Ho incrociato Daniel Tarozzi diverse volte in questi anni, da quella prima volta che mi chiamò per scrivere un pezzo per il libro di accompagnamento per “>No Impact Man. E’ una persona dai mille interessi e progetti, in questi anni l’ho ritrovato come fondatore di Terrenauta, poi direttore de Il cambiamento, ora una delle voci di Italia che cambia. Uno, insomma, che di cambiamento ne sa davvero parecchio. Così quando è uscito a fine ottobre il suo primo libro, Io faccio così. Viaggio in camper alla scoperta dell’Italia che cambia, e visto anche l’argomento, mi sono tuffata nella lettura.
E’ un libro di autentici cambiamenti. Di cambi di prospettive, soprattutto. Daniel si alza dalla sua sedia redazionale, prende un camper e passa mesi a percorrere l’Italia. “Nell’era di internet, si parla di tutto senza riuscire a osservare, a toccare niente” (pag. 1)
Così si parte e, con la scrittura diretta e coincisa di Daniel, sembra davvero di viaggiare sul suo camper. Si fa tappa per vedere da vicino, parlare, incontrare quelli che il cambiamento lo vivono davvero, dai NoTAV alla discussa comunità di Damanhur, dai clown dottori sconosciuti alla famosa (tra i decrescitori) Etain Addey, dalla scuola democratica libertaria (chiamatela anche banalmente home schooling) ad Arcipelago Sagarote, uno degli ecovillaggi meno conosciuti; mentre sullo sfondo delle storie passano gruppi di volontariato, scuole autogestite, diversamente abili ingegnosi, i wwoofer, le strategie dei rifiuti zero e le centrali a biogas.
Un libro vasto, che ti fa guardare l’Italia che raramente viene proposta dalla tv, l’Italia di chi lavora ma soprattutto lotta per il suo territorio, per i diritti di tutti. Sembrano parole grandi e un po’ vuoti a perdere ma, dopo aver letto queste storie tutte d’un fiato, sembra di essere molti di più di quel che pensavo. Sembra di non camminare in pochi.
Sono a metà libro e in viaggio reale, quando attraverso di nuovo la Lomellina e ritornano quei brutti ricordi di centrali a biodiesel, biogas, di lotte estenuanti e dell’obbligo di andarsene il più lontano possibile per non soccombere.
Della nostra casa che è rimasta là e non è più nostra ma di qualcuno che quella roba la sta respirando. Forse sapendolo anche.
Allora è stata quasi un’epifania leggere:
Tutto nasce un po’ per caso, quando hanno scoperto che stavano costruendo una centrale a biogas. “Io partivo dal presupposto che le energie alternative, tra cui i biogas, sono “buone”. Mi sono chiesta: come mai, se fanno qualcosa di buono, lo fanno quasi di nascosto? Ci siamo messi a studiare la situazione, e abbiamo scoperto che la centrale a biogas avrebbe dovuto alimentarsi con colture dedicate: 300 ettari della zona sarebbero stati riconvertiti a mais. Approfondendo ulteriormente la questione, abbiamo capito che, di fatto, questa centrale non avrebbe prodotto energia: se consideriamo, infatti, quella consumata dall’impianto stesso, il bilancio va in pari. […] è diventato evidente che la centrale sarebbe stata realizzata solo per prendere i fondi pubblici destinati ai biogas.[…] Il sindaco, messo alle strette, ha quindi deciso di non concedere l’autorizzazione all’impianto. […] Contrariamente a quanto ci raccontano, cambiare il mondo è possibile. E’ l’azione – inizialmente anche di una sola persona – che può fermare anche i progetti di grandi industrie e amministrazioni compiacenti. (pag.171)
Il dove e come di questa storia, ve lo lascio scoprire. E’ una delle tante che mi hanno scaldato il cuore.
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