Amor fati. Un percorso di cambiamento e felicità

da Grazia Cacciola
anemoni spuntano tra i primi fili d'erba

Amor fati  è un’espressione legata alla filosofia stoica, letteralmente amore del fato, l’amare il fato. [1] Non è la semplice accettazione del destino o fato, il rassegnarsi a ciò che succede, o ancora peggio rassegnarsi a un destino che si suppone disegnato da un’entità superiore. E’ più profondamente l’amare incondizionatamente il proprio fato dopo essersi impegnati in scelte e percorsi personali, cercando la strada verso la verità, la propria personale e unica strada nel mondo. Una ricerca che può portare a momenti di caos, a momenti d’ombra, a periodi in cui tutto sembra essere sbagliato, specialmente se le decisioni passate e quello che abbiamo lasciato sembrano una perdita incolmabile.
Mi sono ritrovata in questa espressione, amor fati, in un momento in cui stavo rimettendo tutto in discussione e l’amor fati mi ha riportata sulla strada in cui pensiero e libertà danno vita al destino, alla nostra vita com’è ora. Un destino che non sempre è immediatamente comprensibile, che a volte sembra anzi l’opposto di quello che cercavamo e che invece è proprio quello che deve essere: perché il destino è l’espressione, la realizzazione dei nostri desideri più profondi, non di quelli che amiamo mostrare.

Mi spiego con un esempio: avete mai notato quante persone vorrebbero fare lo scrittore e fanno fatica a scrivere mezza pagina al giorno, a dedicarcisi più di qualche minuto? Ufficialmente vorrebbero fare gli scrittori, lo raccontano anche a sé stessi. In verità vogliono fare altro ed è ciò in cui si perdono invece di scrivere: il niente, chiacchierare sui social, guardare la tv, pitturare casa. Qualcuno di loro si ritroverà nullafacente, qualcun altro imbianchino, ma tutti avranno indubbiamente compiuto il loro destino, quello che desideravano nel più profondo, con più forza. Accettare il compimento del destino, capirlo, è amor fati. Fare pace con il fatto che ci si è creati le condizioni per fare quello che stiamo facendo e vivere come stiamo vivendo è fondamentale per essere felici.

Per questo serve amor fati, non il fatalismo, ma l’antidoto al fatalismo: sforzarsi il più possibile di agire, di essere coerenti con se stessi, di perseguire i propri ideali e accettarne però infine la realizzazione così com’è, perché, come scriveva Goethe, “nel nomento in cui uno si impegna a fondo, anche la provvidenza allora si muove. Infinite cose accadono per aiutarlo, cose che altrimenti non sarebbero mai avvenute.“[2] Queste cose a volte non sono immediatamente comprensibili. Per me è stato così.

il bosco riprende vita

Alle 9.00 di un giorno lavorativo della scorsa settimana c’era il sole. L’ho visto dalla finestra del mio studio, ero già al lavoro perché in genere mi alzo alle 4.30 e alle 5.30 sono già alla scrivania, ma solo perché a me piace così, nessuno mi obbliga. C’era il sole quella mattina e mancava da un po’ di giorni, così sono uscita per una passeggiata nei boschi qui attorno. Nessun senso di colpa. Lavoro per obiettivi, non a ore: se le mie scadenze lo permettono, posso fare quel che voglio. Se per un po’ di tempo non lo permettono, mi rimetto a ragionare su come sto gestendo il tempo e trovo un sistema diverso.

Nella passeggiata dell’altra mattina, mentre osservavo i piccoli cenni di primavera che spuntano tra le foglie secche del bosco che sembra ancora addormentato, ho pensato che anche la mia avventura è cominciata un po’ così, con dei piccoli gesti che nessuno notava. Proprio come il bosco che in questo febbraio sembra ancora spoglio e silenzioso, ma, guardando da molto vicino, è un turbinio di nuove vite, colori e profumi. Di anemoni che spuntano tra le foglie secche dell’autunno.

anemoni spuntano tra i primi fili d'erba
E’ stato circa quindici anni fa che ho pensato che la mia vita non andasse bene com’era, che non ero felice e una serie di doveri mi stavano impedendo di vivere, di fare della mia vita qualcosa di divertente e felice. Mi sono fermata, ci ho pensato e in un agosto torrido ho lasciato quelle che per gli altri erano sicurezze, status e responsabilità.  Non mi sono mai tirata indietro davanti alle responsabilità, ma non volevo che le responsabilità fossero quelle di fare la factotum della preside di facoltà invece che la ricercatrice, o di interpretare la favola borghese della villetta alle porte di Milano.
La decisione non all’improvviso, ma analizzando le mie sensazioni. Una delle sensazioni più forti e che stranamente sta tornando nell’ultimo anno, era quella di essere sopraffatta dalle cose, dagli oggetti. Per condurre quella vita dovevo avere delle cose, tante cose, come tutti gli altri. Queste cose però mi soffocavano, spesso me le dimenticavo, perché ovviamente non ne avevo bisogno. Avete presente quando sistemate la cucina e salta fuori la granitiera comprata l’anno prima e utilizzata un paio di volte? Ecco, io ero in questa situazione con tutti gli aspetti della mia vita. Non sapevo nemmeno più cosa c’era nei cassetti, quali vestiti avevo – e quanti comprati e mai messi! – ma sapevo benissimo che ero stanca, davvero stanca, di tutto quel correre e lavorare e spendere.

ruscello in secca nel bosco

Ho cominciato a riordinare i cassetti e buttare via quello che non serviva. Un gesto meccanico per lasciar scorrere i pensieri. Un cassetto al giorno, una tappa al giorno. Senza una meta precisa, decidendo man mano cosa andava meglio per me, dove dovevo dirigermi.

Tra tutti i cambiamenti che sono seguiti, per me il nodo più grande è stato rinunciare alla ricerca. Mi occupavo di linguistica informatica e linguistica computazionale, tra i primi in Italia. Ma ho dovuto lasciare la ricerca, perché dopo anni di impegno e riconoscimenti di quello che facevo e valevo, continuavo a scontrarmi quotidianamente con concorsi palesemente truccati, figli-di e parenti-di che bisognava passassero prima, perfette ignoranti assegnatarie di borse di studio. Il set completo di un mediocre articolo sui cervelli in fuga, solo che io non avevo intenzione di fuggire se non simbolicamente.
Non si può davvero comprendere la frustrazione dell’ambiente accademico italiano finché non la si sperimenta, non è descrivibile. Ho lavorato in altri posti considerati terribili, da enti pubblici alla televisione, ma nessuno di questi ambienti è mai riuscito ad arrivare nemmeno lontanamente alla porcheria di raccomandazioni e baronato a cui arriva l’università italiana.

ellebori nel sottobosco
Della ricerca amavo tutto, fino a oggi non ho mai trovato un altro lavoro che amassi così tanto, perché non era lavoro: era la mia vita. Per me entrare ogni mattina nella sezione dei Rare Books della British Library, riservata solo ai ricercatori accreditati, era la cosa più bella del mondo. Interagire, parlare, discutere con chi seguiva i miei stessi studi era appagante in un modo che non ho mai ritrovato negli scambi con i colleghi di oggi, pure interessanti.  Creare nuove funzioni per un software di analisi dei testi era una soddisfazione immensa. Al punto che ero disposta a pagare io il server, perché l’università italiana con il suo moderno laboratorio multimediale non capiva la necessità di acquistare un server indispensabile per le mie ricerche – ma finanziava una raccomandata bellona e mezza nobile per assistere a dei corsi Adobe da tremila euro cadauno, per non capire assolutamente niente di quello che le veniva spiegato.
Ma non importava, stavo facendo grandi cose, mi piacevano, ero felice quando lavoravo sui miei progetti e il tempo era sempre troppo poco, lavorando perdevo completamente la cognizione del tempo.

Di uno dei miei progetti se ne sono accorti all’Università di Tokyo e abbiamo iniziato a collaborare, quasi in sordina. L’università italiana fino a quel momento aveva pensato che fossero stupidaggini irrilevanti rispetto al loro blaterare a vanvera su orrendi romanzetti del settecento inglese. Ma un giorno si sono accorti che per questa mia collaborazione potevano ottenere dei finanziamenti, così tutti i miei contatti e il lavoro già svolto sono stati prelevati in blocco e assegnati alla raccomandata del momento, l’ultima arrivata. Assistita naturalmente dalla Bellona-mezzanobile, amica della preside di facoltà, che non sapeva nemmeno l’inglese, la stessa dei corsi Adobe di cui sopra. La stessa che senza sapere l’inglese (e non dico male, ma proprio per nulla) mi era passata davanti in un concorso con scritto e orale in lingua inglese, un concorso di linguistica informatica. Un genio dell’informatica? No, sapeva a malapena accendere un computer. Fare ricorso? Impossibile, chiunque faccia un ricorso al Tar è automaticamente fuori da tutte le università italiane, nessuno vuole i piantagrane. E’ una delle prime cose che ti spiegano senza troppi giri di parole. Ringrazia per quello che ti viene dato, chiudi gli occhi su tutto il resto.

elleboro selvatico - Helleborus
Un paio di anni dopo, io e Bellona-mezzanobile ci siamo ritrovate a insegnare nello stesso master e ogni volta che in classe affrontavo qualcosa che lei doveva aver già spiegato, mi trovavo invece a doverlo spiegare io da zero. Un giorno ho chiesto spazientita agli studenti se ne stessero approfittando, perché non era davvero possibile che Bellona-mezzanobile non avesse spiegato nemmeno quella nozione semplicissima di base. La loro risposta: “La dottoressa Bellona-mezzanobile legge il capitolo prima di venire in classe… poi ce lo racconta”. Trattandosi di informatica, è un metodo quantomeno creativo, non c’è dubbio. Insegnare un software di animazione senza saperlo usare e leggere il capitolo da spiegare prima di entrare in classe ha superato le mie fantasie e anche quelle degli studenti – che per fortuna erano molto migliori di Bellona-mezzanobile.[3]

Ho iniziato a cedere verso quel punto, a capire che non ce la potevo fare, era proprio il mio cervello che non sopravviveva in ambienti così cretini, annaspava tutto il tempo in cerca d’aria. Inoltre stavano arrivando le nuove leve dei raccomandati, tra cui il figlio di un linguista famoso barone, noto per la velocità nell’appropriarsi di qualsiasi progetto altrui che gli sembrasse quasi finito e in odore di merito.

viola alba (bianca) nel bosco
Prima di decidere di lasciare la ricerca, avevo tentato anche all’estero e vinto il concorso per il PhD alla University College London. Vinto al primo colpo. Quando l’ho comunicato alla preside, dicendo che andavo là, mi ha pregata di restare in Italia. Mi ha pregata di seguire il PhD dall’Italia, dicendomi che si poteva fare, l’aveva già fatto Tizia, che lei con il suo nome importante poteva farmi da tutor, l’università poteva pagarmi viaggi e materiali, qualunque cosa volessi. Così avrei proseguito parallelamente anche con la ricerca qui in Italia, secondo lei era importantissimo quello che stavo facendo con il progetto Tristram Shandy Web. Ridete, ho riso anche io quando ho sentito il nome del progetto, poi ho dovuto fare un’applicazione online, nel 2001, quindici anni fa, che permettesse di processare questo testo in un centinaio di modi diversi. Cose che al tempo si studiavano solo a Londra, Toronto e Tokyo, le uniche tre università che allora si occupavano di linguistica computazionale. Ah e Google, che la linguistica informatica l’ha utilizzata per costruire la ricerca per parole e frasi più famosa del mondo.
Per convincermi a restare nel suo centro di ricerca, la professoressa mi tolse dall’ombra, mi assegnò improvvisamente dei seminari in università, venni omaggiata del rarissimo e onorevole premio di tenere un paio di lezioni al suo posto (l’università è un posto in cui devi ringraziare continuamente per l’onore di lavorare gratis!) e fui portata a un congresso di letterati per esporre le mie ricerche, onore che riservava solo ai professori.

Ma qui ci sarebbe da aprire un capitolo buffo sul fatto che quasi nessuno sentì le mie ricerche innovative… poco prima c’era stata una lite tra una professoressa di Bologna in platea, una ricercatrice che esponeva una tesi piuttosto fantasiosa e la sua mentore che la difendeva, una bagarre finita a parolacce tra le due decane, con epiteti che nemmeno nella curva degli hooligans. Così, quando toccò a me, tre quarti degli spettatori erano a commentare al bar e i pochi in sala erano scossi dall’evento.
Parlai di robotica a un paio di professori incartapecoriti che usavano solo la stilografica.

Comunque, nonostante tutte queste elargizioni di facciata, é inutile dire che dopo sei mesi non si erano ancora visti fondi dall’università per il mio PhD a distanza, i viaggi aerei me li ero pagata io (e non era ancora l’epoca dei low cost) così come dovevo pagarmi i libri, il portatile che al tempo costava 4 milioni di lire, l’alloggio e tutto questo mentre non avevo la borsa di studio a cui invece avrei avuto diritto se mi fossi trasferita a Londra.
Non avevo nemmeno un bidone omaggio di vaselina.

fiori nel sottobosco

Ero sfinita da anni così, non vedevo un futuro ed ero infelice. Ho cercato un lavoro e ho lasciato la ricerca appena l’ho trovato, cosa che si è verificata quasi subito nonostante gli otto – dicasi otto – colloqui a cui mi sottopose DigiCamere, il centro di elaborazione dati delle camere di commercio. Dai progetti innovativi di linguistica computazionale, passavo a fare i siti internet delle camere di commercio… non so come ho fatto a non pensare all’eroina come soluzione definitiva.
Però quel lavoro mi ha liberata dalla ricerca e le persone erano molto migliori dei progetti. E avevo tantissimo tempo libero, finalmente. I miei studi potevo continuarli da sola, non avevo bisogno di avere attorno l’apparato dell’università. L’anno dopo ho partecipato con dei ricercatori (oggi professori) alla stesura di un libro sull’editoria multimediale, un libro che si usa ancora oggi nei corsi universitari – anche se il perché mi sfugge, io lo trovo ormai vecchissimo. Mi sono auto-dimostrata che dell’università non avevo bisogno, che la ricerca si può fare anche in altri modi.

Da allora ho fatto lavori bellissimi, pieni di creatività e di stimoli a imparare sempre di più. Ho cambiato completamente stile di vita. Ho ridotto le mie esigenze di oggetti a un minimalismo essenziale (quasi). Incontro tante persone interessanti. Raramente incontro dei raccomandati e ho il piacere di poterli scansare, così come i cafoni e gli arroganti. Oggi posso dire di no alle Bellone-mezzenobili e liquidarle con un invito a smaterializzarsi dalla mia vita.
Sono lontana dai raccomandati perché faccio un lavoro che richiede competenze alte, aggiornamento continuo e non lascia spazio per gli incapaci raccomandati (tranne  quando devo interagire con le signorine degli uffici marketing e stampa, lì è la fiera dell’amante parcheggiata).

un temporaneo laghetto

Oggi non incontro più Bellona-mezzanobile che non sa l’inglese e fa il dottorato in letterature straniere comparate. Non incontro più la preside che mi dice di non iscrivermi al concorso per il dottorato quest’anno, perché deve passare Tizio e Caio. “L’anno prossimo lo fai tu“: hanno raccomandati di una levatura tale che l’unica soluzione per farli passare è non far iscrivere gli altri!
Non incontro, in generale, quei tromboni incollati alle loro sedie che hanno fatto dell’università italiana il posto più squallido e stupido di sempre. Perché tra l’altro, a forza di mandare avanti gli inetti raccomandati, vi lascio immaginare quale sia ora la qualità dell’insegnamento universitario. Credo che in parecchie università “analfabetismo di ritorno” potrebbero usarlo come motto.

Non mi è mai mancato il senso dell’umorismo, anche nei periodi più bui. Una cosa che ho fatto prima di lasciare l’università, è stato cancellare dal mio server il progetto a cui la preside teneva tanto. Se volete farvi una risata avevo utilizzato il server di erbaviola.com e al tempo erbaviola.com parlava solo di – uhm – piante innovative. Soprattutto di angiosperme della famiglia delle Cannabaceae. Quindi sul server c’era erbaviola.com che trattava della liberalizzazione dei cannabinoidi e un database di un progetto universitario che veniva proposto ai vari enti e ministeri, in Italia e all’estero, per ottenere fondi.
Non mi sono mai preoccupata della cosa, tanto negli enti e ministeri ci sono gli emuli di Bellona-mezzanobile. Prima che loro riescano a capire cosa c’è sullo stesso server, io ho traslocato su Marte. E infatti sono ancora qui. Comunque, andandomene, ho tolto questo peso dal server. Il server era mio, il lavoro mai accreditato e mai pagato, legalmente potevo farlo. Così ho tagliato il cordone ombelicale che lo legava al loro sitarello strapagato ma disfunzionale. Lo ammetto, in conseguenza a questo ho avuto attimi di puro godimento nei due anni successivi.
Il primo quando hanno ripristinato dei link al vecchio database e per mesi il loro progetto ha linkato la liberalizzazione della canapa con varie gradazioni di THC. [4]  Poi quando mi hanno chiamata diverse volte chiedendomi di ripristinare il lavoro, “anche pagando”. Mi hanno fatta chiamare persino dalla Bellona-mezzanobile, la quale era convinta che il suo charme mi ammaliasse. Potevo sottrarmi alla malìa di essere amica di una mezza nobile decaduta? Sto ancora ridendo.
Alla fine non hanno mai trovato nessuno che gli rifacesse il sistema di analisi computazionale online che avevo fatto io e il progetto è morto dopo essersi arenato sull’uso di un database di terzi. Anni dopo è morto anche quel centro di ricerca, esattamente come quando in agricoltura si seminano i semi peggiori: nel giro di un paio di raccolti il prodotto diventa pessimo, le piante muoiono.
Di me e di quegli anni di studio e ricerca è rimasto solo qualche credit, qualche articolo di linguistica computazionale che vedranno solo gli addetti ai lavori e la prima tesi italiana in questa materia, pubblicata su Confronto letterario. Anni di lavoro per pezzi di carta inutili.

primule e foglie di quercia nel bosco

Ho pianto sulla perdita della ricerca. Ma oggi vivo in modo felice e semplice, abbastanza ecologico (impossibile esserlo del tutto), con un lavoro complicato e studi complicati. Mi piacciono entrambi, anche se devo ancora trovare il modo di far pace con il fatto che non ci saranno più giornate di studio alla British Library e che probabilmente ora non potrei nemmeno entrarci. Amor fati. E’ qui che va esercitato, è qui che capisco che è venuto il momento di amare il fato, di rendermi conto che c’era un altro desiderio, molto più profondo, che ha guidato tutte le mie scelte. Che la perdita è molto piccola se fa parte della realizzazione di una vita felice.

In questi anni alcune scelte mi hanno permesso di ampliare i miei orizzonti più di altre e sono scelte che non avrei potuto fare restando dov’ero.
Fare dei viaggi veri di un paio di mesi, zaino in spalla, invece che vacanze di due settimane sulla sdraio. La ricchezza di quei viaggi è una delle più belle della mia vita e la porto sempre con me. E’ stata una crescita e sono tornata con ricchezze indelebili.
Posso viaggiare quando voglio e non solo in agosto, quando invece mi godo queste belle montagne. Posso decidere di girare per il bosco una mattina alle 9, solo perché c’è il sole.
Abito in un posto splendido, scelto oculatamente insieme al mio compagno. Abbiamo la consapevolezza di poter vivere dove ci pare, se cambiassimo idea.
Ho affittato una casa a due piani con giadino, orto e annessi che ci costa un po’ meno del trilocale di tredici anni fa a Cesano Maderno e un decimo del mutuo di dieci anni fa per villa e ufficio a Garlasco. Ed è molto più ‘casa’ di tutte le precedenti, è la nostra liberazione.
Ho dei vicini di casa meravigliosi invece di quelli isterici che avevo in città, perché davvero, vivere in un contesto sociale di belle persone è fondamentale, cambia completamente l’umore e la voglia di vivere.
Produco gran parte di quello di cui ho bisogno: con un lavoro di ore al computer, è fondamentale avere qualcosa di pratico da fare, che sia l’orto o una torta o un maglione. O una passeggiata nel bosco alle nove del mattino solo perché fuori c’è il sole, intanto si raccoglie qualche primula per l’insalata.
Studiare quello che mi interessa, seguendo solo il filo logico, profondamente logico ed evolutivo della mia crescita. Studio nel tempo libero, perché senza trasferte all’estero e senza pendolarismo ho avuto molto più tempo libero, ho avuto voglia di interessarmi di agricoltura naturale, permacultura, agricivismo, botanica, scienze naturopatiche e persino, ultimamente, di medicina tradizionale cinese.

Non c’è più nessuno che mi obbliga a studiare dei melensi romanzetti del settecento inglese, già spremuti da trecento anni di critica letteraria precedente. E ho anche la libertà di dire che fanno veramente ribrezzo e lo facevano già al loro tempo. Sulle edizioni italiane non lo vedrete mai, ma io ho visto le prime edizioni alla British Library: Pamela ha in fondo tre pagine di pubblicità sul dentifricio sbiancadenti per signorine e i bustini stringipancia. Erano gli Harmony del tempo e noi li dobbiamo studiare nei corsi di letteratura di vecchie madame che non sanno nemmeno chi sia Michel Houellebecq o Donna Tartt.

Dopo un po’ che studiavo quel che mi piaceva, seguendo solo il filo dei miei ragionamenti, dopo qualche anno, ho pubblicato dei libri sugli argomenti che mi stavano interessando e gran parte del motivo per cui sono piaciuti è che sono frutto di ricerche serie. Lo stesso metodo di indagine, verifica delle fonti, archiviazione di dati su dati che usavo da ricercatrice, lo utilizzo ora per fare dei manuali o scrivere degli articoli.
La ricerca me la sono portata dietro, ma declinata a quello che mi interessa, che sia lavoro o altri studi. Forse questi libri servono di più, anche se non sono letteratura e probabilmente non varrebbero nulla in un concorso. Ma so che sono serviti a tante persone, cosa che non posso dire dei lavori fatti prima.

ai piedi della grande quercia
Come dicevo, nei primi anni dopo la ricerca ho fatto dei lavori come dipendente, in aziende informatiche e di telecomunicazioni. Non sarei riuscita a mettermi subito in proprio, sia mentalmente che economicamente. Però ogni mattina mi alzavo tre ore prima di uscire, leggevo, studiavo e facevo yoga. Coltivavo un orto sul balcone quando non si sapeva ancora che si chiamassero così. Bisogna iniziare con quello che si ha, io ho iniziato così, con quello che avevo: qualche ora rubata al sonno e un balconcino striminzito in un palazzone brianzolo. Tre ore prima di affrontare il pendolarismo e un lavoro estenuante in un ambiente disfunzionale, stavo vivendo e il lavoro non mi ha risucchiata. Dopo un po’ sono riuscita a smettere anche con questo tipo di vita: non ho più un lavoro dal lunedì al venerdì, dalle 9 alle non-si-sa (è un orario tipico dell’informatica) e non ho più un superiore ma dei collaboratori.
Questa è stata forse la scelta più criticata: in Italia, lasciare una carriera ben pagata è tabù.  Nel frattempo ho visto molti miei amici logorarsi per anni in lavori che amavano ma pieni di conflitti, di arrabbiature, di obblighi nello stare in quei posti la maggior parte della loro vita. Dall’entusiasmo dei primi anni, dall’orgoglio di chi ce l’ha fatta ed è ancora giovane, li ho visti perdere la voglia di fare qualsiasi cosa a parte crollare la sera sul divano e consultare i social appena c’è la terribile possibilità di restare soli con se stessi. Tutto questo lavoro e stanchezza in cambio di un mese di ferie l’anno e di entrate che vanno tutte in beni per la maggior parte non necessari. Spesso beni che servono solo a esistere in un contesto sociale: una bella casa, la zona importante, l’auto, la scuola dei figli, la palestra… una corsa continua a lavorare di più e comprare di più. Ma sono io quella irresponsabile verso se stessa e il suo futuro.

violette nel bosco - viola odorosa

Schiavi del capitalismo peggiore, quello che ti illude di essere libero e di avere un valore in base ai tuoi possedimenti, ogni giorno si alzano per recarsi nei luoghi di lavoro. Io  anni fa ho capito di non voler fare quella vita per quarant’anni o più: sì, quarant’anni o più perché l’età pensionabile aumenta di continuo, una media di due anni all’anno. Immagino che quando sarà il mio turno sarò troppo stanca e consumata per fare tutto quello che ho in mente. Così lo sto facendo ora.
Oggi amo il mio fato, ora ho compreso pienamente che la perdita più grande mi ha portata a una vita nettamente migliore e a portare positività anche in altre vite.
E mi aspetto un futuro di amor fati, di continuare a costruire e progredire e accettare quello che ne viene, senza addolorarsi per non essere altro o essere altrove, in una comprensione più alta del fatto che ciò che creiamo con impegno, ciò che abbiamo, è quello che volevamo.
Come insegna il maestro zen vietnamita Thich Nhat Hanh “Abbi piena coscienza che tutto ciò che è accaduto e tutto ciò che accadrà si trova in ogni tuo passo, che sempre crescano fiori e frutti nei luoghi che i tuoi piedi hanno toccato.” [5]

——-

[1] Vorrei qui cogliere l’occasione per l’ennesima dimostrazione dell’inettitudine della gestione italiana di Wikipedia. Vi invito a leggere l’estremamente idiota definizione di amor fati.
[2] Johann Wolfgang von Goethe, Le affinità elettive, traduzione di Henry Furst, Rusconi, 1967
[3] La stilistica e qualche arte retorica satirica richiederebbero qui che io smettessi di chiamarla Bellona-mezzanobile e la chiamassi solo Bellona. Ma data l’ossessione di Bellona per la sua mezza nobiltà, ossessione che esercitava strenuamente sventolando il mignolo inanellato con lo stemma di sì decaduta famiglia, nonché il numero di volte che negli anni le è incidentalmente caduto dai libri lo stesso invito a un matrimonio pseudo-nobiliare su un’isola veneziana, invito su cui distrattamente scriveva appunti (per du anni!) ove sottolineare la sua nonchalance verso la frequentazione di tali casati e fartelo sapere, non vorrei insomma far torto a cotanto impegno chiamandola solo Bellona. Resterà, per merito e impegno, la Bellona-mezzanobile.
[4] E non esisteva ancora il SEO black hat, mi auto-nomino pioniera!
[5] Thich Nhat Hanh, La felicità della piena consapevolezza, Lindau, 2014

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49 Commenti

Debora Febbraio 16, 2016 - 11:49 pm

Grazie per questo post serale. Rientro dal lavoro dopo una giornata in cui, per l’ennesima volta, mi sono domandata se quello che sto facendo è quello che vorrei fare. Apro FaceBook e trovo questo tuo scritto. Un caso? Non credo. Sono diventata vegetariana dopo aver letto un tuo articolo. L’idea sonnecchiava in me già da tempo, ma il tuo articolo mi ha dato la spinta decisiva. Ora leggo questo post e mi viene da sorridere. Mi riconosco in parecchie ‘disavventure’, non da ultimo l’aver abitato a Cesano Maderno e aver lavorato in una università italiana (ma ero co.co.co e non mi occupavo di ricerca). Questa lettura è una sorta di calcio nel fondoschiena… il movimento è lanciato, vedremo dove porta.

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Delfina Febbraio 17, 2016 - 12:47 am

Ti posso capire e credo che molti della nostra generazione possano farlo. Anch’io ho assaporato i dolori che il clientelismo italiano infligge ai giovani di “belle speranze”. Ed ora che non sono più giovane, e non ho più “le speranze”, mi è rimasto il diritto/dovere di essere felice alla faccia di quel delirio sociale che ho fronteggiato per anni. Resta l’amarezza di aver investito tanto cuore e tante energie, di aver dovuto scegliere di buttare un pezzo di vita “alle ortiche”…pazienza, nella nostra nuova vita di raccoglitrici, proprio in mezzo ad un ciuffo di erbe spontanee vere (non virgolettate) abbiamo ritrovato ben più di quel pezzo buttato via.

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Erbaviola Febbraio 17, 2016 - 1:02 pm

Delfina, tutto il cuore e le energie che hai investito restano lo stesso con te, sono un tuo patrimonio che non resta attaccato al lavoro, fa parte delle tue competenze e della tua crescita. Quindi dopo tanti anni hai un patrimonio enorme, che ti seguirà sempre, che è presente anche quando scegli quale erba spontanea raccogliere, alle spalle di una massa di persone che non riconosce un’ortica da un’achillea e si deve affannare a lavorare per altri, per poi spendere in lattughe del banco frigo 🙂 Abbiamo cambiato direzione, ma il patrimonio è sempre nostro.

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Erbaviola Febbraio 17, 2016 - 12:56 pm

Debora, il cambiamento era già in te, doveva solo arrivare il momento di riconoscerlo. Ti auguro un lungo cammino felice, soprattutto lontano dai co.co.co. o quel che sono diventati ora. Pensavo proprio l’altro giorno che non mi stupirei di sentire che ora ai ricercatori italiani danno i voucher…

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Martina Febbraio 17, 2016 - 8:23 am

Un post serale che per me diventa boccata d’ossigeno di primissima mattina ( perché spesso la sera mi diletto nel lavoro di cameriera, visto che quelli durante il giorno non sono abbastanza per campare).
Sono dietro i tuoi passi e i tuoi pensieri, da un po’ di anni, specialmente questi ultimi due. Sto tentando in tutti i modi di non sprofondare, cercare la via per la serenità ( essere felice forse è davvero un obbiettivo troppo alto). Tutto ciò che chiedo nella mia vita … frugalità e serenità.
Per ora la strada è ancora lunga, ma passo dopo passo, sono convinta di potercela fare.
Grazie di aver condiviso tutte queste emozioni ( molte vissute e sentite come un marchio di fuoco sulla mia pelle … la famiglia di Bellona mezza nobile deve aver figliato come non mai!!!) e speranze.
Tra un passo e un fiore, buona giornata.

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Erbaviola Febbraio 17, 2016 - 1:28 pm

Martina, se ti può consolare io parte del periodo di ricerca l’ho fatto mantenendomi con altri lavori, tra cui anche un call center, perché ovviamente se hai solo ritagli di tempo non puoi fare lavori di altro tipo. Ma forse ho imparato di più da quei lavori che dall’università 🙂
Essere felice è un obiettivo giusto.
Un abbraccio grande!

Reply
Vicky Febbraio 17, 2016 - 8:30 am

Grazia che dire? Non so come tu faccia ma trovi sempre le parole esatte, mi sembra che tu mi legga nel pensiero a volte. Pensa che io dopo una laurea in filosofia (tre anni dedicati alla filosofia del linguaggio e alla linguistica) avevo pensato di frequentare un corso di laurea magistrale in linguistica computazionale. Ma poi mi sono detta? Voglio fare la vita dei miei amici e colleghi di università che lottano per avere una posizione nella ricerca? No grazie!
Io ho 25 anni e lavoro per poter un giorno fare una vita a contatto con la natura (per me è difficile accettare di non poterlo fare subito, però come dici tu, inizio con poche cose: vivo di fronte a un bosco e ogni giorno passeggio con il mio cane e nei week end ci godiamo il silenzio della natura.). Questo desiderio e il veganesimo mi hanno fatto un giorno scoprire per caso il tuo sito ed è stato amore ? hahah… Oggi scopro che oltre a questo abbiamo anche la passione della linguistica in comune. Insomma spero tanto di incontrarti di persona un giorno, nel frattempo mi godo le tue perle qui sul sito e ti ringrazio perché sei sempre di conforto e incoraggiamento!
Un abbraccio
Vicky

Reply
Erbaviola Febbraio 17, 2016 - 1:35 pm

Grazie Vicky, le tue parole mi scaldano il cuore e mi confermano che nessun passo è stato inutile, che ciò che è stato abbandonato è molto meno di quello che è qui, ora. Lasciando che le proprie idee scorrano libere, si creano sinergie come questa, ci parliamo a distanza proiettate verso mondi migliori. Se le tue sensazioni erano di rifiuto per quell’ambiente, hai fatto bene a non sforzarti ma non perché la mia esperienza è stata pessima, semmai perché ti sei data ascolto ed è sicuramente la scelta migliore per sé stessi. Un abbraccio grande e vedrai che al momento giusto arriverà anche una presenza maggiore della natura 🙂

Reply
Vale Febbraio 17, 2016 - 11:03 am

…poi arriva la ministra che si offende se qualcuno le fa gentilmente notare che i suoi meriti personali non sono da attribuire al mondo accademico italiano.
Non ti dico che tipo di professori ho incontrato io, va’, che poi mi deprimo e non mi metto a scrivere e inizio a pensare seriamente a quel paragrafo su, che hai scritto, il secondo del post.

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Erbaviola Febbraio 17, 2016 - 1:44 pm

La mia università faceva delle pubblicazioni che si intitolavano Who’s who, listando tutti i laureati che avevano posizioni interessanti, avevano fatto carriera ecc. Una trappola per matricole, in pratica, un po’ all’americana. Io ho chiesto di essere tolta ma la cosa che mi ha sorpresa di più è che nella pubblicazione non erano incluse due ex laureate eccellenti: una perché politica di centro-sinistra e l’altra, notissima imprenditrice italiana, perché ha snobbato un invito di un precedente rettore.

Il paragrafo del secondo post è il contrario di quello che fai tu: il tuo problema è che lavori a quindici progetti in una volta, non che immagini di scrivere senza farlo XD

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Ombra Febbraio 17, 2016 - 1:27 pm

Le tue parole sono un pugno nello stomaco, proprio ora che io e il mio compagno abbiamo lasciato l’UK per tornare i ìn Italia senza molto in mano…e lui ha appena finito il PhD là e spera di trovare, non dico un posto da ricercatore, ma almeno un corso d’insegnamento di quelli ’10 ore e un calcio in culo’ in una qualunque università del centro-nord. Dici che è impossibile? Dici che sono TUTTE, ma proprio tutte così? Che se non conosci qualcuno non entri mai, da nessuna parte? Dai, dammi la mazzata…

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Erbaviola Febbraio 17, 2016 - 1:55 pm

Ombra, mi risparmio la domanda “ma perché siete tornati?!”. Non so che dire, ovvio che non posso avere la certezza che siano tutte così. Spererei di no. Ma ho forti dubbi. Oltretutto i contratti che dici non si fanno quasi più e quando si fanno è solo perché manca qualcuno di competente nella materia e devono coprire un corso. Un paio di anni fa mi ha chiamata l’Università di Pavia per questo motivo, io abitavo già tra Bologna e Firenze. Un corso di sei mesi, 50 ore, pagate 80 euro lorde l’ora. Non ci coprivo nemmeno le spese del treno, ho detto di no, oltre il fatto che vista la specializzazione dell’insegnamento richiesto era veramente meno dell’elemosina. E comunque, se uno ci deve vivere, direi che 4mila euro lordi in 6 mesi, pagati magari dopo altri 6, sono un po’ pochini.
Poi non è detto, io gli auguro di trovare un istituto diverso dagli altri e vivere di ricerca. Ma quello che vedo è solo gente che fa il ricercatore qui vivendo a casa con i genitori e stringendo i denti per anni, nella speranza che la coda dei raccomandati finisca (non finisce mai) e gente che si stanca e cerca all’estero.
Altrimenti l’alternativa per restare nell’università italiana è procurarsi delle raccomandazioni. Io non lo consiglio per tanti motivi, non ultimo che il male porta sempre male e che i favori presi vanno restituiti per il decuplo…e possono essere dolori! In rarissimi casi però ho visto anche gente proveniente da famiglie modeste, senza nessun peso e conoscenze, che con una buona dialettica e una presenza costante in istituto – facendo da lacché ai prof – ha raggiunto una posizione discreta. Capita di più nelle facoltà scientifiche.

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Ombra Febbraio 18, 2016 - 11:19 am

Eh lo so…ma L’Inghilterra per noi era diventata una prigione, troppa competizione, crescente diffidenza verso i non inglesi e non ultimo, dato che tutto il mondo è paese, il mio datore di lavoro non mi ha pagato gli ultimi tre stipendi e addio. Insomma, è andata male. Quello che dici sull’università italiana è vero e scoraggiante, chissà magari nel giro di un anno o due saremo di nuovo on the road.

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Ivan Febbraio 17, 2016 - 3:25 pm

Ciao Grazia,
quasi 2 anni fa ti scrissi un ‘email che ti riposto qui perchè è più che mai in tema…Grazie!!
……………………………………………….
Ciao Grazia,

ti scriviamo per dirti GRAZIE!…sembra un gioco di parole ma non lo è perchè hai saputo, con i tuoi libri, ispirare sia me che la mia compagna, e a convincerci che un cambiamento verso uno stile di vita più sostenibile è possibile se lo si vuole veramente.
Il tutto è scaturito dal desiderio di voler realizzare un piccolo orto sul balcone, e ho avuto in regalo dalla mia compagna Silvia, il tuo libro “L’orto sul balcone”, che mi è davvero tornato utile, e tramite macerati e piccoli accorgimenti ho avuto i miei pomodori e le mie soddisfazioni!…e hai veramente ragione sul fatto che l’autoproduzione è la vera rivoluzione!
Con questa consapevolezza nel cuore ecco che un sacco di cose si sono infilate una dietro l’altra, con estrema naturalezza.
Siamo diventati soci-consumatori di una cooperativa agricola biologica, che sosteniamo comperando i loro prodotti, da noi raccolti, e aiutandoli nel tempo libero sul campo.
Abbiamo smesso di frequentare i supermarcati (dio sia lodato!..non so davvero come facessimo prima!!) e acquistiamo prevalentemente nei mercati biologici locali e abbiamo imparato ad autoprodurci molti alimenti.
Siamo diventati wwoofer e abbiamo fatto esperienze per noi incredibili che ci hanno riempito l’animo e l’altro tuo libro “scappo dalla città” ci ha accopagnato in tutto questo.
Silvia nel frattempo ha fatto dei corsi di cosmesi naturali e sta tutt’ora frequentando corsi di erboristeria integrale mentre io ho iniziato a fare un corso di permacultura.
Infine ci stiamo trasferendo, proprio in questi giorni, in una casetta nella prima campagna bolognese, dove abbiamo più tranquillità e un fazzoletto di terra per fare un orto serio ma sopratutto per “rallentare” i ritmi malsani della città.
In poco meno di un anno è successo tutto questo e per ora manteniamo i nostri lavori di impiegati ma sempre più convinti che arriverà per noi il momento di trasformare la vita nel nostro lavoro e non il contrario come è sempre stato finora
Ecco in qualche modo volevamo farti sapere tutto questo e ringraziarti per la tua preziosa condivisione di percorsi e di esperienze.
Con affetto 🙂

Ivan & Silvia

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Erbaviola Febbraio 17, 2016 - 8:28 pm

Ciao Ivan e Silvia, che bello risentirvi qui e che bello scoprire il vostro blog e cos’è successo da quella email. Grazie anche di avermi ricordato ora di questi semi che germogliano, siete stati davvero tanto cari, è un gesto bellissimo! Prima o poi, disgelo permettendo, dovremo vederci! 😉

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Ivan Febbraio 17, 2016 - 10:08 pm

Ciao Grazia,
si è successo davvero tanto da quella email e tanto ancora dovrà succedere! Comunque sia credo che ci potremo conoscere presto: Silvia si è iscritta al corso di formaggi vegani che terrai a Bologna il 5 marzo e io verrò sicuramente a salutarti!Un abbraccio e a presto 🙂

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Barbara Febbraio 17, 2016 - 5:01 pm

Io non ho potuto finire gli studi e andare all’università come avrei voluto. Ho continuato a studiare da sola: inglese, un pò di informatica, un pò di grafica, un pò di questo e di quello perchè tanto potevo studiare anche da sola, i libri me li vendevano ugualmente!! Leggerti a proposito delle università italiane mi fa stare meglio. Forse quello che ho sempre considerato come un buco nella mia formazione non è così nero come credo.
Sono del centro di Milano, mio malgrado, e ho abitato a Vigevano, sempre mio malgrado. Lavoravo in una grossissima azienda di abbigliamento che si stava prendendo il mio fegato un pezzo per volta e quindici anni fa ho mollato tutto e mi sono trasferita in Veneto, in una casetta affittata su due piani con giardino e orto, in aperta campagna. Io e i miei gatti.
Ti leggo e spesso penso che sei quello che avrei voluto diventare…ma forse l’università non è entrata nella mia vita perchè tanto dovevo venire qui e, ironicamente, fare una scelta molto simile alla tua.
L’Amor Fati è sempre stato fondamentale per me. La pratica con cui si deve imparare a decifrare la propria vita e quello che succede, per capire ed ‘usare’ ogni momento al massimo…o anche solo decidere con assoluta consapevolezza di non fare assolutamente niente e stare a guardare. Che è sempre un azione. Comunque sia, io sono pienamente convinta che se ci lasciamo essere diventiamo cioò che siamo…ma ciao, potremmo stare qui un mese a blaterarne.

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Erbaviola Febbraio 17, 2016 - 8:48 pm

Ma blateriamone pure, cara Barbara! Sono discorsi tra i più interessanti!
Io non sono molto favorevole all’insegnamento universitario in Italia oggi. Se avessi dei figli e volessero fare a tutti i costi l’università, li indirizzerei all’estero. L’insegnamento è ormai mediocre, i raccomandati e gli incapaci si sono moltiplicati tra di loro creando 3-4 generazioni di baronato che costituiscono una situazione non più sanabile. Di tutti i corsi universitari che ho seguito, ho trovato solo tre professori davvero appassionati della loro materia, quindi ora sarà peggio. Anni fa avevo pensato di iscrivermi a biologia, ma ho lasciato perdere perché l’idea di tornare in una università, magari a sentire forzatamente per ore qualche ignorante che mi spiega poco e male qualcosa… no, mi spiace, non ho tempo da buttare, ho già dato.
Preferisco imparare in corsi specifici, da persone appassionate del loro argomento o da libri scritti molto bene. Tutte situazioni molto lontane dal mondo accademico.
Un abbraccio grande!

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Eleonora Febbraio 17, 2016 - 8:22 pm

Standing ovation! (Che la tua Bellona-mezzanobile tradurrebbe con “ovulazione alla Standa”, presumo…)

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Erbaviola Febbraio 17, 2016 - 8:40 pm

ahah probabile! D’altra parte dopo che indicò il bagno a un’ospite americana, dovetti rincorrere la poverina perché stava uscendo dall’università… a quanto pare la traduzione di quello che aveva detto suonava come “attraversare la strada, i bagni sono lì davanti” – Erano in fondo al corridoio.

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barbara Febbraio 18, 2016 - 5:29 pm

Un po’ come Sordi in “un americano a Roma”, quando indica la strada da percorrere ai due americani “ollrait, ollrait”, e quelli finiscono nel fosso 😀

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 12:04 pm

E’ vero, grazie di avermelo ricordato, bellissima scena! 😀

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Serena Febbraio 18, 2016 - 12:41 am

Ho lanciato una domanda nell’etere a cui hai risposto tu. Grazie per aver condiviso la tua esperienza. 🙂

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 12:16 pm

Shanti. 🙂 Grazie di avermelo fatto sapere.

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polepole Febbraio 18, 2016 - 11:31 am

Mai un post – aperto per caso quando vuoi staccare da quella pratica noiosa e avvilente – è stato più azzeccato di questo. Grazie. Calci nel didietro, stimoli ad alzarsi e aprire gli occhi, chiamali come vuoi, ma le tue parole sono proprio quelle che servono quando uno si sente così.
Alle elementari andavo in una piccola scuola di paese con tre aule, quindi alternavamo classi diverse nelle stesse stanze e io andavo a scuola il pomeriggio, dall’una alle cinque. Volli, fortissimamente volli, frequentare un corso sperimentale di inglese per piccoletti (allora mica lo insegnavano ancora in classe). Sai che ancora ricordo la maestra che ci insegnava e le prime parole e i pomeriggi allungati passati in classe per quell’ora in più di scuola? E ricordo una frase: You mustn’t sit and wait, you must stand up and go e qualcosa ancora. Devi alzarti e andartelo a prendere, quello che vuoi. Avevo sette anni, ora ne ho quarantatre.

Nessun passo è stato inutile, neanche la decisione cocciuta di partecipare a quel corso, mi riconosco perfettamente anch’io nelle tue parole: sono le parole che mi ripeto più spesso, quando continuo a “logorar[m]i per anni in lavori che [amavo] ma pieni di conflitti, di arrabbiature, di obblighi nello stare in quei posti la maggior parte della [mia] vita”.
Non sentirmi felice è tutto il contrario di quello che voglio. Quindi alzarsi e partire, con tutto il bagaglio che ci porteremo dietro per sempre. Rinunciare a qualcosa, anche. Ma per qualcosa di migliore.
Grazie, questa riflessione porterà con se molti cambiamenti, anche nella mia vita.
Silvia

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 12:18 pm

Mi fa piacere. Cambiamenti che erano già dentro di te e che hanno solo trovato il momento, l’apertura per uscire. Questo è meraviglioso. Un abbraccio grande!

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Elena Febbraio 18, 2016 - 11:36 am

Ciao! Per prima cosa ti faccio i complimenti per questa tua pagina che non conoscevo ancora (ahimè!) e sulla quale credo che dovrò passere qualche giorno per scoprire tutti gli interessantissimi argomenti che hai trattato fino ad ora! E poi questo tuo post sull’amor fati… Credo che dovrò rileggerlo più e più volte tanto è ricco di spunti interessanti.
Anche io ho una casa sull’Appennino Tosco Emiliano, era quella dei miei nonni, quella dove ho passato tutta la mia infanzia e quella a cui il cuore torna quando vuole trovare pace. Vorrà pur dire qualcosa no? Forse questa parte di Appennino ha davvero qualcosa di magico, di incredibilmente attraente, una “piccola Himalaya, come la definiva Terzani ?

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 12:15 pm

Non sapevo che Terzani l’avesse definito così, che bella definizione! Grazie! Sì, in effetti c’è qualcosa di energetico in queste montagne, anche se non facilissime da vivere, persino con i mezzi moderni. Ma sono state abitate da popolazioni antiche, hanno mantenuto in qualche modo una traccia particolare di vissuto. Goethe – perdonatemi, sono ripetitiva e con Goethe e Mann anche un po’ ossessiva – in “Viaggio in Italia” ha definito questi luoghi “Uno dei posti più belli del Creato”. Poi ha sottolineato quanto fossero antipatici, puzzassero e non si lavassero gli abitanti del paese in cui ho la residenza, ma questa parte del discorso l’hanno tagliata dal muro commemorativo 😀

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barbara Febbraio 18, 2016 - 1:13 pm

Se perseguiamo le nostre passioni, prima o poi i risultati arrivano.
Ed è meraviglioso scoprire che tutte le azioni che abbiamo compiuto con amore e dedizione, prima o poi si uniranno tutte per alimentare i nostri obiettivi.
Come nel tuo caso, la ricerca che tanto amavi e che con dolore hai lasciato, ti è necessaria per continuare a scrivere i tuoi libri (e non solo).

Lunga vita, amor fati, e prosperità 😀

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 12:07 pm

Davvero. Davvero. Davvero. (con i nostri discorsoni in coda…) Ti abbraccio!

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cri Febbraio 18, 2016 - 2:37 pm

Mi è venuto un commento ogni due righe che leggevo: considerando la lunghezza del post sarà meglio che mi ridimensiono! E ti dico solo che non sapevo si dicesse amor fati, ma è la filosofia che da anni ho fatto mia, e ne trovo continue conferme nella realtà che vivo, nella mia storia, nel corso delle cose che sembrano essermi successe quando invece le ho desiderate ma semplicemente non riconoscevo ancora quel desiderio, come se ci fosse una parte di me che è “più avanti” e che a volte dice “va beh faccio io, che se aspetto che arriviate tu e la tua consapevolezza potrebbe farsi tardi”. Bel post, tutto. Grazie per averlo scritto 🙂

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 12:05 pm

Grazie Cri per questa conferma, sentire che molti riescono ancora a percepire l’energia della vita e delle proprie scelte nonostante il brusio di fondo, fa bene al cuore.

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Giorgia Febbraio 19, 2016 - 6:11 pm

Un’analisi lucida della tua situazione che porta a riflettere sulle nostre situazioni. Leggerti mi porta sempre a cercare di migliorarmi. Grazie.

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 11:52 am

Grazie Giorgia per il tuo pensiero, fa bene ritrovarsi con chi ama capire il mondo. Un abbraccio!

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La Rapa Fenice Febbraio 19, 2016 - 7:27 pm

Grazie. Semplicemente grazie.
Sto attraversando la fase “irresponsabile verso se stessa e il suo futuro” e lotto contro le aspettative della società e persino delle persone care e preoccupate per me. Io non sono preoccupata. Il fato (concretizzando le mie scelte più profonde) mi ha spinta con forza a cambiare direzione, a lasciare una strada che da tempo avevo intuito essere comunque nociva per me. A volte, nell’amor fati, l’unico rischio è sentirsi soli nell’amare quei cambiamenti che noi sappiamo essere nostri come nient’altro, ma che gli altri non riescono a percepire come amabili.
Grazie davvero.

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 11:59 am

Vedrai che man mano che ti vedranno appagata e felice, si rilasseranno. Qualcuno penserà addirittura di fare il tuo percorso, tanto ti vede realizzata e serena. Rimarrà sempre una parte di gente concentrata sulla parte negativa o sul dirti che sei troppo precaria, che non c’è sicurezza bla bla bla. E’ un’utilità di queste scelte: mettono in evidenza la gente negativa, quella invidiosa, quella cattiva. A te la scelta di cosa farne. 🙂
Un abbraccio!

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La Rapa Fenice Febbraio 23, 2016 - 12:51 pm

Verissimo cara. Splendido punto di vista.
È una ottima via di demarcazione tra il positivo e il negativo della vita.
Un abbraccio.

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Francesca P. Febbraio 20, 2016 - 3:48 pm

Arrivo qui perchè Daniela, che ti conosce e mi conosce, mi ha segnalato il tuo blog. Di lei mi fido molto, quindi so che non parla “a caso”. E infatti aveva ragione a voler che le nostre strade si incrociassero, in mezzo alle parole. Quello che scrivi in questo post è una ventata d’aria fresca in faccia, che sveglia. Tutta la parte iniziale mi calza a pennello, rispecchia tanto quello che sto vivendo e pensando. Mi interrogo spesso sul senso degli eventi, sui perchè – anche nascosti – dietro e dentro le cose, sul destino, su quello che dipende da noi – quasi tutto – e quello che capita e che va gestito… insomma, oggi mi sento anche io come quei fiorellini blu che spuntano dalle foglie secche, si affacciano timidi su un mondo nuovo da esplorare che fa paura ma è anche eccitante… perchè non sappiamo come sarà.
Non voglio dilungarmi troppo come debutto, ma sono contenta di aver trovato chi canta una canzone simile alla mia… e piacere, io sono Francesca! 🙂

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 11:50 am

Piacere Francesca! Ringrazierò Daniela, non appena mi dirai a quale Daniela devo rivolgermi… chissà perché è un nome molto ricorrente tra le mie amicizie.
Tutto dipende da noi: dove siamo, quello che abbiamo, il lavoro che facciamo, le persone che frequentiamo, tutto. Così come dipende dalle nostre scelte più profonde, dalla canzone che ci cantiamo, quello che accadrà domani. Un abbraccio grande Francesca, che ci sia sempre il sole ad accogliere i tuoi fiori che spuntano timidamente.

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Claudia_GranoSalis Febbraio 22, 2016 - 9:21 pm

Come capisco questo tuo parlare di amor fati. Certo non rispetto a similitudini nel nostro percorso, non ce ne sono molte, ma mi sono ritrovata spesso negli ultimi 5 anni a chiedermi che senso avesse tutto quello che mi era capitato negli ultimi tempi, i cambiamenti che, nel mio caso non cercati o voluti, sono arrivati prepotenti, e hanno dato una nuova direzione alla mia vita. In parte sono ancora in quel marasma, ma in parte riesco a vedere che tutto era funzionale a quello che vivo ora, alle passioni e agli interessi che piano piano sono emersi e stanno trovando una forma. Tutto, anche la solitudine e i momenti difficili.
E’ sempre tanto bello leggerti, è bello venire qui e fermarsi a lungo, c’è vita in quello che scrivi.
Ma toglimi una curiosità: a che ora vai a dormire per svegliarti alle 4.30? Con le galline vero? Non dirmi che sei una di quelle che dorme 4 ore e scoppia di energia che potrei diventare molto invidiosa, io che ho sempre la sensazione di non avere mai tempo a sufficienza e che non riesco ad essere lucida se non dormo almeno 8 ore…

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Erbaviola Febbraio 23, 2016 - 11:42 am

Cara Claudia, tutto succede in base a quello che abbiamo cercato, sempre. La curiosità te la tolgo sorridendo: non ho un orario entro cui andare a letto. Cerco di farlo non oltre le 23, pena la stanchezza al mattino… ma devo dire che ultimamente sono fagocitata da lavori di cucito e dal canale Sky Arte HD e continuo a registrare documentari e a tirare tardi per non doverli cancellare non visti, causa spazio limitato (perché non è che in casa mia si guardino solo film d’autore e documentari, ogni tanto ci facciamo rapire da qualche serie trash camuffata da esperimento sociologico).
Detto questo, da piccola dormivo pochissimo, fin da subito, ma con il grande vantaggio di non disturbare nessuno. Un pediatra molto intelligente ha detto ai miei che se i miei ritmi erano quelli, andavano rispettati e che quindi trovassero loro il modo di assecondarli, niente sistemi per farmi dormire, goccine e cose varie. Così pare che abbiano raggiunto questo accordo: un lettino più grande dove potessi tenere un bel po’ di giochi e pelouche, così quando mi svegliavo potevo giocarci senza chiamare nessuno. Ha funzionato, pare si siano alzati solo una volta perché stavo cantando con i pelouche e hanno chiesto solo che lo facessi sottovoce. Sono stata io, per anni a cantare per far addormentare mia sorella, quindi avevo anche una mia utilità 😀 Ho dormito poco anche nell’adolescenza, persino dopo nei periodi di discoteche e alcolici (io pochissimo, non mi sono mai piaciuti) fino a mattina. Questo fino a un periodo di ribaltoni di vita in cui per stanchezza mentale (e credo vero e proprio esaurimento) mi è venuta una sonnolenza epocale. Da allora alterno periodi di orari monacali a orari più “normali” nei fine settimana… nel senso che può capitare di presidiare il letto fino a mezzogiorno. Però sì, per me 5-6 ore di sonno sono sufficienti, mi sveglio naturalmente.

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Terry Marzo 4, 2016 - 6:55 pm

Ieri alla lezione di yoga, la nostra insegnante ci ha detto che nella vita nulla accade per caso e che anche l’aver scelto quel corso di yoga aveva un significato. Io ho ascoltato rapita e concorde. Oggi per puro caso (mi avevano parlato di un metodo per pulire l’argento con la carta di alluminio) mi imbatto nel tuo blog, cara Grazia. Da li, spulciando, giungo all’articolo sull’Amor Fati, lo leggo tutto di un fiato riconoscendomi non una ma molte e molte volte. Voglio dirti solo che anche io, come te, dopo anni sono in procinto di lasciare un lavoro sicuro in una grande città per un cambio di rotta verso un paesino di poche anime….la decisione è stata dura e frutto di mesi di notti insonni, ma quando è giunta, così all’improvviso….mi ha lasciata un senso di liberazione e di gioia dentro infinito. Amor fati. Grazie per avermi fatta sentire non un’aliena, ne una pazza, fusa e irresponsabile (ho una famiglia che mi porto dietro con le mie scelte…). A risentirci

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Grazia Aprile 29, 2016 - 7:21 pm

Spero che i tuoi progetti stiano proseguendo con la stessa fiducia, positività e entusiasmo di questo commento. Risentiamoci, sì. Intanto un grande abbraccio perché davvero nulla è casuale quando si mette in moto un cambiamento sentito profondamente come necessario e vitale.

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Aaurelia Marzo 5, 2016 - 12:26 am

Ciao Grazia, che fare quando, nella terra dove vivo da più di 25 anni, dove ho realizzato i miei sogni, ho costruito la mia famiglia, vivo più o meno tranquillamente, gli Stati Uniti chiedono all’Italia di mettere in funzione il MUOS, ad appena 10 km dalla mia vita?

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Erbaviola Aprile 29, 2016 - 7:36 pm

Cara Aurelia, non so proprio cosa dirti. Io sono scappata. Avevo comprato una casa nella campagna Lomellina, in zona protetta, all’interno del Parco del Ticino. Figurati che il giardino di casa mia confinava con un’oasi LIPU. Il comune di Vigevano prima e altri comuni limitrofi poi, hanno deciso di costruire dei “termovalorizzatori”, NOVE. Era il 2007. Nel 2008, dopo battaglie, comitati, manifestazioni… abbiamo capito che non potevamo fare nulla. Abbiamo venduto la casa, prima che l’area diventasse una palude immobiliare. Noi ci siamo riusciti, al volo, ci siamo trasferiti 400 km più in giù, non compreremo mai più una casa in Italia. Viviamo in affitto. Ora per esempio siamo in un posto bellissimo ma se andranno in porto i progetti di trivellazione di queste montagne per la ricerca di idrocarburi, noi saremo altrove prima che comincino (perché sarebbe un disastro annunciato). E’ brutto da dire, perché hai la prospettiva di vivere in modo precario. Ma vedi, si può avere uno sguardo più ampio: sopravvivere, prima di tutto. I miei ex vicini di casa oggi stanno contando almeno un caso di cancro a famiglia, spesso di più. Io fatico a capire chi è rimasto, come chi continua a vivere sotto le antenne di Monte Mario, chi vive di fianco alle raffinerie di Genova o sotto l’inceneritore di Parona o ancora meglio vicino alla centrale nucleare di Trino, vicino Vercelli (casomai qualcuno pensasse che il nucleare in Italia non ci sia del tutto).
In Italia ho capito purtroppo che l’unica è avere le valigie pronte. Ti puoi godere un posto finché non arrivano a distruggerlo. Purtroppo, scusa la ripetizione dei ‘purtroppo’ ma ci vuole, non ho soluzioni, perché non ce ne sono. Non servono le lotte, non serve nulla. Siamo ad un livello di imbecillità intellettiva della maggioranza del paese, per cui manifestare è l’equivalente di lucidare i pomelli di ottone del Titanic mentre affonda.
Io al tuo posto valuterei solo come andarmene con il minor danno possibile, sempre che la cosa venga approvata.
Un abbraccio grande!

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laura Marzo 6, 2016 - 4:22 pm

Hai avuto un gran coraggio! Ti stimo tanto!

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Erbaviola Aprile 29, 2016 - 7:39 pm

grazie Laura, so di non essere l’unica. Questo pezzo è anche per chi ha fatto scelte simili, in altri modi e ce l’ha fatta – o ce la sta facendo. Un abbraccio grande!

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Valentina Dicembre 26, 2016 - 10:12 pm

Mi ero “persa” questo post! E’ arrivato ora alla mia attenzione (serendipità!) e te ne sono grata, perché hai riassunto tutta la grandiosa possibilità di evoluzione personale che ognuno potrebbe abbracciare se solo volesse liberarsi dal marciume degli imperativi sociali. Un abbraccio

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Grazia Marzo 16, 2020 - 4:01 pm

Un abbraccio a te cara Valentina! Ti ho superata accorgendomi del tuo commento …ben due anni dopo! Grazie!

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