Eravamo rimasti qui, all’applicazione dell’antitarlo sul baule, comprese le nuove doghe e i riempimenti in pasta di legno. Adesso arrivano le fasi che mi piacciono di più: colore e lucidatura a tampone!
Eccoci qui dunque con il colore. Siccome il degno, dopo averlo decapato dagli orrendi strati di vernice marrone, era rimasto piuttosto slavato (ma per chi volesse tenerlo così, basta seguire le istruzioni qui). Il mio invece è un restauro filologico, lo riporto al suo colore e forma originaria. Ho preparato per prima cosa un colore a base di alcool etilico a 90°, acqua demineralizzata e pigmenti naturali. In genere uso molto i pigmenti minerali, sono ecologici e si trovano facilmente nei colorifici. In questo caso particolare, ho usato pochissima terra di Siena e … curcuma! Sì, la curcuma, proprio la spezia. Il mio maestro di restauro la usava molto per dare al legno chiaro la luminosità di fondo, l’effetto è davvero magnifico. Specialmente su legni come rovere e ciliegio, dà una lucentezza unica al lavoro finale. Io la uso come fondo anche quando lavoro sul noce, perché lo accende maggiormente quando ci batte la luce.
In queste foto si vede bene la differenza tra la parte trattata con il mordente naturale e il legno originario. Le doghe restano leggermente più chiare, a contrasto, un effetto voluto. Ho consultato diversi cataloghi e foto di bauli simili restaurati rispettandone forme e colori. In genere le doghe in legno sono tutte a contrasto, o più scure o più chiare.
Il colore, una volta asciutto, è ambrato. Non l’ho fatto più scuro perché la gommalacca per la lucidatura dà già un tono o due più scuri. Lasciato asciugare 24 ore.
Dopo 24 ore di asciugatura del mordente naturale (contate sempre che era piena estate, in inverno calcolerei anche 36 ore), ho proceduto alla lucidatura a tampone con gommalacca. In questo caso, trattandosi di un manufatto piuttosto rustico, ho dato solo uno strato di gommalacca, giusto per proteggerlo. Farlo lucido tipo laccatura sarebbe un errore, non era sicuramente così in origine.
Ecco qui il mio tampone per gommalacca, dall’interno verso l’esterno: 1 batuffolo di ovatta naturale (non il cotone idrofilo sbiancato!), appallottolato dentro avanzi di filati da maglia (qualsiasi colore, va benissimo anche l’acrilico, io in genere uso il bamboo perché ho più avanzi di quello, meno consigliato invece il cotone), 2 strati di panno di cotone ben pulito (ideale usare le lenzuola vecchie).
Ed ecco la gommalacca. Quando ho molti lavori da fare, la preparo io con scaglie di gommalacca e alcool etilico a 90°. Se procedete per la prima volta a un restauro, è già una bella impresa imparare lo striscio del tampone, quindi magari per la prima volta non è una cattiva idea prendere una gommalacca già pronta. Attenzione però che in commercio c’è di tutto e di più. Per mia esperienza personale, quelle che reagiscono meglio e che sono utilizzabili facilmente sia a pennello che a tampone sono la Gommalacca di Cera Novecento e la Mobi Lac (questa se usata a tampone va diluita). Altra utilità: fare sempre delle prove! Io tengo in cantina dei pezzi di legno di vario genere, persino pezzi di pallet, che uso per testare colori e gommalacca. Per la gommalacca sono ottimi i pannelli di multistrato, compensato ecc. Basta che sia legno e non impiallacciato. Soprattutto con il tampone, va fatta sempre una prova per vedere se è ben diluita e se “strappa”, ovvero se il tampone viene frenato da una consistenza troppo densa, cosa che creerebbe sul mobile delle irregolarità antiestetiche. Per evitare anche questa eventualità (ma non è evitabile del tutto se la gommalacca non è diluita bene), io metto sul tampone anche un paio di gocce di olio paglierino, fa scorrere meglio il tampone.
Et voilà! Ecco fatta la lucidatura a tampone! Purtroppo non ho foto del durante perché quando uso la gommalacca mi chiudo, sprango tutto, non mi si può parlare o passarmi vicino e soprattutto faccio il più in fretta possibile per avere un bel risultato uniforme. Come dicevo qui ho usato un solo strato di gommalacca perché è un manufatto rustico, con i suoi segni del tempo e la sua storia, laccarlo del tutto non avrebbe avuto senso. Uno strato è stato sufficiente a esaltare il colore, le venature e dargli una finitura protettiva.
Scusate il caos attorno, è la mia stanza per questi lavori! La fase di lucidatura con gommalacca a tampone è l’unica che faccio all’interno, perché richiede meno polvere e meno luce diretta possibile.
Sono piuttosto soddisfatta del risultato, è stato recuperato bene, le doghe sembrano lì da sempre e con la luce del sole ha dei colori caldi e antichi, esattamente quello che cercavo. Ora devo solo trovare una placchetta frontale per il buco della serratura, quella purtroppo è andata persa.
Una volta finita la lucidatura, va lasciato asciugare per almeno 24 ore, 48 è l’ideale. Finito! Ecco qui un particolare di come si presenta dopo il restauro. Per le successive pulizie, uso solo uno straccio e olio paglierino, che mantiene anche elastica la lucidatura a gommalacca, evitando le screpolature del tempo. In alternativa si può usare della cera, ma io sono della scuola che sostiene che usare la cera sulla gommalacca è un po’ strano, perché allora tanto vale lucidare a cera senza gommalacca. (Sì, lo so, c’è anche quella aberrazione della cera a mezzo poro… ma come diceva il mio maestro di restauro: è per quei restauratori improvvisati che non sanno fare le lucidature!). Insomma, dal mio punto di vista, che è poi anche il metodo antico: o si lucida a cera e si mantiene a cera, o si lucida a gommalacca e si mantiene con olio paglierino.
Il prima e dopo del baule: bella soddisfazione!
La guida completa:
Come restaurare un vecchio baule – Prima parte
Come restaurare un vecchio baule – Seconda parte
Come restaurare un vecchio baule – Terza e ultima parte, questa pagina.
6 Commenti
Buondì Grazia.
Che magnifica idea quella della curcuma! Ora la mostro a papà! Proprio non l’avevo mai sentita questa.
Sei un’ispirazione continua!
Sì, hai ragione, gommalacca con paglierino e cera con cera…siccome io non amo molto la lucidatura a gommalacca (quella che viene extra brillante, quella del tuo baule è tutta un’altra cosa invece) consiglio sempre la cera ma devo dire che in qyuesto caso devo ricredermi!
Certo..la cera nutre maggiormente..questo è sicuro.
Ah, senti una cosa….ma davvero tu sciogli le scaglie di Gommalacca con alcool 90°?
Ti viene bene?
Se posso permettermi..noi utilizziamo il 99°, scioglie molto meglio e deposita meno.
Un abbraccio e grazie per l’ennesima citazione…. 🙂
Fra
ah secondo me il tuo papà l’avrà già sentita! Comunque la fonte è il maestro Ferrari dell’accademia di Brera che teneva dei bellissimi corsi di restauro 🙂 Usava tantissimo i pigmenti naturali e spesso anche le spezie, come d’altra parte si faceva nel passato.
Per l’alcool, sì uso il 90° perché negli ultimi anni mi è diventato difficile trovare il 99° ma devo dire che non vedo grandi differenze, almeno nei miei lavori… sicuramente un professionista si accorgerà anche di questa differenza. Ma pensa che ci sono alcuni, ho sentito, che usano l’alcool denaturato, quello rosso per pulire e disinfettare. Un abbraccio cara, lo sai che sono un’affezionata dei prodotti novecento!! 😀
bellissimo! complimenti e grazie.
Grazie Gracijela, scusami ma ho visto solo adesso il tuo messaggio! Un abbraccio!
Buongiorno. Ho restaurato una vecchia cassapanca in abete; intendo metterla in camera da letto e utilizzarla come contenitore per coperte in lana, trapunte e lenzuola in flanella. Per rendere questo utilizzo più comodo senza pregiudicare la “vita residua” del mobile, pensavo di foderarlo con apposita carta (di Varese, mi pare si chiami, di colore beige con gigli di Firenze, o altro, come decori), Temo però di impedire così la traspirazione del legno, con ristagno di umidità nei forti sbalzi di temperatura estate/inverno nella casa non abitata con continuità, favorendo in tal modo la formazione di tarme o tarli o altro. Che consiglio mi date? Grazie per l’ attenzione e complimenti per i consigli.
Ciao Renzo, hai intuito giustamente il problema con la carta! In origine infatti si foderavano con tessuti e come colla si utilizzava l’amido di riso sciolto in acqua. Questa versione permette un’ottima traspirazione del legno ed evita che si inquini con colle viniliche o sintetiche che andrebbero messe in abbondanza con la tappezzeria. In alternativa, una soluzione possono essere i fogli di tappezzeria in bamboo con colla ecologica, sono già pronti all’uso, anche se un po’ costosi e non facili da reperire, li hanno alcune ferramenta specializzate. Oppure, un ultimo metodo che io personalmente ho adottato con alcuni bauli, è quello di cucire (o farsi cucire) un sacco delle dimensioni interne del baule, come se fosse una fodera interna completa. Dopo di che lo fisso solo al bordo con la sparapunti per tappezziere e rivesto i punti con passamaneria. In questo modo, quando vuoi cambiare l’interno o anche solo lavarlo, basta toglierlo senza altri lavori di falegnameria e poi rifissarlo con la sparapunti.