Detesto le carnevalate commerciali. Prima su tutte, la festa della mamma che mi ha costretta per cinque anni di elementari a violentare il mio senso estetico in favore di ridicoli lavori appiccicosi e inutili. Subito seguita dalla festa del papà che invece mi ha fatto rimpiangere per anni i lavori idioti delle elementari, quando un portapenne in DAS era sufficiente. E non parliamo di San Valentino, una festa creata apposta per vendere cuori di plastica rosa e svuotare le serre cinesi dai peggiori aborti di rose.
Quel che poi penso delle varie commemorazioni peripatetiche tipo il giorno della memoria, già si sa. E non mi addentrerò nell’apologia della mimosa secca sulla scrivania dell’impiegata-madre-moglie-serva-tuttofare a tempo determinato, per non annoiarvi.
Però la giornata nazionale del gatto. Però. Non c’è niente da comprare. Non ci sono cargo dalla Cina con il fiore dell’occasione. Nessuno è tenuto a fare nulla. Soprattutto il festeggiato non sa nemmeno di esserlo e si aspetta solo una giornata come un’altra. Coccole, grattini, pappa. Quelle cose lì che festeggia ogni giorno.
Solo che se tu vivi con uno o più di questi esserini pelosi, arriva il giorno in cui capisci che in qualche modo, un giorno dopo l’altro, quasi in silenzio, con la loro sconcertante filosofia felina della semplificazione, con il loro perenne elogio dell’ozio, un po’ ti hanno cambiato la vita.
Allora, se capite di cosa parlo, buona giornata del gatto.
p.s.
Nella foto Minù, gatta dei vicini, nel 2006, appena dopo aver dato alla luce i suoi quattro piccolini nel nostro giardino. I gatti di casa invece si sono sottratti alle foto adducendo la motivazione che è la giornata del gatto e quindi non vedono per quale motivo, proprio oggi, dovrebbero astenersi dal fare quello che gli pare e oltretutto aspettare fermi che la sclerotica gli spari dei flash in faccia.
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