Qualche mese fa ero alle prese con il riordino della cucina e l’eliminazione di attrezzi superflui, quando ho incontrato il libro di Marie Kondo, Il magico potere del riordino. In quel momento il libro era uscito da poco, ne parlavano in molti e iniziavano ad esserci degli stuoli di adoranti fan: era nato il marketing del metodo konmari che da lì in poi ha occupato gli hashtag di chiunque riordinasse un armadio. Ma anche solo il cassetto delle posate.
Questa konmari era proposta come una vera filosofia di vita in grado di produrre miracoli. Io sono sempre molto curiosa delle “filosofie di vita” così mi sono procurata il famoso libro. Insomma, mi son detta, i giapponesi riescono a tenere in ordine degli appartamenti grandi come il mio corridoio, avrò solo da imparare, lei poi è così carina con la sua giacchettina rosa confetto…
Non essendo la mia lettura principale, ho passato qualche settimana in cui tutti mi chiedevano com’era il libro, da una parte gli infoiati che non vedevano l’ora che condividessi con loro l’estasi di tenere in fila verticale le mutande, dall’altro gli amici curiosi che non volevano impegnarsi nella lettura senza la mia rassicurazione che con questo libro non solo avevo cambiato vita, ma avevo anche la casa perfettamente in ordine pur avendo due lavori e una vita sociale.
La Kondo in tour nel mondo, qui insegna il metodo konmari alla redazione di Uk Business Insider – Gli mostra come piegare le magliette, una preziosa informazione finora in possesso solo dei Templari.
Partiamo dal titolo. In America il libro di Marie Kondo si intitola The Life-Changing Magic of Tidying Up, qualcosa che in Italia poteva essere più o meno Cambia la tua vita con il magico potere del riordino. Ma “il magico potere del riordino” fa già da solo Bia La Sfida della Magia, anche senza fare gli sboroni con “cambia la tua vita”. In Italia allora l’hanno intitolato Il magico potere del riordino – e basta.
Insomma, nemmeno l’editore ha voluto scommettere sul cambiamento della nostra vita, non gliela dà nemmeno lui questa fiducia… cominciamo bene!
Credetemi, sono partita molto propositiva nella lettura. Attendevo miracoli, soprattutto con una libreria perfetta, non tanto l’armadio che è già al minimo da tempo. Avevo bisogno una consulenza esperta sul mio problema dei troppi libri. Confidavo in lei, Marie Kondo, una persona normale che ha pensato al nostro bene fin dalla più giovane età. E quando dico giovane, intendo giovane. Fin dalle prime pagine ci informa infatti che
Ho iniziato a leggere riviste per casalinghe a cinque anni, e, partendo da lì, a quindici anni ho trovato lo spunto per portare avanti uno studio vero e proprio sul riordino. (pag. 5)
un’avida lettrice di riviste per casalinghe fin dalla scuola materna (pag. 19)
Ai tempi delle elementari, come sarà capitato a molti, armata del libro o della rivista di turno, misi in pratica ogni sistema possibile di organizzare gli spazi, sperimentando una lunga serie di fallimenti. (…) Passavo le mie giornate a esaminare i mobili e i cassetti e a spostare le cose di qualche millimetro per vedere se riuscivo a trovare l’organizzazione perfetta. (pag. 92)
“Come sarà capitato a molti” ?!
Ho un paio di considerazioni di ordine anedottico. Non so come abbiate passato voi l’infanzia. Io ero una lettrice vorace, uno dei pochissimi fatti che racconta mia madre è che a 8 anni mi sono rifiutata di seguire la bibliotecaria nella sezione dei libri per bambini. Le ha dovuto spiegare, neanche fosse una vergogna, che avevo già letto tutto Calvino e stavo leggendo Silone. Fino ad oggi, pensavo di essere stata un piccolo fenomeno. Ora mi voglio immaginare invece una Kondo, mentre a 5 anni, rientrando a casa dall’asilo, chiede alla madre “Mi hai comprato Donna Moderna e Brava Casa che devo leggere come si stirano le lenzuola?”. Non so la vostra mamma… la mia mi avrebbe provato almeno la febbre.
E non parliamo dei 15 anni della Kondo. I miei pensieri a quindici anni erano circa questi: il latino è noioso, come mi stanno i capelli, Hermann Hesse é l’unico che mi capisce, odio la chitarra nuova, vi odio tutti, voglio scappare a Londra. La mia camera era un sano campo di battaglia, in casa tutti mi dicevano di mettere in ordine e io non lo facevo per principio. C’erano compiti a casa che mi decidevo a fare solo la domenica sera o alle 5 del lunedì mattina, figuriamoci “portare avanti uno studio” su qualcosa che non fosse capire se a Marco piaceva di più Ilaria o Camilla e cosa doveva fare Camilla se avesse incontrato Marco, ignorarlo o parlarci? Due ore di telefonata per decidere. Anche voi, no? Si chiama adolescenza.
Pensiamo invece alla Marie Kondo quindicenne che porta avanti “uno studio vero e proprio sul riordino“, questo dopo almeno dieci anni di letture di riviste per casalinghe. Poi dicono che in Giappone è alta la percentuale dei suicidi…
Questa l’ha messa su Instagram una fan del metodo konmari. Divide tutti i suoi possessi cartacei in: documenti; in caso di morte; automobile; antenati. Una delle foto più tristi di sempre.
Veniamo invece a una parte allegra del libro. In stile americano, per gasarti e proseguire nella lettura, ci sono le testimonianze di chi è diventato ordinato leggendo il libro. La mia preferita è:
Mi sono licenziata e ho aperto l’attività tutta mia che sognavo sin da piccola (pag. 6)
Questa donna ha cambiato l’ordine delle mutande nel cassetto ed è stata folgorata da una visione: mi licenzio, và. Chissenefrega dello stipendio, della crisi, io ora ho le mutande in ordine cromatico e ci parlo anche, posso conquistare il mondo! (Parlare con gli indumenti è un punto fondamentale della filosofia Kondo, ne parliamo dopo)
Poi ci sono anche quelle che fanno una pulizia radicale:
Sono riuscita a distinguere con chiarezza le cose di cui avevo bisogno e quelle di cui non avevo bisogno: il risultato è che ho lasciato mio marito e ora mi sento molto meglio. (pag. 6)
Via il marito, nel rusco con le scarpe vecchie! A cosa serve la terapia di coppia e lo psicologo quando basta parlare amorevolmente ai calzini? Mi pare di capire che su questa devastazione delle vite altrui la Kondo si sia costruita una seria e rispettabile carriera come consulente. Visti i risultati, secondo me sta anche vendicandosi di quando a 15 anni pensava solo a Cucina con Lisa Biondi, in regalo con la margarina Gradina.
A un certo punto del libro però, mi sono accorta che sotto sotto, nemmeno troppo velatamente, la Kondo ce lo dice che professione svolge davvero.
Attualmente tengo un corso “Lezioni di riordino e organizzazione per uomini d’affari” (per partecipare c’è bisogno di una raccomandazione da parte di un vecchio cliente)
Io non voglio fare insinuazioni volgari, ma lavoro da tanti anni, non solo in Italia, e nella mia esperienza c’è solo un lavoro per il quale devono chiamarti “solo uomini d’affari” esclusivamente per “lezioni individuali” e solo se gli dà il tuo numero “un vecchio cliente“.
Ma ovviamente fa la consulente di riordino, c’è sempre un uomo d’affari che non sa come mettere in ordine cromatico le sue giacche blu. E se ci riesce passa il numero all’amico, ovvio.
La cosa che mi ha entusiasmato di più di questa lettura è che per tutto il libro sottintende che chi non è organizzato al millimetro ha dei problemi mentali, deve lavorare con un terapista (o se è un uomo d’affari può chiedere il suo numero a un vecchio amico). Ci ha riflettuto anni e anni su questa nostra psicopatologia del quotidiano, non ha certo cominciato ieri mattina. Noi siamo preda di turbe psichiche del disordine, lei invece:
Persino a ricreazione, mentre tutti gli altri bambini giocavano a palla o saltavano alla corda, io tornavo in classe di nascosto e mi mettevo a riordinare pazientemente i libri sugli scaffali, o controllavo il contenuto dell’armadietto delle scope nel corridoio, lamentandomi tra me e me dei difetti di organizzazione: “Se solo ci fosse un gancio a S, sarebbe tutto più facile…” (pag. 13)
Mia madre non era un tipo molto attento, ma arrivati a questo punto una passeggiata dalla psicologa me l’avrebbe fatta fare. La madre della Kondo invece era granitica. Non si accorgeva di niente, era tutto ok. La figlia passava l’intervallo a fare l’inventario dello sgabuzzino delle scope e il resto del tempo a interrogarsi sulla fenomenologia di Mary Poppins:
ho incominciato seriamente ad aprire gli occhi sul riordino quando frequentavo le medie. (…) e a cominciare da quel giorno distolsi la mia attenzione dalle altre faccende come cucina e cucito – che fino a quel momento avevo considerato le basi per diventare brave casalinghe – per iniziare un nuovo cammino all’insegna del riordino. (pag. 15)
Cent’anni di lotte femministe alle ortiche. Ma magari era solo una crisi passeggera asilo-medie. Perché poco dopo ci svela lei stessa, finalmente, che non era estranea a un uso prolungato del telefono, come tutti gli adolescenti:
alle superiori, quando mi imbattevo in un portaoggetti o in un sistema per organizzare il guardaroba che ritenevo interessante, telefonavo alla ditta produttrice, assillando l’operatrice con una serie di domande su com’erano stati inventati questi oggetti. (pag.20)
E nessuno è mai intervenuto, eh. Mia madre qui avrebbe iniziato a controllarmi le tasche per vedere se leccavo gli acidi dai francobolli. Invece la madre della Kondo si è serenamente gustata queste scene di perfetta armonia familiare:
A casa ero sempre nervosa, passavo il tempo alla ricerca di qualcosa di superfluo da buttare via: quando trovavo un oggetto che non usava più nessuno, lo afferravo e lo gettavo nell’immondizia gridandogli con rabbia: “Ecco dove ti eri nascosto!”. In una condizione del genere, non riuscivo a rilassarmi. (pag. 32)
Ma dai. Non riusciva a rilassarsi lei, pensa i familiari! Stai cenando e lei salta in piedi, afferra il tovagliolo spaiato, urla con rabbia “Ecco dove ti eri nascosto!” e lo seppellisce con disprezzo nella pattumiera.
Pensate sia finita? No, come se fosse la cosa più normale del mondo, qualche pagina dopo ci svela che a un certo punto ha cominciato a buttare via anche le cose dei genitori, però nemmeno lì hanno pensato che questa ragazza avesse bisogno un aiuto. O degli amici. O una vita.
Il bello è che, grazie a un potentissimo marketing su questo libro, la gente che legge queste cose sopra non pensa che la Kondo abbia una visione distorta della serenità mentale, non pensa di restituire il libro e chiedere un rimborso, no, va avanti a leggerlo! Voglio dire, non è la Kondo che mi stupisce, è la gente che lette le affermazioni sopra pensa “Marie Kondo è persona davvero intelligente, equilibrata, seguirò tutto quello che dice su come mettere in ordine la mia vita“. E’ questo che mi fa ridere di più. C’è della gente che ha rivoltato tutti i cassetti e posta tutta orgogliosa le foto sui social, mentre parla quotidianamente con le proprie mutande!
Lo so, lo so, la cosa di parlare con i vestiti vi sta interessando. Il metodo konmari riassumendo, si basa solo su due principi da applicare a tutto. (Il resto del libro è di una banalità imbarazzante, tutte cose già sentite cento volte)
Qui sopra, una schermata del video in cui Marie Kondo spiega a Wendy Goodman, design editor del New Yorker, come mettere in ordine il suo spazio… le espressioni della Goodman sono esilaranti. I creativi sono perfetti con le loro pile di libri, non hanno bisogno di nessuna Kondo e lo studio di Wendy Goodman è magnifico così.
Primo principio del metodo Konmari. Dovete parlare con i vestiti e accarezzarli. Tutti, anche scarpe, mutande, calzini, tuta da sci, ginocchiere da pallavolo… tutti. Ogni membro della famiglia deve farlo con i suoi vestiti. Se siete una donna, dovrete spiegare al vostro compagno che invece di giocare a Grand Theft Auto deve venire qui a parlare con le sue braghe.
La stessa cosa vale per i vestiti: sono certa che l’atto di toccarli e sistemarli con amore sia, anche per loro, piacevole ed energizzante. (…) Per questa ragione, mentre li ringraziamo per aver protetto il nostro corpo, quando li pieghiamo dobbiamo farlo con il cuore. (…) Piegandoli instauriamo con loro un dialogo. (pag. 53)
Per esempio, tu non puoi decidere così, a tuo gusto, come appendere un vestito. Devi chiedere al vestito come si trova meglio, instaurando un dialogo. Cosa che inoltre ti eviterà delle rogne con i vestiti esagitati, infatti:
Come le persone, quando si trovano insieme ai loro simili, si rilassano in maniera istintiva, così è anche per i vestiti. Dividerli per categoria li aiuta a stare tranquilli.
Avevo infatti delle vertenze condominiali in sospeso nel mio armadio e le ho risolte allontanando i jeans dagli abiti da sera. Manderò la testimonianza alla Kondo.
Riassumendo, la Kondo è una persona che quando torna a casa urla alla casa vuota “Sono tornata!“, poi si rivolge alle scarpe e le ringrazia del duro lavoro della giornata, ringrazia la sua giacca rosa-cofetto-succhiato, la borsa, poi accarezza la pianta vicino alla finestra e le dice “Sono a casa“, casomai non avesse udito il primo avviso. Poi svuota tutta la borsa sul tappeto, rimette a posto ogni singolo oggetto che c’è nella borsa, ringraziando ognuno per il suo lavoro e poi la collana, l’orologio, il contenitore dell’orologio… Ho avuto una crisi di nervi a questo punto, per lo spreco immane di tempo.
Non bastasse, questa donna mi fa venire dei dubbi amletici. Per esempio, quando la Kondo usa un profilattico, lo ringrazia prima o dopo? E’ un bel problema, perché prima rischia di far scappare l’unico essere vivente che ha resistito mentre ringraziava il guardaroba, le pentole e il divano. Mentre dopo … dopo non è un bel vedere. Chissà come fa la Kondo, magari lo chiarisce in un prossimo webinar.
Una fan di Marie Kondo segue le regole e impila le magliette in verticale – dal fashion blog The Beauty and The Geek
Secondo principio del metodo Konmari. Dovete fare il contrario di quello che può dettarvi la logica e la fisica, in particolare la forza di gravità.
Siete abituati a impilare le magliette una sull’altra? No, sbagliato! Le magliette sotto soffrono! Dovete metterle nel cassetto in verticale, non in orizzontale. Come da immagine sopra.
Ci sono vari esempi che ho trovato online di gente che ha evidentemente saltato le lezioni di fisica. Prima di tutto, per mantenere questo assetto con le magliette in verticale, è ovvio che bisogna avere un minimo di quaranta magliette, il che già entra in contraddizione con la Kondo che vuole che abbiate solo tre magliette di cui siete innamorati e una giacchetta rosa che vi fa scintillare gli occhi ogni volta che la toccate.
Ma. Anche riempiendo il cassetto di magliette piene di pieghe (per via delle leggi sull’attrito tra due superfici), cosa succede quando usi due magliette in due giorni consecutivi? Prima e più logica conseguenza: le altre cadono su loro stesse e su quelle davanti, così che tu non abbia più una sola maglietta stirata per il resto della settimana. Oppure. Seconda ipotesi. Ogni sera lavi la maglietta, le parli e la ringrazi intanto che asciuga e la riponi al suo posto nel cassetto, giocando un’infernale roulette russa con le già citate leggi sull’attrito, le quali vinceranno sempre, sappilo. La Kondo però sostiene che gli indumenti abbiano un punto magico, trovato il quale il vestito sta in piedi da solo in verticale. Sto ancora cercando sui libri di fisica quantistica la “teoria del punto magico secondo la quale una maglietta sta in piedi da sola in verticale”. Vi aggiornerò.
In conclusione, sebbene il libro non sia utile ad avere una casa in ordine, ha un grande valore trasversale come fenomeno di marketing. Un marketing geniale perchè questo libro sono riusciti a venderlo anche a me, mi hanno venduto l’illusione di poter vivere in un mondo magico in cui basta sapere il segreto dell’ordine per ottenerlo, basta sventolarci sotto il naso della mitologica ‘giapponesità’ per farci credere di poter avere uno stile minimal nipponico senza fatica.
Si rivolge, insomma, alla falla di sistema che abbiamo tutti noi con una casa, un lavoro e una vita intensa: vorremmo la bacchetta magica per l’accumulo di cose e il disordine; siamo disposti a credere che la soluzione possa arrivare da un libro, da un metodo innovativo, da dovunque purché ci confermino l’esistenza di una possibilità di avere la casa in perfetto ordine e una vita felice. Abbiamo bisogno di crederci. Ho comprato non un libro ma un’illusione. Poi ho sbagliato: l’ho letto. Ma almeno ho avuto un po’ di risate, materia oggi rara.
Vi lascio con una delle affermazioni migliori dalla fisica misterica Made in Kondo.
La vostra casa sa già qual è il posto giusto in cui dovreste riporre ogni cosa.
Provate a dormire tranquilli, adesso.
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Questo è un blog aperto al dibattito, ma al dibattito costruttivo e intelligente, non a chi scambia la satira per un insulto personale. Oltretutto è avvilente dover spiegare che è un pezzo di satira, perché, senza modestia, quello sopra è un articolo scritto molto bene, con ottimi tempi, ritmo e stimoli alla riflessione. Quindi mi dispiace, ma se fosse scritto male capirei la tua confusione, per come invece è stato scritto... se qualcuno trova offensivo verso sé stesso questo articolo, non è un problema mio. E' come se tu dovessi farti carico del fatto che io non distinguo l'hip-hop dal funky. E' un problema mio, non tuo, e se studiassi meglio i due generi magari potrei distinguerli :)
Mi piace molto quello che c'è scritto in una sentenza della Cassazione sulla satira: « È quella manifestazione di pensiero talora di altissimo livello che nei tempi si è addossata il compito di castigare ridendo mores, ovvero di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene. » (Prima sezione penale della Corte di Cassazione, sentenza n. 9246/2006) L'ho trovata a pag. 40 del saggio di Maria Felicia Schepis "Colui che ride. Per una ricreazione dello spazio politico", Franco Angeli
Dov'era qui l'intento correttivo verso il bene? Mi chiederai giustamente, non avendolo colto subito. Il non cadere in facili trappole di marketing, di non cercare guru da idolatrare ma idee con cui arricchirsi, di non cedere all'abbruttimento maschilista di certi libri che schiacciano le donne nel ruolo di bamboline-di-rosa-vestite che devono applicarsi a una migliore piegatura della maglietta in orizzontale e verticale, che se avanzano tempo devono parlare con le cose, non con altre persone. Sai, nel dialogo costruttivo potrebbero evolversi. Mia cara Anna, puoi anche non essere d'accordo con me - e questo è assolutamente lecito - ma davanti all'offuscamento cerebrale così ben orchestrato di quella che invece è la vera Femminilità Creatrice (e non piegatrice di maglie!), ci vogliono anche persone come me che a un certo punto, davanti allo spettacolo di un'epidemia di cretinismo che raduna le donne davanti alle foto dei cassetti di mutande, insorga dicendo "Ma che diavolo state facendo?! Vi stanno drogando di cretinate!" E io per farlo uso la satira, perché se no un saggio serio lo leggerebbero in due. E funziona benissimo, ti dirò :)