Potrebbe essere una possibilità. Nessuno si spaventi, c’è un punto di domanda.
Sono un po’ assente perché sto recuperando giorni e giorni di lavoro perso per l‘avventura di ritorno alla preistoria di cui vi raccontavo nel precedente post. Approfitto dell’occasione per aggiornarvi, avendo ricevuto diverse email di persone che volevano sapere com’era andata a finire.
Quindi, prima di passare al resto, eccovi l’aggiornamento in tre simpatici punti elenco, una cosa da non fare mai al di fuori dei testi tecnici. Ma io sono io.
1) L’Enel ha risposto alle richieste di tutti, privati, commercianti e aziende con un’unica email preconfezionata in cui si dice che siamo stati colpiti dalla celebre “neve collosa“. Voi sapete cos’è? No? Nemmeno io.
Purtroppo non è presente in nessuno dei miei libri. Voi direte, ma che libri hai? Meteorologia? Sì, anche, perché come molti ricorderanno, tra le mie avventure di vita in Italia c’è stato anche insegnare inglese per la navigazione aerea in un istituto aeronautico. Questa esperienza mi ha lasciato qualche competenza sui cumulonembi e qualche volume di navigazione aerea e meteorologia. Devo quindi fare un appunto a tutti gli autori dei sopracitati volumi per l’imperdonabile assenza della voce “neve collosa“. Cosa sia, lo sa solo l’Enel. Comunque ci informano che, a causa della neve collosa, la colpa dei disservizi non può essere imputata a Enel. La quale pertanto non rimborserà nulla. Fine della discussione.
No, non è uno scherzo, chi vuole può richiedermi una foto della lettera dell’Enel sulla neve collosa.
2) Tutti i giornali a cui abbiamo scritto hanno inspiegabilmente ignorato la questione. “Inspiegabilmente” è ironico in questo contesto, dato che in Italia abbiamo molto amore per la condivisione dei consigli di amministrazione, dai giornali alle partecipate statali, alle aziende.
E sì, signori, ho scritto anche Il fatto quotidiano e Il manifesto, non pensiate che abbia scritto solo a Topolino. Su suggerimento di alcuni che commentavano nello scorso post e mi sollecitavano via email, ho scritto anche personalmente a questi quotidiani proponendo la mia noiosa prosa.
Zero risposte, nemmeno un vaffa.
Questa è la considerazione della lamentosissima editoria italiana per i propri lettori. Sono troppo impegnati ad auto-compiangersi per la mancanza di fondi e chiederne a noi altrettanti per gli spauracchi della chiusura. Ho scritto anche a Peter Gomez che, quando scrivevo con uno pseudonimo maschile su materie economiche, si era iscritto ai miei tweet. Ma come lettrice donna sull’Appennino mi sono declassata, non interesso. O gli è finita l’email nella cartella spam, anche se di norma succede solo alle aziende quando mando delle fatture.
Quindi, noi 80mila senza servizi primari per una settimana resteremo uno dei tanti misteri italiani. Non siamo mai esistiti. Un po’ come la neve collosa. Io ve l’avevo detto che non era successo niente!
Guardiamo però il lato positivo, è un risparmio in più: i soldini per questi giornali vanno nel mucchio per i progetti futuri.
Secondo me, comunque, da Topolino mi avrebbero almeno risposto. Prossima volta scrivo a Nonna Papera. Se non mi risponde, ho almeno la scusa che è un personaggio di fantasia.
3) Stanno ancora aggiustando qualcosa, quindi la corrente va e viene. L’Enel nega. In pratica segnalo dei guasti che non ci sono. Siamo un paese di visionari. Poi ci sono giorni che il centralino delle segnalazioni guasti è irraggiungibile, perché siamo così visionari che abbiamo tutti le stesse allucinazioni collettive e telefoniamo in massa all’Enel.
Una delle poche volte che sono riuscita a parlare con un addetto Enel, ho chiesto come fare per il rimborso del termostato del frigorifero che è morto all’ennesima scarica di ritorno. Mi hanno risposto che devo chiamare un tecnico, farlo aggiustare e farmi scrivere che il termostato si è rotto per colpa dell’Enel.
Il tecnico mi ha risposto che lui non è il RIS di Parma e che non c’è nessuna possibilità di dimostrare che il termostato si sia rotto per quello e non, per ipotesi, perché ho lasciato l’asciugacapelli acceso dentro il congelatore o usato il No-frost per raffreddare la polenta. In ogni caso non può rilasciare perizie scritte sulle dinamiche di rottura, come sa benissimo anche l’Enel, ma solo scrivere che pezzo si è rotto e cosa ha sostituito.
Quindi per i rimborsi… ciaone.
Gente, io però ve lo dico dal profondo del cuore: piuttosto che andare a far parte delle schiere di expat che si leggono sulla stampa italiana (specialmente quella di cui sopra) mi farei un’altra settimana in balia dell’Enel.
Gli expat della stampa italiana li detesto. Ma, grazie alle mancate risposte dei giornali sopra, ora non li leggerò più. Che sollievo.
Per chi non lo sapesse gli expat della stampa italiana, sono tutti casi reali e vicini a noi, del tipo:
Pierfrancesco Spatoletti Torre di Porziacelata racconta: “in Italia c’è paura delle sfide, in Africa sono una risorsa”.
“Mio padre aveva un’azienda a Brescia ma facevamo solo 2 milioni di euro l’anno, un po’ pochino, così sono andato a Capo Verde in vacanza e già che ero lì ho aperto un chiosco di banane sulla spiaggia. Ora sto benissimo, le banane tirano molto a Capo Verde e i capoverdiani sono sempre in fila davanti al mio chiosco. Faccio 4 milioni di euro l’anno esentasse, ho sposato una fotomodella che guadagna più di me perché qui c’è la meritocrazia. Abbiamo fatto 8 figli in 3 anni perché qui ci sono i servizi e per le neomamme c’è anche l’ostetrica che viene a casa per una settimana dopo il parto, la colf gratis, la pedicure e un cesto di frutta”.
Ecco, io invece sono nell’altra schiera. Quella che si è fatta un mazzo così per costruire qualcosa di onesto (errore!) in questo Paese (doppio errore!) e ha tenuto duro fino all’ultimo per non cedere e restare, credendoci.
Solo che mi sto facendo mangiare viva dalle tasse e dall’esosità boriosa di chi deve girare tutti i giorni in elicottero e addebitarmi anche la manicure.
Volevo solo fare il mio lavoro, avere una vita semplice e frugale, vivere in mezzo a un bosco, produrmi gran parte del necessario e ce l’avevo quasi fatta a realizzare questo tipo di vita. Non fosse che devo lavorare 16 ore al giorno per pagare tasse su tasse. Solo questa settimana ho 525 euro di Tarsu per una casa di 110 mq e con tutto che composto nell’orto! Come dice la mia metà, è un po’ troppo contando che l’immondizia ce la mettiamo noi!
Motivo: niente differenziata.
Cosa ci possiamo fare? Niente.
Il comune non è attrezzato per la differenziata nelle frazioni, che quindi pagano di più. Protestare è inutile. Il nostro consiglio comunale montano è impegnato, come mi ha riferito qualcuno, a “farsi i selfie con il dito medio alzato e la bocca a culo di gallina“. Non ho capito nello specifico, non li conosco, ma temo si riferisse all’impegno del consiglio comunale nell’emergenza neve.
Figuratevi cosa fanno quando gli chiediamo la raccolta differenziata nelle frazioni!
In ogni caso io posso coltivarmi quanti cavoli voglio, ma la Tarsu la devo pagare in denaro contante, non in cavoli. L’autoproduzione e la decrescita possono poco contro l’esosità delle tasse italiane.
Invece di perseguire i miei sogni di vita frugale, a causa della gestione scriteriata di questo Paese sono finita a distanza di una decina di anni a lavorare più di quando avevo deciso di lasciare Milano, per il solo fatto che il peso fiscale effettivo è il 63%. In pratica, posso tenere solo il 37% di quello che guadagno. Sempre che i clienti decidano di pagare, perché in Italia c’è quest’altra bella usanza. Puoi contare di incassare solo l’80% del lavoro che fai e da lì devi togliere il 63% di tasse (*). Lo Stato ovviamente non partecipa alle perdite, solo agli utili.
E’ troppo poco. E’ impossibile investire sulle strutture, ingrandirsi. E’ impossibile ottenere fondi per l’ampliamento e ultimamente ci fa anche paura espanderci, soprattutto prendere nuovi clienti, perché domani mattina puoi trovarli chiusi con mesi di lavoro in fumo. E’ dal 2010 che rifiutiamo qualsiasi lavoro con enti pubblici, sono quelli che pagano meno di tutti, spesso la scadenza è mai.
Insomma, non sto qui a farvi tutto il dettaglio di quello che non va. Ma a volte mi sento come gli ebrei tedeschi nel 1939, con tutto il rispetto per l’Olocausto. Mi riferisco a quei tanti che, prima di vedere i campi di concentramento, hanno creduto nel cambiamento, quelli che pensavano fosse una cosa passeggera, che sarebbe passata, che non valeva la pena lasciare il proprio paese, la casa, i beni ecc. Mi viene da pensare che dobbiamo ricordarci la storia.
E se anche noi fossimo noi, oggi, i buonisti che non vedono quel che sta per arrivare?
Oggi non siamo perseguitati per religione, ma per ceto: siamo il ceto che devono spremere all’infinito per mantenere quell’impero di corruzione. Non se ne viene più fuori. Neanche auto-producendo gran parte del necessario.
L’arroganza e la lentezza che dell’Enel, un monopolio privatizzato che sarebbe illegale in tutti gli altri paesi europei, insieme ad altre manifestazioni che abbiamo ricevuto negli ultimi anni da enti pubblici e inutili, ci hanno chiarito solo una cosa: l’Italia è una dittatura. Non è più una repubblica, non abbiamo nemmeno un governo eletto dal popolo.
La Treccani definisce le dittature come “sistemi di governo contraddistinti da una forte concentrazione di poteri nelle mani di un individuo o di un gruppo ristretto di individui, ma ha perduto del tutto (o quasi del tutto) qualsiasi riferimento al carattere eccezionale, limitato e temporaneo di tale concentrazione di poteri e soprattutto alla sua natura ‘costituzionale’. ”
Vi ricorda nulla?
Ci siamo dati qualche mese per decidere in via definitiva, anche se abbiamo già qualche buona offerta e qualche posto da visitare. Nel frattempo cercheremo di alleggerirci il più possibile e anche di risparmiare il più possibile.
La primavera e l’estate le utilizzeremo per giri esplorativi. L’idea è di restare ai confini dell’Italia, ma dovendo trasferire anche il lavoro, abbiamo molto da studiare sulla materia fiscale.
Oggi pensavo all’eventualità di un ennesimo trasloco e alla quantità di cose che abbiamo ancora di troppo. Sarà una buona occasione per un ulteriore pulizia mentale e materiale. La mia paura è di ritrovarci a vivere come la coppia all’inizio di UP!, a rincorrere le bollette e basta, oppure di traslocare a costi esorbitanti perché zavorrati dalle cose non essenziali.
(Avviso per le mie amiche: il food processor Kitchen Aid è essenziale, non ci pensate nemmeno!)
Voglio pensare a questo, oggi, a una possibilità di rinascita e non alla rabbia per l’essere praticamente costretti ad andare via per sopravvivere. Questo è il mio Paese, non è giusto. Ma me la devo far andare giù.
Impegnata e combattiva lo sarò sempre, ma non posso sprecare altri anni a sovvenzionare un’orda di arricchiti cafoni incapaci che a forza di eleggersi tra loro e infilare amici, parenti e zoccole qui e là, hanno ridotto il paese al set di Idiocracy (se non l’avete ancora visto, cercate di farlo: se non l’hanno distribuito in tutti i cinema c’è un grosso perché, potreste capire troppo. E non preoccupatevi delle poche stellette, fa ridere e riflettere solo gli intelligenti informati, agli altri sembra la normalità).
Andare o restare? Chi lo sa.
Intanto semplifichiamo tutto, meno di tutto e più leggerezza. Di solito aiuta anche a pensare.
Le immagini sono tratte tutte dal film UP!, consigliato caldamente, è un film di animazione stupendo, con dei colori magnifici, una storia delicatissima e piena di livelli di lettura. A me piace il discorso sul cosa è davvero indispensabile e importante nella vita. Adatto anche per i bambini.
—
(*) Qualcuno mi ha fatto notare che le tasse si pagano sul 100% delle fatture, anche le non riscosse. Ecco, questo almeno lo evitiamo da anni: fatturiamo solo al momento del pagamento effettivo, si chiama tecnicamente “fattura e iva per cassa“. Lo consiglio caldamente se si fattura in Italia: prima si manda la nota di pagamento, se pagano si emette la fattura. Se non pagano, niente fattura, così ci si perde “solo” il lavoro e non ci si pagano sopra le tasse.
76 Commenti
- da quando ho 21 anni vivo fuori da casa dei miei. Ho fatto l'università lavorando, mi sono laureata in corso e con il massimo dei voti, con pubblicazione della tesi. In gergo si chiama 'dignità di pubblicazione', è rarissimo. Hai idea di quanto bisogna lavorare e impegnarsi per una cosa del genere?
- appena uscita dall'università ho lavorato con vari contratti accademici che si possono riassumere come "ricercatore". Mi sono impegnata al massimo, ero obiettivamente molto brava e materialmente senza raccomandazioni. Ho avuto tre offerte in quegli anni per andare all'estero, da tre università: UCL di Londra, Toronto e Tokyo. Sono rimasta in Italia. Pensavo nella mia ingenuità di ventenne di farcela comunque, anche senza raccomandazioni, amicizie e storie di letto con vecchi baroni ottantenni bavosi. Invece dopo essermi vista passare davanti schiere di raccomandati tra cui il figlio della preside di facoltà (che peraltro non voleva nemmeno il posto ma insisteva la madre), il figlio del direttore dell'istituto di anglistica nonché addirittura una signora che non sapeva nessuna lingua straniera ma ha vinto il concorso per un dottorato in lingue comparate il cui esame scritto era in due lingue… beh, a quel punto ho dovuto abbandonare la carriera accademica. Ma sono sicura che già lo sapevi, essendo assidua lettrice del blog. Tu, Graziella, quante volte hai dovuto mollare il lavoro che stavi facendo e che amavi moltissimo, per reinventarti completamente in un altro?
- Non che fuori dall'università le cose siano andate meglio. Brava ero brava, perché mi cercavano tante aziende, non dovevo nemmeno mandare i curriculum. Ma i contratti per la mia generazione sono una sequela di posti a tempo determinato, specialmente se sei una donna. C'è stata persino un'occasione in cui un'azienda parastatale, DigiCamere, mi ha fatto non ricordo più se tre o quattro contratti di fila come sostituzione maternità di dirigenti che non c'entravano niente con il lavoro che facevo io, dicendomi che non potevano assumere perchè avevano dei problemi con alcuni dipendenti in mobilità. Poi un giorno ho accettato un contratto in un'altra azienda, sempre a tempo determinato e sempre con la promessa del "dopo indeterminato" e sai... mi hanno fatto un'offerta in un'ora per restare: stipendio più alto e tempo indeterminato. Ma avevo già firmato dall'altra parte. Quello che è entrato al mio posto, oltre ad essere meno qualificato era un uomo: contratto a tempo indeterminato da subito. Tu, Graziella, quanti contratti a tempo indeterminato hai fatto fino a oggi? Quanti ne ho fatti io lo sai, perché leggi il mio blog. Ma ti rinfresco la memoria: https://www.erbaviola.com/2013/11/16/la-societa-del-cambiamento-e-i-tanti-lavori-che-ho-fatto.htm
- da più di dieci anni non faccio vacanze, uso i soldi che guadagno per divulgare uno stile di vita diverso dovunque abbiano voglia di ascoltarmi. Questo ben prima che uscisse il primo dei miei libri, casomai stessi pensando che lo faccio per vendere libri (e se vedessi quanto prendo di diritti d'autore lo penseresti ancora meno). Anni dopo, i libri hanno cominciato a finanziare in parte queste conferenze che sono servite a tanta gente per riuscire in un cambiamento che non conoscevano o in cui si sentivano soli. Oggi però sono arrivati i nuovi guru della decrescita, gente che vende a decine di euro dei corsi su come farsi i detersivi in casa. Chi come me si è sempre impegnato davvero per cambiare i consumi e fare informazione si è ritrovato ad aver fatto solo - gratis- da apripista a questi sfruttatori della moda 'ecogreen'. Nonostante questo schiaffo morale, ho continuato ad andare gratis dove mi chiamavano. Ci ho creduto nel cambiamento e ci ho messo materialmente molto, in denaro, non solo a parole. Tu quand'è che sei andata in vacanza l'ultima volta Graziella? Io non ci vado da 12 anni. Ho passato primavera-estate-autunno di 12 anni a fare divulgazione per cambiare il modo di consumare in questo Paese. Tu?
- Nel 2005 dopo anni di sacrifici siamo riusciti a comprarci una casa con terreno nel parco del Ticino, in Lomellina. Niente aiuti da genitori, eredità o altro, solo il nostro lavoro. Ma nel 2007 il Comune di Vigevano ha approvato un nuovo piano regolatore e la costruzione di una centrale per oli combusti in piena zona protetta. Abbiamo lottato, fatto comitati, se tu avessi letto questo blog avresti seguito tutta la storia. C'è ancora, cercala, è durata due anni. Ad anni di distanza, vivendo ormai a 400 km da lì, mi occupo ancora di difesa del territorio in quelle zone, non mollo. Se vuoi un piccolo riassunto della situazione: https://www.erbaviola.com/2011/04/13/la-devastazione-scientifica-del-territorio-italia.htm Ti è mai capitato, Graziella, di dover svendere casa tua per forza, di restare senza una casa ed essere condannata all'affitto perenne? Riesci lontanamente a immaginare cosa voglia dire?
- Nel 2008 il Comune di Vigevano mi contattò per un progetto sul biologico, perché ero tra i pochi in Italia che sapevano muoversi tra la legislazione europea, i piani di sviluppo rurale e la richiesta di fondi. Ho lavorato per loro nove mesi, dopo i quali hanno preso il progetto intero, che si chiamava Mercato Ducale, l'hanno chiamato Mercato Sforzesco e trasferito in blocco a Coldiretti, Ente risi e non so chi altri della cricca. Non mi hanno pagata. Non mi dilungo su battaglia legale e dettagli, avrai già sicuramente letto tutto su questo blog. Ti è mai capitato Graziella di lavorare 9 mesi gratis? Hai mai provato a fare 9 mesi senza stipendio con un mutuo da pagare?
- Sorvolo su molte altre mie attività di protesta, impegno, lotta, altrimenti devo riscrivere il blog e mi pare ridondante. Prova con la sezione "Appelli e boicottaggi". Arrivo a una delle ultime lotte impegnative: la protesta contro le trivellazioni per la ricerca di idrocarburi. Forse hai perso questi post, Graziella: https://www.erbaviola.com/2011/05/20/state-attenti-al-vostro-territorio.htm
Tu, Graziella, hai 50 anni, il che significa un paio di generazioni prima della mia. Hai vissuto il boom economico degli anni '80-'90 e le aziende che assumevano. La mia generazione non ha trovato nemmeno le briciole. Io, con una laurea a pieni voti e un master, non ho mai avuto in vita mia un contratto a tempo indeterminato. Ai tuoi tempi si facevano al massimo un paio di contratti determinati prima di avere un posto assicurato, era scontato. Oggi no. Tu hai solo la fortuna di essere nata prima e di aver affrontato i problemi di adesso con la sicurezza di una casa tua, un lavoro stabile. Dovresti viverli con più comprensione per chi queste cose non le può avere. Non hai idea di cosa sia il senso straziante di precarietà che devi vivere giorno dopo giorno e che forza ci voglia per fare le lotte di cui sopra e restare qui.
Noi, Graziella, a quarant'anni siamo stanchi di vivere, sia chi fino a oggi ha lottato come me che chi non lo ha fatto ed è stato solo vittima della contingenza. In virtù di questo, Graziella, da persone come te dovrebbero arrivare parole di incoraggiamento se volete farci restare. Che senso ha alzare il dito della maestrina e farci lezione perché voi avete lottato per la legge 40? Grazie, anche io l'ho fatto, e sai che ti dico? E' una passeggiata. Non c'è la Polizia che ti carica se vai a fare un corteo per la legge 40. Ti invito invece a venire a una manifestazione in difesa degli sfrattati, poi parliamo di lotta, impegno e di quello che si può fare.
Io non riesco a capire perché hai scritto questo messaggio, sinceramente. Non capisco il fine. Cosa volevi ottenere, di farmi una lezione? Caschi male, sono in pochi a potermi parlare dall'alto del "io si che mi impegno", ma di solito sono persone che hanno l'intelligenza di non farlo. E' una lezione che potrei accettare da Gino Strada, non da chi mi fa notare che in Francia le tasse sulla casa sono quanto le nostre. Io, grazie a quello che è questo Paese, una casa non posso possederla. Ce l'avevo, l'ho dovuta svendere e fine. Non me li pongo i problemi sulle tasse della casa, beata te che puoi. (si fa per dire…) Non so davvero cosa volevi ottenere, non lo capisco. Ma forse, il tuo parlare qui per la prima volta dopo tanto che leggi questo blog, è davvero solo l'esempio dell'italiano medio: mi hai letta per anni, stando a quello che dici e mai una parola positiva. Mai che ti fosse scappato un "ciao, ti leggo con piacere" o "ciao, sono veramente contenta che la protesta alla Coop abbia avuto effetto" (cercala) No, niente. Però la prima volta che non ti va quello che scrivo, mi fai una piazzata.
Secondo te, dopo queste tue parole avrò più voglia o meno di restare in questa nazione e lottare per i diritti di tutti, anche dei tuoi?