoi saggi, sebbene rivalutati oggi, specialmente quello su Foscolo, passarono quasi sempre sotto silenzio. Condusse una vita tutto sommato ordinaria fino al successo de La scienza in cucina, a 71 anni. Oltre agli studi letterari, infatti, la sua passione per la cucina e l’intuizione del “cibo che cura” lo portarono a raccogliere e sperimentare numerose ricette da tutte le regioni italiane, cosa mai fatta prima. Le ricette della nuova Italia unita confluirono nel famoso manuale.
Artusi si rifaceva infatti al nuovo metodo scientifico per cui tutto doveva essere testato e ritestato, comprese le ricette di cucina, un lavoro mastodontico che affrontò come un ricercatore in laboratorio. Ogni ricetta veniva ri-testata più volte, con ingredienti di diversa provenienza e in diverse stagioni. Ne uscì un manuale di ricette infallibili, scritto in uno stile perfetto, una lingua utilizzata meravigliosamente, che insieme all’approccio scientifico lo resero all’inizio …incomprensibile! I libri di ricette infatti li leggevano le donne e i cuochi, due categorie che al tempo raramente avevano un’istruzione sufficiente a capire il metodo scientifico e la lingua di Artusi. Dopo mille rifiuti dagli editori e qualche edizione quasi autoprodotta con scarso successo, improvvisamente nel 1891 il libro raggiunse il successo e Artusi fu riconosciuto per l’innovatore che era; dal 1891 al 1911, anno della sua morte, curò ben quindici edizioni successive de La scienza in cucina.
Attualmente è uno dei libri con più edizioni in Italia, hanno superato il centinaio; è anche l’unico libro di cucina a far parte del canone della letteratura italiana.
Fa sorridere che un critico letterario raffinatissimo come l’Artusi sia conosciuto solo come un cultore della buona tavola. In realtà con La scienza in cucina Artusi ha creato il primo codice letterario di identificazione nazionale e… questo poteva farlo solo un grande letterato! Un impiego particolare di un grande talento.
Grandma Moses
Grandma Moses, nome d’arte di Anna Mary Robertson, è conosciuta come un caso particolarissimo di pittrice da chi ama l’arte, mentre è guardata ancora oggi con snobismo da una parte dei critici d’arte. L’aspetto interessante di questa gentile nonnina nata nel 1860, è che iniziò a dipingere a 67 anni, dopo la perdita dell’amatissimo marito. Non frequentò corsi: Granma Moses è stata un’autodidatta pura che ha dipinto in un suo stile unico, molto vicino a quello naïf. Dipingeva i campi, i lavori agricoli, le stagioni, le case, quello che faceva parte della sua realtà rurale, imprimendo una vena delicatamente nostalgica che cattura ancora oggi.
Solo nel 1938, quando ha 78 anni, un gallerista di New York la scopre per caso, vedendo alcuni quadri in un emporio di campagna: li compra tutti e li porta nella sua galleria, vendendoli in brevissimo tempo. Da lì in poi diventa un caso nazionale e i suoi quadri fanno parte dei migliori salotti. Lei stessa, portata in visita al Museum of Modern Art di New York per vedere esposte alcune delle sue tele, affermerà che quella è la prima volta che entra in un museo!
Si divertiva a dipingere, le piaceva, si immergeva completamente nella pittura, era tutto lì. Talento. Uno dei suoi quadri più famosi, Apple Butter Making, lo dipinse con l’unica intenzione di mostrare il procedimento e una tecnica antica per fare una composta di mele molto concentrata.
Quando morì, a 101 anni, era perfettamente lucida, si divertì a dipingere fino a poco prima e i suo quadri erano ormai venduti nelle case d’aste internazionali.
Robin Chase
Robin Chase ha 59 anni, è una delle imprenditrici più attive e visionarie nel campo della sostenibilità ambientale. C’è di peggio? Una donna, in un’età in cui le agenzie di lavoro la considererebbero pronta per la bara, ancor peggio se scoprissero che ha mille interessi diversi: non è focalizzata, direbbero. Era impiegata al Massachusetts Department of Transportation, l’azienda trasporti locali in pratica. Da sempre in prima fila sulla sostenibilità e l’ecologia, nel 2000, a 40 anni, decide di fondare Zipcar insieme a un socio, con finanziamenti raccolti solo presentando efficacemente il progetto. Nasce uno dei primi carsharing al mondo, idea in cui pochissimi credevano.
A vent’anni di distanza Zipcar è una delle maggiori compagnie americane di carsharing, presente anche in diversi paesi europei. Dopo Zipcar la Chase ha fondato Buzzcar, un servizio di car sharing peer-to-peer ed è ora il CEO della sua terza creatura, Veniam, un sistema di condivisione dati tra auto e altri mezzi di trasporto, costruito per un futuro prossimo di trasmissione dati tra veicoli autonomi. Nonostante questa apparenza da businesswoman, la Chase è rimasta sempre impegnata sul fronte della sostenibilità e della condivisione di informazioni. Il suo impegno e interesse per l’ambiente e per i diritti civili sono sempre presenti, sono stati anche la parte ispiratrice del suo lavoro, una parte fondamentale.
30 Commenti
La parola grazie non é sufficiente! Queste storie mi suonano dentro, in particolare quella di Granma Moses che non conoscevo! Ecco, io adesso mi sento stupida per essermi vista “finita” a 32 anni perché non ho potuto studiare quello che preferivo… e molto motivata a cambiare direzione. Grazia cara, non so se ti devo benedire ma sono appena scesa dal treno, ho chiamato l’ufficio per avvisare che oggi non vado e sto aspettando la metro per andare nel negozio di belle arti in cui non entro da anni… si riparte!
Cara Giulia, sono davvero molto felice per te e condivido il tuo entusiasmo, è percepibile anche a distanza! Sono contenta che questo post ti abbia ispirata a tirare fuori la tua passione… torna a ispirarci con gli aggiornamenti della tua ritrovata attività artistica!
Ho trovato la tua pagina per caso navigando su internet e ne sono rimasta particolarmente attratta per il tuo stile di vita e i tuoi pensieri positivi e allo stesso tempo semplici e diretti.
Sto attraversando un periodo di transizione nella mia vita e mi rispecchio fortemente nel tuo,ho voglio di cose semplici,ma voglio anche reinventarmi e allontanarmi da un lavoro sicuro,ma che non mi rende felice e non mi da soddisfazioni! Comprerò sicuramente il tuo libro! GRAZIE!
Grazie di cuore anche da parte mia perché anch’io molto spesso penso che a 36 anni avrei già dovuto “avercela fatta” e ripartire da zero mi fa paura.
Mi piace molto la storia di Lisa Congdon un’artista statunitense che ha cominciato a dipingere dopo i trent’anni e oggi a 50 vive dalla sua arte.
Grazie per averla ricordata, anche a me piace Lisa Congdon, ha un uso straordinario del colore!
A 36 anni potresti star vivendo una delle tue tante vite, prova a vederla così. Magari la prossima inizia tra poco 🙂 C’è una bella illustrazione della Congdon che dice “You will never arrive, And that’s ok”
Questo post me lo salvo, per rileggerlo ancora. Alcune storie le conoscevo, altre no, ma sono una più preziosa dell’altra, e mentre leggevo avevo la pelle d’oca!
Grazie, oggi ci voleva proprio!
Promuovo bei pensieri per imprenditrici sostenibili, è una mission 😀 Scherzi a parte, questa è una cosa bellissima, grazie a te! Se ti viene in mente qualcuno da suggerire Gloria, sono qui in ascolto!
Grandma Moses e Stan Lee, sempre tra le mie ispirazioni. Ma anche Beatrix Potter…anzi, per me sopratutto. Una che ha fatto sempre un pò quello che voleva, anche se tardi e contro tutti.
Io ho cambiato più volte, ho scelto spesso il piano B per direttissima perchè ho subito diversi lavaggi del cervello da parte della mia ‘famiglia’ (tra virgolette percè per me famiglia è altro). Ma la vita sa cosa è meglio per te, e ho capito che tutte le sfighe che mi sono capitate, ovvero posti di lavoro anche belli ma che fallivano e chiudevano uno dopo l’altro, erano in realtà botte di fortuna immense, La vita mi stava dicendo no, non è questo che vuoi, dunque ti spingo via. Io me l’ero anche dimenticata quello che volevo. L’ho riscoperto per caso, e non i sono più fermata. Ho ricominciato tutto per la terza volta a 46 anni, un anno e mezzo fa, perchè è troppo tardi solo se non lo fai mai.
Beatrix Potter è adorabile, ma rispetto a questa è una storia al contrario: inizia a vendere illustrazioni professionalmente addirittura a 14 anni e lo fa quasi per tutta la vita, quando decide di darsi all’allevamento di pecore… tanto che molti dei suoi ‘colleghi’ delle fattorie vicine non sapevano nemmeno che lei fosse “quella” Beatrix Potter. Non so perché, ma a me ha sempre dato l’idea di una scelta di dolore, quando c’è un’interruzione così netta tra un’attività piena di passione e il suo totale abbandono… non so, è una mia idea. Sicuramente era una donna dai tantissimi interessi!
Che bella la tua storia, grazie di averla condivisa! Adesso però diamolo un link, così chi legge può vedere le tue dolcissime illustrazioni 🙂 https://catcottagedesign.com/ (io amo i tuoi gatti!!!)
Beh, ma grazie!! Ma lo sai che ho appena finito di leggere una sua biografia e ho cambiato idea? La guerra aveva fatto il suo levandole forza lavoro, ma in una lettera spiegava di non avere tempo per disegnare perchè voleva dedicarsi alla sua fattoria. Poi si, aveva perso la vista con l’età e non riusciva a disegnare bene come prima dunque riciclava vecchi disegni mai stampati, ma è comunque una che ha scelto di fare grossi cambiamenti in tarda età, lasciando Londra dopo i quaranta, sposandosi a 47 (pazza).Insomma, per l’epoca era una folle.
Non posso che unirmi ai commenti precedenti: articolo fantastico, storie bellisime e forma avvincente!
Grazie Francesco! Sono grata di poter condividere le storie di queste persone così speciali con chi può comprenderle e farne tesoro.
Grazie, le vite degli altri sono sempre di grande ispirazione, tant’è che proprio in questo periodo così strano, mutevole e spesso doloroso ho iniziato a leggere biografie di persone speciali. Prima o poi avrò anche io la mente abbastanza lucida da scorgere quale sia la mia via
Ne sono sicura Carla! Già l’esserti messa su questa strada è un passo importante per trovare la tua via. Un abbraccio!
Una boccata di aria pura e una marea di spunti di riflessione, grazie!
Da leggere e soprattutto rileggere con calma…
Condivido e me le gusto!
Cara Lia… e ben vengano tutte le attività aperte da persone con tanta esperienza e vitalità, indipendentemente dall’età che alla fine è solo un numero!
La parola “ORMAI” è di per sé sintomo di vecchiaia a qualsiasi età la si pronunci. Questo post mi ha toccato come SOLO TU puoi immaginare: ho pianto. Una commozione profonda, vera e molto antica. Dietro al riscatto che tutti noi desideriamo c’è una gran bisogno di essere “visti”, come fanno i bimbi da piccoli durante i loro giochi in cui chiedono sempre ai genitori: “Papà Mamma mi vedi? Guarda come faccio o Guardami”! In questo momento della mia vita in cui a 51 anni mi sento per la prima volta VISTA. Non importa cosa stia facendo in quanto tutto passa ma l’importante è sapere che siamo riconosciuti dall’altro, se questo poi avviene in merito a ciò che ci piace fare è il massimo.
Grazie anima sorella mia!
Stefania
Sono veramente felice che ti senta felice e appagata con il tuo percorso, finalmente TUO :-* Grazie anche per aver condiviso questo pensiero importante sulla necessità di essere visti e di essere completi in quel che si fa. Più persone ci arrivano, più persone felici ci sono e più migliora il mondo. Un abbraccio grande grande!
Ciao Grazia,
questo post capita proprio al momento giusto.
Dopo il tuo ultimo corso (bellissimo!) finalmente ho mosso un primo passo, sono andata al sindacato, mi sono iscritta a un corso per ottenere i crediti in pedagogia e una volta fatto questo incomincierò a riprendere in mano la matematica. Io voglio insegnare, l’ho sempre voluto ma mai fatto, perchè il lavoro in azienda è più sicuro (no precari) e più pagato.
Ora mi sentivo un po’ sciocca a cominciare tutto a 39 anni, ma questi esempi mi hanno dato la ri-carica che mi serviva.
Sarà un processo lungo, con un lavoro e due figli rimettersi sui libri non è semplicissimo, ma voglio provare. E se dovessi fallire, pazienza, ho provato!
Grazie per tutta l’energia che mi hai tarsmesso
Francesca
Cara Francesca, ne sono felicissima! Evvisa! Un’insegnante con passione è una grande benedizione!
Non fallirai se seguirai bene la mappa e quello che ci siamo detti, ricorda sempre la formula perfetta all’inizio della dispensa e vai avanti dritta, sicuramente ce la farai!
piccola nota sul lavoro di insegnante: insicuro magari sì i primi tempi, ma poco pagato non direi proprio. Io parecchi anni fa prendevo 1800 al mese per lavorare mezza giornata e fare in tutto 4 mesi di vacanza retribuita. Con tutto il rispetto per gli insegnanti, non è poco. Infatti io facevo tranquillamente anche un altro lavoro.
Ah Ah Mi piacerebbe capire in quale scuola si facciano 4 mesi di vacanza retribuita! Anche io sono una di quelle che ha ricominciato più e più volte da zero, fino a scoprire di voler insegnare, quindi ritornare all’università e prendere l’abilitazione (tardi) e cominciare l’ennesima nuova vita a 40 anni!
Però perdonami, scuole dove si facciano 4 mesi retribuiti di vacanze non ne ho mai trovate, si lavora dal 26 agosto al 15 luglio dell’anno dopo sicuri (almeno nella scuola superiore causa esami di maturità, integrativi , riparazione etc) per non parlare dei pomeriggi passati a preparare lezioni e attività extra. Insomma di tutto di più!
Confermo che fare ciò che ti piace è fantastico! Amo il mio lavoro. Se insegni con passione è bellissimo! A volte ci vuole un pochino di coraggio per chiudere un’esperienza esaurita ma ne vale la pena. In bocca al lupo alla futura collega Francesca. (p.s stipendio iniziale per un’insegnante di scuola superiore statale nel 2015: 1400 euro)
Stai considerando solo le ferie estive 🙂 Tra ponti, feste natalizie, pasquali, interruzioni delle lezioni di vario genere (seggi ecc.) si arriva a molto di più. Si tratta a tutti gli effetti di un part time anche se qualche volta correggi i compiti a casa (scelta tua, io lo facevo esclusivamente negli intervalli tra le lezioni, proprio per ottimizzare i tempi) o ti fermi per una riunione. Ma non si tratta di un impegno fisso tutti i giorni, con orari obbligatori e timbratura del cartellino 🙂
Io ho insegnato con passione e dedizione, ma era comunque un part time e facevo anche un altro lavoro, nello specifico ero un ricercatore in università, quindi non proprio una passeggiatina sul lungomare 🙂 L’importante però è sempre farlo con passione, quante siano le ferie e i compiti da correggere… è molto importante che la scuola trovi più insegnanti come voi e sia sempre meno uno stipendificio dove si parcheggiano i fannulloni con laurea. Forza, vi mando un grande abbraccio, avete un compito importantissimo e bellissimo!
Ti ringrazio, è vero per una buona parte di persone purtroppo è un lavoro di ripiego, fortunatamente non per tutti. Vedo attorno a me, alcuni che ci mettono passione. Mi è piaciuto molto il tuo post, perché anche io sono dell’idea che non sia mai tardi per tentare di seguire la propria strada. ?Però, scusa se mi permetto, ho fatto altri lavori prima di questo, da dipendente full time e da la libera professionista, ed è vero che non è il lavoro più duro del mondo e non si timbra il cartellino, tuttavia, non è un part time. Insegno una materia sia teorica che pratica in un liceo, vi sono molte attività e verifiche che vanno preparate, le ore buche non bastano più, abbiamo tante riunioni pomeridiane, per tutti i casi specifici (e ce ne sono sempre di più) i consigli, i collegi, gli open day, gli orientamenti esterni ed interni. Sono ben più di 18 ore alla settimana. Per chi vuole lavorare bene, la formazione è costante (quella veramente utile spesso non retribuita, a pagamento e fuori contesto scuola) le lezioni preparate su misura senza “riciclare” di anno in anno gli spunti etc.
Mi spiace sentire dire che è come un part time perché questo rischia di alimentare il pregiudizio per cui c’è chi pensa che gli insegnanti siano nullafacenti troppo retribuiti. Anche molti ricercatori non mi pare se la passino sempre benissimo. Giustamente ognuno ha la propria visione e opinione.
?A proposito del tuo ultimo libro: potrebbe in futuro essere eventualmente reperibile su macrolibrarsi come gli altri? Oppure non sono etici come speravo? Ricambio l’abbraccio!
M’inserisco forse forzatamente in questo commento. Se do’ fastidio chiedo scusa ma… Mio marito ha fatto esattamente questo. A 49 anni e senza lavoro ha avuto l’opportunità d’insegnare per la prima volta (la preside del liceo era disperata ed ha fatto un grande azzardo con lui che non aveva titolo). All’inizio una bella dose di paura ma poi s’è innamorato di questo “lavoro” ed i sui studenti lo apprezzavano al punto da fare una petizione alla preside per farlo rimanere. La vera strada della sua vita gli si è spalancata davanti, si è iscritto alla specialistica per avere il titolo per insegnare e se tutto va bene a settembre/novembre, alla veneranda età di 51 anni, terminerà questo percorso universitario. Anche noi abbiamo due figli ed io lavoro part time. Non è facile ma si fa!
Forza che d’insegnanti veramente motivati (o vocati se preferisci) c’è davvero davvero bisogno!!!
Semplicemente grazie.
E’ un piacere Giannina, un abbraccio!
Bellissimo post, mi era sfuggito. Grazie di cuore.
Un abbraccio Camilla, sono contenta che questo post ti abbia incontrata.
Ti ho scoperta per caso (!), girellando per il web in una sera come tante, mentre annaspo, a 56 anni, per trovare il bandolo di una matassa che pare non dipanarsi. Bellissime le storie che racconti, ne avevo davvero bisogno. Voler cambiare lavoro è solo la punta dell’iceberg; in realtà, c’è molto, molto di più. Bene, tornerò spesso a cercare ispirazione e incoraggiamento in “Erbaviola”. Chissà che la matassa non cominci a dipanarsi….. Ti auguro il meglio di tutto e ancora grazie!
Cara Cristina, sono davvero felice che questi articoli ti siano utili. Io la vedo così rispetto alla “matassa”: sono esperienze. Non c’è una meta a cui arrivare, ma tanti traguardi. Il resto è strada e le strade difficilmente sono sempre e solo dritte, prima o poi c’è qualche montagna, i tornanti o qualche deserto e la facilità nel perdersi. Si tratta sempre del nostro percorso personale ed è unico, quello che conta è la volontà di evolvere, migliorare e non rassegnarsi a quelle che sembrano situazioni stagnanti o pessime. Buon cambiamento!