Questa è una risposta a due amiche. Una è E., l’altra è Fiore, due persone distanti anni luce e vicinissime, che hanno la capacità di stimolare riflessioni e azioni, che chiedono e che fanno, soprattutto.
E., dopo aver rivoluzionato la sua vita, il lavoro, aver iniziato ad autoprodurre tutto il possibile mi chiede “Ma secondo te l’autoproduzione ha ancora senso?“.
Sono rimasta un po’ stupita dalla domanda, lo ammetto. Poi mi sono accorta che avevo cominciato a dare per scontate parecchie cose che faccio quotidianamente, forse perché stanca o forse perché le riverso tutte in altri contenitori, tra rubriche, libri ecc.
L’autoproduzione è fondamentale. Può trasformare radicalmente il bilancio mondiale, può alterare gli equilibri di potere, può essere realmente un’azione sovversiva, probabilmente la principale. Non essere più dipendenti dal supermercato perché il pomodoro cresce coltivato da noi e con i semi che noi abbiamo conservato è una possibilità reale, è lì, una realtà concreta, vuol dire aver già intrapreso una rivoluzione di indipendenza e aver fatto una dichiarazione pubblica di non accettare il controllo dell’industria alimentare. Perché è da questa che parte tutto. Dal fatto che 60 anni fa, tra voi e il vostro pomodoro c’era al massimo un contadino, un grossista e un bottegaio, mentre oggi ci sono fino a venti passaggi e ricarichi. Questi ricarichi che sono mediatori, grossisti, autotrasportatori, autostrade, confezionamento, smistamento, certificazione ecc., fanno sì che il vostro pomodoro invece di costarvi l’equivalente di due minuti del vostro lavoro, ve ne costi quindici e che quindi per acquistare quello che vi serve davvero e quello che vi faranno credere che vi serva, finirete a lavorare quelle 40-60 ore settimanali senza vivere mai davvero. E’ una moderna forma di schiavismo, che al contrario delle precedenti nella storia è molto più allargata.
L’unica via reale, praticabile e urgente è l’autoproduzione: produrre il più possibile in proprio, consumare il resto scegliendo criticamente. E diffondere, diffondere, diffondere. Perché solo così possiamo uscire da questo schiavismo moderno, da questo controllo del mondo che passa attraverso il controllo del cibo.
Alla mail di E. però non ho ancora risposto, rimando, sono stanca di parlare di autoproduzione. Finché lei mi scrive: “la domanda che ti ho fatto è importante…che senso ha scrivere e riempire il cuore della gente di sogni se poi non ci credi???”
E’ questo quindi quello che appare? Che non ci credo più? Accidenti… In realtà è solo che scrivo meno sul blog, ma continuo a fare e divulgare altrove.
Sì, ci credo, non ho smesso mai di crederci. Ci credo sempre di più, ma sono un po’ stanca. E’ una cosa che capita a tutti, prima o poi, non si può essere sempre a mille, altrimenti si diventa conferenzieri americani da cinquanta euro a testa per spiegare agli aspiranti new rurals che fare l’orto è la nuova rivoluzione. Il vero sovversivo non è mai monocorde. E’ abbastanza critico da spaventarsi, ripensarci, inventare, gioire, difendere, argomentare e stancarsi. La stanchezza è fisiologica. Se ti dai completamente, credendoci, a un certo punto alzi la testa e sembra che intorno a te non sia cambiato poi molto. E arriva un po’ di stanchezza.
Sono stanca per esempio di vedere anni di propaganda sulla stevia ridicolizzati e vanificati dalla multinazionale che dopo aver avvelenato la gente con il cancerogeno aspartame, fa il dolcificante alla stevia e lo vende come salutare. La salute non gli interessava però finché vendeva tonnellate di aspartame a ignari consumatori con problemi di peso e diabete.
Sono stanca anche di evitare imballaggi e prodotti inquinanti ma vedere con quanta leggerezza e felicità si godono la vita i genitori di pargoli che consumano pannolini usa-e-getta fino anche ai tre anni e oltre. Tutta pipì santa che gli ricadrà in testa in formato diossina cancerogena, ci pensano mai i loro allegri genitori?
Sono stanca anche di cose più sottili. Per esempio sono stanca anche del manipolo di uomini che pontificano sulla decrescita senza nemmeno coltivarsi un basilico per l’insalata. Avete mai notato che le voci ‘filosofico-economiche’ sulla decrescita sono tutte di uomini? Sono perplessa e delusa dall’ambiente estremamente maschilista che si è creato intorno all’argomento in Italia, dove sono le donne a fare l’autoproduzione e gli uomini a discorrere. Se sei un maschio con dei pensieri appena sufficienti, puoi star sicuro che ti chiamano persino dal Collettivo Anarchico di Frittole per una conferenza sulla decrescita dal punto di vista economico. Ma se sei una donna puoi aver studiato trent’anni, puoi saperne il decuplo e aver scritto cento volte tanto, ma ti chiameranno solo per spiegargli come si fa il pane e il detersivo marsiglia liquido. Non è sempre così ma nella maggioranza dei casi questa è la situazione italiana.
Per non parlare di quanto sono stanca di quelli che copiano tutto in blocco e se ne attribuiscono meriti e onori.
Stanca di quelli ‘avrei un progetto‘ con scritto in fronte che sarà tuo il lavoro e la spesa ma loro il guadagno. Stanca di quelli che ti chiamano perché “porti tanta gente” ma poi ti presentano un elenco di cose da non dire in formato guida telefonica.
Stanca degli animalisti che passano tutto il tempo a litigare tra loro e di quelli che si auto-proclamano i più grandi del pianeta (ma almeno questi ultimi fanno ridere).
Così finisce che mi stanco di spiegare la duecentomilionesima volta come si fa il detersivo marsiglia liquido e mi ritiro nel mio mondo di casa-studio-orto-montagne-erbe. Perché alla fine è logorante spiegare sempre come si fa l’orto sul balcone e non perché l’agribusiness è diventata la leva mondiale di controllo, perché si tratti di un disegno politico preciso, non di casualità evolutiva.
Ma se vivi in una nazione in cui quando scrivi con uno pseudonimo maschile ti cita il quotidiano di economia, mentre quando scrivi con il tuo nome vero è tanto se ti si fila la sora Cesira (che chiaramente vuole solo sapere come si fa il marsiglia liquido), ti trovi troppo spesso a fare i conti con quello che potresti fare e quello che ti lasciano fare. E ti stanchi, è inevitabile. Per me è così. (e sì, lo pseudonimo lo saprete solo dopo la mia morte, non prima).
Poi ci si rialza. Perché, sì, cambiare è una grande idea sovversiva. L’autoproduzione è una grande idea sovversiva. E’ sovversiva persino all’interno di quelli che si considerano culturalmente i sovversivi, perché prima o poi la dovrete piantare di parlare e basta, dovrete ficcare nella terra quelle manine che conoscono solo la tastiera e piantarvi il vostro cibo!
E prima o poi, in un futuro fantascientifico, il Collettivo Anarchico di Frittole chiamerà anche una donna a parlare degli aspetti economici della decrescita e di come si può cambiare il mondo, ci sono già alcuni visionari, anzi, che lo fanno. Ma questa è proprio roba da rivoluzionari illuminati…
Fiore, davanti a questa discussione sul maschilismo imperante, stravolta di fatica, mi ha scritto “ma io vado avanti lo stesso. (…) non mollo, ma non per ambizioni politiche, non voglio più sentir parlare di sigle. solo per passione personale e per amore nei confronti del mondo, perché spero tanto che guarisca. forse la crisi tremenda che ci avvolge sarà la strada...”
Ecco, questa per quanto semplice è la strada. Una strada solo per persone che ci credono davvero, con una mano sulla tastiera e l’altra a impastare il pane, rivoluzionari e visionari, sognatori e ribelli, siano essi uomini o donne. Perché la rivoluzione funziona solo se tutti identificano un bene comune superiore.
(L’immagine sopra l’ho creata appositamente per farmi invitare dal Collettivo Libertario Anarchico di Frittole, avete capito bene)
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