Ho alzato la testa dai libri e siamo a novembre. Non sono solo sbadata verso le cose di tutti i giorni, è che l’orto a volte mi imbroglia e il sole insolito di questi giorni ambienta il tutto in un fine settembre un po’ freschino. E’ novembre e io ammiro il rosso autunnale tra fragole e ceste di pomodori in mezzo alle melagrane.
Le piantine di fragola nel vecchio tavolo da orto sul balcone, quest’anno trasformato in fragolaia, hanno iniziato a virare al rosso e viola ma senza smettere di produrre. Avranno intenzione di arrivare a dicembre? Facciano un po’ come vogliono, noi ce le gustiamo e non dirò mai abbastanza quanto amo le sfumature viola delle foglie autunnali.
A fine ottobre sono arrivate le prime melagrane, succose e dolci. Ne abbiamo fatto estratti da bere subito, un ottimo risotto alla birra con melagrana e un paio di gelatine asprigne da accompagnare ai formaggi vegetali.
Sono arrivate a sorpresa sul melograno all’angolo dell’orto, una pianta che in tre anni scarsi sta diventando molto grande. Ci ha sorpreso un po’ perché i fiori erano stati spazzati via da una grandinata e avevamo salutato tristemente l’idea di avere melagrane in questa stagione. Invece la natura che ci sorprende sempre ci ha regalato una quantità di frutti tondi, rossi e polposi, quasi tutti grandi.
Ci ha sorpreso così tanto, che non raccogliendole tutti i giorni ne abbiamo dimenticate alcune sull’albero, che si sono aperte rivelando il loro contenuto goloso. Raccolte e utilizzate, sono frutti infatti che anche se un po’ bruttini o addirittura spaccati, restano buoni. Le melagrane sono comparse e se ne sono andate prima che i pomodori smettano di produrre i loro frutti. Lo so, è contro ogni manuale dell’orticoltore provetto.
I pomodori a novembre sono una bella rivincita. Il mio orto di fronte sembra un orto abbandonato. Per un paio di anni ho mantenuto una facciata, per non scandalizzare i vicini. Ma ormai si sono abituati alle mie stranezze e le guardano anzi con curiosità, quindi mi sono ritenuta libera di avere solo coltivazioni spettinate.
Chi passa ha le sue opinioni. Questo orto un lato esposto verso la strada e d’estate raccoglie i commenti dei turisti di passaggio. Disordinato, pieno di erbacce, persino abbandonato. Ne ho sentite di tutte. Anche che dovremmo togliere gli alberi. Opinioni da persone con in mente l’orto dei vecchi, tutto pelato, privo di infestanti, da annaffiare di continuo, con piante regolate dalla mano dell’uomo e dalla sua fatica. Ore chini sotto il sole con l’ambizione di produrre un pomodoro in più, senza accorgersi di produrre molto meno con il triplo della fatica. Hanno in mente l’orto di un uomo che si è dimenticato che le piante esistono oltre lui, forse attraverso di lui ma mai dipendenti da lui.
Quando si interviene eccessivamente, i risultati sono minori. I miei pomodori ciliegini e ramati che crescono come gli pare, a cui non pratico la sfemminellatura, a cui non tolgo le erbacce e anzi aggiungo paglia ai piedi o pacciamature improvvisate con quel che cresce attorno… i miei pomodori anarchici e liberi producono più degli altri.
A novembre, a 800 metri, mi regalano ancora ceste di delizie. Godono del sole quando c’è e delle piante attorno che con le loro radici aiutano la risalita capillare dell’acqua, permettendo di annaffiare raramente. Quest’estate avremo dato acqua all’orto forse tre volte. Voglio esagerare, perché me ne ricordo solo due. Le ultime piogge autunnali li hanno spaccati un po’, ma sono ancora ottimi per qualche sugo da conservare per l’inverno.
In compenso, credo di aver seminato le barbabietole più lente sulla terra… non ne ho ancora assaggiata una e hanno le dimensioni di un rapanello! Chissà se ce la faremo prima dell’arrivo della neve. Restiamo in attesa, pronti a meravigliarci.
In un’altra parte dell’orto, ho lasciato che i pomodori cuore di bue e San Marzano si arrampicassero sul tronco storto del pesco. Li ho solo aiutati con qualche bamboo quando i frutti li stavano appesantendo troppo, ma solo perché l’orto è piccolo e non ho spazio per farli crescere a terra… altrimenti sarebbe bastata un po’ di paglia sotto e via.
Questo novembre si è aperto con una grossa cesta di cuori di bue, circa 6 chili di frutti dolci e polposi. Mentre li raccoglievo é passata una coppia passeggiando e si è fermata poco distante, all’ingresso dell’orto.
“Mi scusi, ma sono mele o pomodori?”
“Pomodori, vuole assaggiare?”
Sì, a novembre, in montagna, senza serra, senza niente.
E’ seguito uno scambio sulle stagioni sballate (teoria della signora) e sul coltivare assecondando la natura e quel che si sentono di fare le piante (mia teoria). Ci siamo salutati dopo l’omaggio di un paio di pomodori e un po’ di basilico per condirli a cena. Chissà se ho piantato un seme…
In queste situazioni, quando guardo gli orti di queste zone che ormai non hanno pomodori da settembre ma i cui proprietari inorridiscono davanti al “disordine” del mio, mi viene sempre in mente un paragrafo di David Holmgren in Permaculture: Principles and Pathways Sustainability
Nella scienza, la risposta più semplice che spiega tutti i fatti viene considerata più valida rispetto a una risposta complessa. In modo simile, anche nella progettazione un’enorme complessità è spesso indice di una progettazione superficiale. Una soluzione progettuale davvero efficace può essere straordinariamente semplice. Tale semplicità può essere implicita o derivare dal fatto che la complessità vivente basata sull’auto-organizzazione funziona senza che noi la comprendiamo o controlliamo. I sistemi davvero efficienti possono funzionare benissimo senza che noi ce ne rendiamo conto.
(Questo libro di Holmgren sulla permacultura si trova anche in italiano con il titolo Permacultura. Dallo sfruttamento all’integrazione. Progettare modelli di vita etici, stabili e sostenibili)
Fare meno, rispettare i cicli di vita delle piante, la loro forma e struttura, il loro modo di integrarsi con l’ambiente, regala anche tempo. Non solo frutti più gustosi. Ma tempo qualitativo.
Per esempio il lusso di posare la cesta con il raccolto e godersi l’inizio di un tramonto sui colori autunnali dell’appennino.
16 Commenti
Immagini e parole splendide, come sempre 🙂
Grazie Isabella, ti abbraccio!
Io per avere un orto spettinato dovrei prima abbattere mio padre, è più forte di lui, non può esimersi dal ripulire. Lo fa da una vita. Però quest’anno ho ancora le melanzane (a fianco dei finocchi, particolare accostamento). Adoro le foto del tuo orto selvaggio.
Tiziana capisco molto bene!!! Io anni fa ho avuto anche un vicino di casa che ci ha chiesto se stavamo coltivando le erbacce, poi ci spiava dalla recinzione, non persuaso del nostro orto… ed era molto più ordinato di ora! Ognuno ha le sue idee sul concetto di ‘ordine’, io preferisco quello della natura 😉
Bellissimo il tuo orto spettinato, più o meno come il nostro… anche noi ancora a raccogliere pomodori, melanzane e peperoni, assieme ai radicchi e alle insalate… i fichi fino alla settimana scorsa assieme ai primi cachi e tante spontanee che arricchiscono i nostri piatti e anche qui tanta gente che non sa risparmiarsi i commenti non desiderati sulle erbe, sugli insetti, sulle lumache, sul disordine, sull’acqua e sul tempo “perso” dietro all’orto… 😉 Un abbraccio cara!
Un abbraccio anche a te cara Daria… sì, è invidiabile tutta la produttività della pianura anche nei mesi più freddi! Noi tra un po’ coltiveremo neve e mi godrò le tue foto dell’orto 😉
Uh, come mi sei mancata! Ti ho già vista ieri, ma ho aspettato la sveglia tarda di stamattina (la prima che mi concedo senza sveglia da lungo tempo), il mio primo caffé e il silenzio della casa per godermi il tuo racconto 🙂
Le mie fragole quest’anno sono tutte morte…e ho messo dei pomodori a terra e non in vaso per la prima volta, ma era già molto tardi e il punto in cui le ho messe non era un granché…insomma, non è andata bene, ma per fortuna c’è il melograno, l’unica pianta che non ho fatto crescere io e di cui non mi occupo, che ogni anno mi regala decine e decine di frutti deliziosi! Finirò di raccoglierli probabilmente a dicembre.
Mi viene in mente una passeggiata che ho fatto con un’amica nel basso chianti, intorno al suo podere, verso inizio ottobre. Camminavamo in discesa, al margine di un vigneto, separato da un altro da file di arbusti e un bel solco per lo scolo dell’acqua, in cui cresceva un po’ di tutto, tra cui…un’eccezionale pianta di datterini. I semi erano arrivati lì chissà come, e nonostante non piovesse da mesi, nonostante in tutti gli orti della zona i pomodori fossero ormai già rinsecchiti e a fine ciclo, quella pianta, ancor più anarchica delle tue, era verdissima, robusta, splendida e carica di frutti sodi, alcuni verdi e altri maturi. Una meraviglia, su cui nessuno aveva messo le mani. Me la sono guardata a lungo con un gran sorriso stampato sulla faccia.
Anche qui in bassa Toscana questo autunno è uno splendore, sono spesso in giro per lavoro e non faccio che stupirmi di quanto sia incredibile questo paesaggio, anche se sicuramente più addomesticato del tuo.
Vabbè mò basta, ho scritto un poema, non mi resta che salutarti e augurarti uno splendido novembre!!
Claudia, sto sogghignando perché anche io aspetto il momento di pace e silenzio per leggere i tuoi post e gustarmeli per bene!. Ti abbraccio e scrivi pure quanto vuoi qui, è sempre un piacere leggerti!
Grazia che invidia i tuoi cuore di bue mi fanno una gola!! Allora l’anno prossimo potrei per caso capitare nei paraggi del tuo bellissimo orto e sperare che tu stia raccogliendo i pomodori! Per puro caso eh 😉
Comunque le tue storie sull’orto anarchico mi ricordano la mia pianta preferita la Sassifraga e una poesia di William Carlos Williams, la cui ultima strofa recita: Saxifrage is my flower that splits the rocks.
Un abbraccio 🙂
Vicky
Passa e sarai omaggiata! ^_^
Questa citazione è bellissima, grazie di cuore… “splits the rocks” è un’immagine potente. Sto pensando di stamparmela per la mia bacheca, oltre a cercare le poesie di William Carlos Williams che conosco molto poco, quasi nulla. Un abbraccio grande!
Eh sì sì chiama proprio così (da Saxum e frangere) perché pare che cresca anche negli ambienti più rocciosi rompendo i sassi per farsi strada. Un po’ come chi come te spacca il sistema con l’autoproduzione 😉
La poesia si chiama A Sort of a Song.
Ciao Grazia ?
Vicky
Ho giusto finito di leggere ieri “Elogio delle vagabonde” di Gilles Clément. Vabbe’, non si parla di orto, ma di “erbacce” e nemmeno commestibili, però il teorema di Clément è applicabile un po’ a tutte le erbe, no?
Leggere dell’orto anarchico a bassa manutenzione, poi, per una pigra come me, è un balsamo per l’anima 😀 sì, lo so che l’orto senza fatica in realtà non esiste, ma oh. Il pensiero di non dover sfemminellare le mie (forse, chissà, se mai…) future piante di pomodoro, mi ha fatto tirare un sospirone di sollievo!
Io sono pigra e sempre in cerca del metodo più veloce e con meno fatica per fare tutto 😀
Ti adoro…
Noi condividiamo l’orto con mio suocero che, anche se non anziano, è molto vecchio stile. Sono riuscita a impedirgli di estirpare la portulaca, ma continua a zappettare ovunque… Chissà se piano piano riuscirò a fargli capire, con l’esempio della mia parte di orti disordinata, che lasciare le infestanti al loro posto e permettere alle piante di fare il loro corso è cosa buona e giusta. La speranza è l’ultima a morire…
Un abbraccio
Rieccomi!!
Sei finita fra le mie magie d’autunno con questo post. 🙂
http://www.naturalentamente.it/magie-autunno/
Shanti <3
Wow! Ho imparato tante cose da te e leggo avidamente ciò che scrivi! Diciamo che vivo nell’ombra e non mi ero mai decisa a farmi viva! Anch’io vivo la vita di campagna, …dopo il lavoro, dopo le notti che una bambina meravigliosa di 18 mesi interrompe con le sue esigenze, poi ci sono le oche ti svegliano schiamazzando sotto la finestra… dalle oche prendo solo le uova, non le mangiamo …in mezzo al caos naturale della Natura… il nostro orto ha ancora fagioli, fagiolini e melanzane… radicchio che continua a produrre al suo secondo anno di “lavoro”… sta diventando una pianta perenne!