Sembra che gli italiani si stiano dividendo in due settori: quelli che vogliono essere guru di qualcosa, specialmente se il qualcosa vanta più di un hashtag, e quelli che hanno la necessità di avere un guru da venerare. Queste due parti del popolo si incontrano, si amano e scatenano guerriglie da far impallidire un dittatore del terzo mondo. Ogni guru ha il suo esercito di fan che si scannano per le questioni più stupide.
Ho visto gente insultarsi per una teoria sulla depurazione tramite digiuno. L’ha detta prima il suo guru o quello dell’altro? Intere webfarm e file di server alimentati a gasolio per dirimere l’importantissima questione. Ve lo dico io: i Giainisti di Mahavira nel VI secolo a.C. Ora la nostra vita può proseguire?

Chop Suey, 1929, Edward Hopper
Vedo gente persa nell’ammirazione dell’ultimo vip vegan, che di solito è vegano da un mese e nemmeno tutti i giorni. O l’ultimo vip che fa la decrescita, o meglio quello che ha finito i soldi e cerca di spacciare la miseria per decrescita. Vedo gente che, citando involontariamente Guccini, si è persa dietro alla filosofia del suo maestro di yoga, filosofia che il maestro si è inventato da sé, dato che è più facile inventarne una nuova che acquisirne una vera in anni di duro lavoro. E via così fino al guru politico che emerge con i soliti fraseggi demagogici che infiammano le file degli analfabeti, oggi la maggioranza, fino al guru delle zuppe di fagioli*. C’è un guru per tutto.
Nella maggior parte dei casi si tratta di un improvvisato che prende a man bassa da chi lavora sull’argomento da anni, ci butta dentro un po’ di marketing e di visibilità (tanto non ha altro da fare, deve solo rivendere il lavoro altrui) ed ecco confezionato fresco fresco il nuovo esperto. Il guru. Lui. Con corsi da mille euro al giorno, anche se il tema è solo come mangiare verdura e frutta crude. Io mi chiedo come facesse l’uomo paleolitico a fare la dieta paleo senza un corso da mille euro.
Fino a qui, nulla di strano: mi sorprenderei piuttosto se questi guru, dei puri narcisisti sociali, sparissero improvvisamente. Quello che mi sorprende, invece, è la quantità di gente che ha la necessità di eleggerli a proprio guru di vita.

Automat, 1927, Edward Hopper
Chi ha bisogno di avere un guru? Senz’altro abbiamo bisogno tutti di avere buoni maestri, ma non guru.
Il guru è egoista, richiede un’attenzione esclusiva, un tributo al suo narcisismo sempre in ascesa, la devozione a tutti i suoi insegnamenti e il disprezzo degli altri.
Vi sorprendereste di scoprire quanti guru abbiamo intorno: per esempio quelli che divulgano un argomento e disprezzano chiunque altro parli della stessa cosa. Il disprezzo della ‘concorrenza’ io lo prendo sempre come un segnale di allerta… ‘gurismo‘ in modalità avanzata.
Ci sono anche quelli più sottili: disprezzano i colleghi connazionali e cercano di apparire generosi citando pateticamente solo gli stranieri (che non rischiano ovviamente di sottrargli pubblico, i fan del guru sono tordi, ma difficilmente attraverseranno l’oceano per una conferenza del concorrente). Oppure citano solo i discepoli prediletti, suoi maggiori fan e promulgatori del gurismo verso il loro mentore: il discepolo entusiasta è un’arma fondamentale per fare proseliti.
Ci sono, pensate, dei guru che copiano pedestremente un’idea da un economista francese e ripubblicano le stesse identiche cose rimaneggiandole a proprio nome, forti del fatto che gli italiani sanno poco le lingue e leggono pochissimo in generale. Poi ci costruiscono attorno un movimento e raccolgono proseliti che hanno la necessità di identificarsi con un gruppo, solo perché se ti fai in casa il pane da solo sei un pezzente, ma se c’è un paravento di motivazione economico-ecologico-chic, allora sei un decrescitore. E questo è il miglior substrato per il guru, uno che di solito va in giro a dire di fare qualcosa e poi a casa sua fa tutt’altro, ma non importa. L’italiano medio non vuole coerenza, vuole gurismo. “Gurismo” è anzi un neologismo che mi permetto di proporre, insieme a “Guresimo”, come dovrebbe essere chiamata quest’epoca, alla faccia del Neo-umanesimo proposto anni fa da Sarkar. La liberazione dell’intelletto è ormai utopica, niente Neo-umanesimo, qui siamo in pieno Guresimo, l’epoca in cui impera il gurismo.

People in the Sun, 1963, Edward Hopper
Io preferisco avere dei buoni maestri, a cui sono infinitamente grata per gli insegnamenti, ma che sono persone e come tali hanno dei limiti, come me. I miei maestri non li ho ancora incontrati tutti (voglio sperare, se no sai che vita noiosa!) e li posso apprezzare anche solo in parte, la loro filosofia può non coincidere del tutto con la mia, a volte mi hanno fatta riflettere su qualcosa, cambiare una posizione, migliorare, evolvere.
Non sento il bisogno di nessuno a cui assomigliare totalmente o che richieda una completa attenzione ai suoi pensieri e la denigrazione di ciò che fanno gli altri. Non sento il bisogno di nessuno da osannare ma conosco e ho conosciuto persone che mi hanno entusiasmata o mi hanno trasmesso idee importanti. Non sono fan. Sono grata.
Mi è capitato di rileggere per caso questo pensiero di Krishnamurti, mentre stavo acquistando alcuni libri. Krishnamurti anni fa è stato uno dei miei maestri di libertà spirituale e di pensiero, un uomo illuminato che ha passato la vita a spiegare che ognuno deve essere il guru di se stesso, che si può apprendere un po’ di Verità dagli altri ma che bisogna tirare fuori il resto da sé. I suoi libri mi hanno dato molto e ritrovare oggi, casualmente, proprio questo pensiero è stato illuminante, in un periodo in cui sto rivalutando molte scelte e molti impegni.
“Io non voglio decorare le vecchie gabbie; e non voglio nemmeno demolirle; poiché, anche quando si arrivasse a demolire tutte le prigioni degli uomini, questi ne costruirebbero delle altre e ne decorerebbero le pareti. Ciascuno deve imparare a liberarsi da sé medesimo.
Il mio scopo è di far nascere negli uomini il desiderio di infrangere tutte le gabbie e di risvegliare in essi la volontà di scoprire la Verità, la Vera Felicità.” (da Ai piedi di Krishnamurti, Blu International Reminder, 2004)
Ecco, quando ho cominciato, ormai quindici anni fa tramite il blog e poi con i libri, il mio scopo era quello di trovare altre persone che facessero questo tipo di scelte e condividere con chi cominciava le poche istruzioni per l’uso che avevo maturato in questo percorso, fossero queste come fare un orto in permacultura o solo come fare un oleolito. Quando mi chiedevano perché lo facessi, soprattutto i primi anni in cui tenevo conferenze gratis in piccole associazioni in giro per l’Italia e non avevo pubblicato nulla, rispondevo che volevo riuscire a cambiare un pezzo di mondo, che se anche una sola di quelle persone che mi ascoltavano fosse andata via portandosi il meme di come vivere in modo più sostenibile e l’avesse fatto circolare, trasmesso ad altre persone, allora era valsa la pena di farlo.
Penso ancora che sia così, nonostante tutto, nonostante l’affollamento di guru dell’autoproduzione, guru della decrescita, del vegetarismo, di tutto. Anche nonostante le critiche che possono arrivare per alcuni argomenti, nonostante qualcuno cerchi di farti diventare il guru a tutti i costi, anche se non ti vuoi affatto investire di questo ruolo e vorresti avere le parole per spiegargli al volo, con una sola frase, che nessuno ha bisogno di un guru, solo di buoni maestri, come tutti.

20 Commenti
C’è un guru per tutto, ma anche di più.
Senza un guru, o qualcuno che ci illumini con la sua opinabile opinione. l’italiano non si muove.
Prima era la televisione “l’hanno detto al Tg, è vero per forza”, ora lo dicono i guru o internet.
Non abbiamo un’idea propria, una coscienza, un desiderio, veramente nostri: la maggior parte delle persone vive, desidera, crede nelle idee altrui. La coscienza ormai è al di fuori di noi, la “conoscenza” è nelle mani dei tanti che con fare spavaldo raccontano panzane alle quali abbocchiamo.
Non siamo più in grado di capire cosa e come mangiare, non riusciamo a pensare al concetto di risorse limitate a nostra disposizione, ma ripetiamo a pappagallo concetti che ci hanno appiccicato addosso con lo sputo. Gli stessi concetti che ci stanno velocemente portando verso il baratro, come i Dodo de “l’era glaciale”.
Il guru serve perchè le persone non hanno più spina dorsale, personalità, fiducia in sè stesse.
Il guru si segue con fede cieca perchè quando non hai valori tuoi in cui credi e che sostieni con consapevolezza, ti attacchi ad ogni bandiera e combatti per essa ciecamente.
Il guru è come il vetrix de “il mio grosso grasso matrimonio greco”… risolve tutto.
Pertanto, erbaviola, come osiamo noi parlar male di una così salvifica istituzione?
E invece il Guru dei fagioli esiste…è il fagiolo dal terz’occhio….
giusto!!! quasi, quasi ti eleggo mio guru 😉
Seguo da un po’ di tempo il blog ma finora non sono mai intervenuto.
Bello questo articolo, nell’ultima parte sembra che ti sia fermata un attimo per chiederti… perché lo faccio?
Grazie per aver condiviso la tua risposta, aiuta a tenere alto il morale di chi vorrebbe intraprendere un percorso del genere e rompere le proprie gabbie per essere finalmente (più) liberi!
Ciao
PS: se esistesse un guru delle zuppe di fagioli 🙂 forse sarebbe l’unico da seguire…
Grazei! Beh allora se deciderò mai di reinventarmi guru, mi dedicherò alle zuppe di fagioli, in effetti mi piacciono parecchio!
Ciao, anche io condivido le opinioni di Barbara, penso anche che la cultura della introspezione nasca sui banchi di scuola, ad oggi non c’è spazio per fare riflettere i ragazzi sul senso delle cose e delle scelte.
Molti anni fa ho avuto in prima superiore una prof che con un discorso illuminante mi ha aperto la mente, per me è stata una scossa elettrica dalla quale ricavo tuttora spunti che mi aiutano, criticamente, ad affrontare le questioni della vita; forse è stata il mio primo vero maestro, ne ho avuti altri successivamente, ma lei rimane quella che ha innescato la consapevolezza della mia personalità e di come viverla.
Sono una mamma oggi che si chiede se la nostra cultura ed il modo di esplicarla possa fare crescere degli individui in grado di scegliere…
Marcella
per l’esperienza tragica che ho avuto io della scuola italiana pubblica, posso solo confermare. Avendo fatto scuole private e avendo poi insegnato per qualche tempo in altre private, pensavo stupidamente che funzionassero nello stesso modo anche le pubbliche, che il programma ministeriale fosse uguale per tutti. Non parlo chiaramente delle scuole che vendono diplomi ma delle private vere, dove la qualità della formazione è di alto livello.
Ho fatto poi un anno e mezzo di supplenze in diversi licei pubblici e mi sono spiegata molte cose come l’imbecillità di voto in Italia. Primo i ragazzi sono costretti a non pensare, sono caricati di esercizi a risposta multipla, tutto è ridotto a dove mettere la crocetta o riempire lo spazio vuoto. Non gli viene insegnato a parlare, l’esposizione di un concetto di filosofia e la discussione con l’amico al bar hanno lo stesso tenore, basso. Se osi fare qualcosa in più di quello che c’è sui libri (cosa che nelle scuole private è normale, il docente non è l’esecutore del libro, è un docente vero) allora si scatenano i genitori. Io ho avuto tre madri che sono venute a parlarmi come se andassero in guerra perché avevo osato dedicare un’ora alla settimana all’ascolto e traduzione di canzoni in inglese. Due hanno protestato perché era un esercizio che non c’era sul libro, una perché alla figlia non piacciono i Metallica e quindi non poteva fare l’esercizio della settimana prima (la canzone veniva scelta con votazione della classe). Sono dovuta tornare al libro, spiegando l’inglese a dei diciottenni con “Today Mary …. to school”. Riempi con il verbo corretto.
Ci vogliamo lamentare di generazioni di incapaci di pensare?
E certo, ci sono anche alcuni sparuti professori che fanno con passione il loro lavoro e bla bla bla. Sono più che sparuti e lavorano comunque su una formazione di livello basso. Ormai non so nemmeno se conoscono la differenza, è tutto livellato al ribasso.
“Senz’altro abbiamo bisogno tutti di avere buoni maestri, ma non guru.”
Sarebbe davvero da scolpire nella pietra.
O meglio diffondere nel vento.
Come ha scritto Barbara qui sopra, i guru nascono perchè la gente preferisce affidarsi anima e corpo (e portafogli) a qualcuno piuttosto che mettersi a riflettere e prendersi la responsabilità delle proprie decisioni. Anni fa mi sono iscritta ad un corso di yoga con l’intenzione di approfondire una disciplina che mi interessa molto, per ritrovarmi invece in una pseudo setta con l’insegnante guru che dispensava giudizi e consigli assolutamente non richiesti in ambiti che vanno molto al di la dello yoga, e guai a cotraddirla. Ma la cosa che più mi ha stupita non era tanto l’insegnante, ma i suoi allievi seguaci. Mai un dubbio, mai una critica, mai un’obiezzione. Ho visto coppie di cinquantenni firmare assegni di 10 mila euro per imprescindibili seminari e acquistare ogni genere di inutile gingillo che poteva “curare la propria anima”. E’molto più facile mettere il cervello sul piatto di uno sconosciuto piuttosto che pensare con la propria testa.
Come ha scritto Terzani ” C’è questa idea generale che ci sia bisogno di “uno che fa luce”. Che la faccia, ma poi tocca a noi giudicare, valutare, fare la nostra esperienza”.
ah se per quello io ho visto gente che si lamentava per aver pagato 6mila euro un corso di crudismo per professionisti della ristorazione tenuto da un ex piadinaro di strada con la terza media. Non gli è venuto proprio il dubbio che questo insegnante improvvisato non fosse in grado di tenerlo? Ma la parte migliore è che quando hanno gridato a gran voce “truffa truffa” e gli si è fatto notare che avevano tutti gli elementi a priori per non cascare in un raggiro del genere, si offendevano. Non sono loro che non hanno notato che costano la metà i corsi veri delle scuole di cucina professionali, oppure che non hanno valutato che una persona impreparata sulla tecnologia alimentare non può tenere un corso del genere… no. Sono stati “truffati”. Perché c’è anche questo da dire: c’è una massa di ingenui con soldi da buttare che seguono questi guru e invece di realizzare che sono dei furfanti, preferiscono dire che sono stati “truffati”. E poi via con il prossimo guru, perché ne hanno sempre bisogno uno.
Ciao Grazia, ben ritrovata.
Altrettanto colpevolmente io sono affetta dalla sindrome opposta, un ipercriticità ed una diffidenza elevata, spesso ecessiva nei confronti di teorie e teorici, l’incapacità di sentirmi davvero parte di qualche gruppo. Riesco solo ad abbracciare “Fratello Dubbio”. Così rompo le scatole e chiedo, non accetto risposte “è così perché te lo dico io”
Anche il voto è diventata un’operazione travagliata.
Forse i gurù sono di moda perché semplificano la vita.
Tante buone cose Erbaviola.
Io non so quanto semplifichino la vita, mi pare che la complichino: devi fare un sacco di cose che altrimenti non ti sogneresti mai di fare e che magari ti annoiano pure, ma tutto pur di rimanere nella cerchia del guru e nel suo gruppo sociale. Forse avere la sindrome opposta aiuta sai, son tempi in cui essere un po’ scettici è meglio. Un abbraccio Vera!
Dal mio punto di vista il gurismo agìto e subìto sono veicolati e accompagnati da un uso stravolto della parola.
Chi segue il guru trasforma le parole in mantra: non fa da sè, “autoproduce”; non dà valore alle persone e al loro lavoro, “fa scelte equosostenibili”; non dà valore agli oggetti, “declutterizza”; non evita di inquinare e sporcare, “vive ecologico”. Fa niente se poi per “autoprodurre” getta la ciotola che ha da 20 anni per comprare il nuovo “kit bio per l’autoproduzione”, assemblato da un bambino in una fabbrica di Taiwan che scarica dibutilftalato nel Tamsui.
Chi si presenta come guru invece dal canto suo sfrutta questo uso amuletico della parola per perseguire il suo interesse, se va bene narcisistico, molto più spesso commerciale. E per metà del tempo ti convincerà che è bene autoprodurre, non inquinare, fare scelte etiche. Tutte caratteristiche che guarda casa il suo prodotto esalta e meravigliosamente più degli altri anche…
Forse per salvarsi dal gurismo occorre che tutti noi, soprattutto quando si tratta di temi importanti e delicati come quelli legati alla Terra e al suo futuro, ritorniamo ad utilizzare anche la parola in modo soppesato, parsimonioso ed etico. E di conseguenza non a scopo di lucro. Quand’anche in buona fede mi sa.
Ciao 🙂
sinceramente, fatico a ricordare un guru che non abbia tentato di vendermi qualcosa, fosse un corso o un utensile. E in giro ne vedo altrettanti. La mia impressione è però che, soprattutto sul versante ecologia, la gente abbia la necessità terribile di appartenere a un gruppo capitanato da un vip che taglia il prato pascolando le capre (c’è? non voglio offendere nessuno). O da qualcuno che sale e scende dagli aerei di continuo per andare a spiegare che bisogna decrescere (tutto il movimento decrescita e Latouche) oppure per spiegare che loro vivono a impatto zero (qui c’è la ressa dei meno famosi che si riciclano nell’eco. Una volta si riciclavano nelle televendite di materassi, oggi invece si scoprono vegani da 30 anni).
E ho detto tutto. Ahimé. Ma almeno consideriamoci fortunati noi che non ci caschiamo 😉
Oggi, come molte altre volte mi capita, mi è arrivata la pubblicità di un corso (master) che proprio non posso perdere.
Non bastava la famiglia di cui non faccio il nome che ti manda email quasi intimidatorie (sei nessuno se non partecipi ai loro seminari di migliaia di euro), ora arriva anche lo stimatissimo esperto mondiale di floriterapia di bach a proporre un master “indispensabile per lavorare professionalmente con i fiori di bach”: 70 ore di lezioni, 1400 euro.
Ora… se c’era una cosa che Bach voleva, era che le descrizioni dei 38 rimedi fossero il più semplici possibile e che ognuno potesse facilmente farsi autodiagnosi.
Sui fiori di Bach c’è un proliferare di corsi, di interpretazioni, di gente che ne sa più di Bach. Tutto per fare soldi su un progetto che Bach voleva fermamente che fosse accessibile a tutti, a partire dal prezzo delle stock bottles.
Ovviamente, come sempre succede, quando c’è aria di business si è pronti a tutto.
Quello che io dico, almeno su questa tematica, è che basta il libro ufficiale di Edward Bach e quello del suo allievo Chancellor oltre a una buonissima dose di esperienza e sensibilità a fare il floriterapeuta.
Niente corsi costosi, niente master, niente miracoli.
no ma dico, Ciucarilli… e ti perdi così i fiori australiani? E i fiori del bush? E quelli della Papua Nuova Guinea? E gli estratti di sterpi del Mare del Nord?
Sì, è allucinante. Avrei da scrivere per qualche anno anche sulle scuole di naturopatia, per me sono un capitolo decisamente chiuso. Alla fine imparo di più dai libri originali e dagli incontri con la mia naturopata (che è una studiosa seria e non ha fondato nessuna scuola strampalata!)
Ciao Grazia,
forse te l’ho già scritto: tu continui ad insegnarmi molte cose e ogni volta che pubblichi un articolo sono felice di leggerlo.
Sottoscrivo quello che dici, mi ci identifico molto. Non ho mai molto da aggiungere quando condivido a tal punto qualcosa che una persona esprime, però volevo lasciarti un segno e farti sapere che hai fatto e fai molto e che in Italia c’è ancora qualcuno che non ha bisogno di guru e che è pronto ad imparare da chiunque abbia qualcosa da insegnare, fosse anche solo uno spunto inconsapevole per una riflessione.
Buona vita!
Grazie Herbi! per me è davvero molto importante questo segno! Mi spiace di non aver risposto prima, non ho proprio visto le notifiche di questi commenti. Ti mando un abbraccio a mesi di distanza, continueremo ad insegnarci a vicenda e ad essere guru-free 🙂
sa l’è un guru? (cit.) Ora mi leggo l’articolo, ma volevo dirti che la signorina ritratta nel primo quadro SEI TU!
ahahah ho visto ora! sì.sì lo ammetto, amo quel quadro di Hopper non solo per la luce ma anche perché vorrei proprio essere io!!